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Il Lizzanese e l'ipotesi ligure cliccando qui

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il lizzanese
relitto di una paleolingua o dialetto toscaneggiante?

Per chi vuole approfondire l'argomento si consiglia di
cliccare sotto:
le sopravvivenze liguri nell'Alto Reno e nell'Alto Pistoiese

A pagina XXIX del numero 37 de "La Musola" (1985) viene sostenuto
che il lizzanese non ha subito influenze toscane, ma deriverebbe le
sue peculiarità da una presunta paleolingua "celto - etrusca -
ligure"[1]. Di questa affermazione tuttavia non vengono fornite né
prove né elementi indiziari che possano suffragarla.
Tutti gli studiosi di dialettologia (da Rohlfs fino a Guccini)
rilevano, al contrario, che il lizzanese appartiene alla famiglia
dei "dialetti toscani emilianizzati o dialetti emiliani
toscanizzati" [2].
Questi dialetti infatti, ben lungi dal tradire una paleorigine (con
l'unica, eventuale, eccezione del dialetto che si parlava a Treppio
(clicca su il dialetto di Treppio), per il quale tuttavia è comunque
manifesta la sua discendenza dal toscano), testimoniano
semplicemente le varie forme di passaggio tra i dialetti di origine
gallo - italica e le altre forme dialettali italiane e,
segnatamente, il toscano.
La maggiore vocalizzazione rispetto al bolognese (es: lizzanese "Ch'
fa tu ti" - bolognese "csa fèt") non deriva dunque da un relitto di
una paleolingua, ma dalla contaminazione col toscano.
Vale qui la pena ricordare che a Lizzano sono usati tutta una serie
di vocaboli sconosciuti in Emilia, ma ben radicati in Toscana (come
brocciolo, lolo, frugiata, baggioli, etc.) e che confermano il
carattere di dialetto ibridizzato col toscano del lizzanese.
Anche alcune locuzioni denunciano una manifesta influenza del
toscano. Per non parlare dell'uso del plurale maschile in -i anziché
in metafonia, delle vocali a fine parola, della risoluzione "ch" e
"gh" dei nessi latini "cl" e "gl", etc.
il lizzanese relitto di una paleolingua o dialetto toscaneggiante? Per chi vuole approfondire l'argomento si consiglia di cliccare sotto: le sopravvivenze liguri nell'Alto Reno e nell'Alto Pistoiese A pagina XXIX del numero 37 de "La Musola" (1985) viene sostenuto che il lizzanese non ha subito influenze toscane, ma deriverebbe le sue peculiarità da una presunta paleolingua "celto - etrusca - ligure"[1]. Di questa affermazione tuttavia non vengono fornite né prove né elementi indiziari che possano suffragarla. Tutti gli studiosi di dialettologia (da Rohlfs fino a Guccini) rilevano, al contrario, che il lizzanese appartiene alla famiglia dei "dialetti toscani emilianizzati o dialetti emiliani toscanizzati" [2]. Questi dialetti infatti, ben lungi dal tradire una paleorigine (con l'unica, eventuale, eccezione del dialetto che si parlava a Treppio (clicca su il dialetto di Treppio), per il quale tuttavia è comunque manifesta la sua discendenza dal toscano), testimoniano semplicemente le varie forme di passaggio tra i dialetti di origine gallo - italica e le altre forme dialettali italiane e, segnatamente, il toscano. La maggiore vocalizzazione rispetto al bolognese (es: lizzanese "Ch' fa tu ti" - bolognese "csa fèt") non deriva dunque da un relitto di una paleolingua, ma dalla contaminazione col toscano. Vale qui la pena ricordare che a Lizzano sono usati tutta una serie di vocaboli sconosciuti in Emilia, ma ben radicati in Toscana (come brocciolo, lolo, frugiata, baggioli, etc.) e che confermano il carattere di dialetto ibridizzato col toscano del lizzanese. Anche alcune locuzioni denunciano una manifesta influenza del toscano. Per non parlare dell'uso del plurale maschile in -i anziché in metafonia, delle vocali a fine parola, della risoluzione "ch" e "gh" dei nessi latini "cl" e "gl", etc.
E non ultimo il lizzanese mostra di essere un dialetto ibridizzato tosco - emiliano anche nel campo dei numerali come dimostra la letterale citazione dalla pagina 119 del numero 12 (luglio - dicembre 1972) della rivista La Musola:
1 - "un" e "'n" maschile; "unna" e "'na" femminile
2- "due" m. e "doo" f.
3- "tri" m. e "tree" f.
4- qvattro
5 - cinqve
6 - see
7 - sette
8 - otto
9 - nove
10 - dési

Va infine ricordato che se di influenza etrusca si deve proprio
parlare questa è stata rintracciata da diversi studiosi proprio nel
toscano e nella sua tipica aspirazione consonantica, detta anche
"gorgia toscana" (cfr. N. RAUTY, Storia di Pistoia, vol. 1, Firenze
1988, p. 11). [3]

Per un confronto fra lizzanese e bolognese clicca qui
Per leggere un canto in dialetto lizzanese clicca qui
Un altro canto lizzanese si può leggere cliccando qui
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Varianti del dialetto lizzanese clicca qui
Sui toscani nel lizzanese clicca su I toscani nel lizzanese
Il giudizio del prof. Geoffrey Hull (Università di Sidney) sul
lizzanese: cliccando qui
NOTA:
[1] la teoria dell'appartenenza linguistico - etnica delle
popolazioni altorenane al ceppo ligure è ancora sostenuta dal
"Cenacolo dei Belvederiani" (vedi l'articolo alle pp. XXXIV e ss.
del n. 2 di "E... viandare" (ottobre 2003) dal significativo titolo
"SULLE ORME DEGLI ANTICHI LIGURI: presupposti per una nuova
alleanza, ventidue secoli dopo tra Apuani e Friniati"). [la rivista
"E... viandare" costituisce la continuazione ideale della celebre
rivista "la Musola"]
[2] Nei numeri 3 e 31 de "La Musola" viene citato un libro tedesco
che fa parte di una collana di studi filologici che, addirittura,
colloca il lizzanese e il badese nella famiglia dei dialetti
toscani. Al contrario B.H. Jon (Filippi) ha sempre sostenuto che i
dialetti d Castiglione, Badi, Granaglione Lizzano, Fiumalbo, etc.
vanno classificati in un gruppo dialettale né emiliano, né toscano
per la presenza di "caratteristiche comuni, e vocaboli e nomi di
antichissima origine prelatina" (La Musola, n. 31, p. 158). E'
opportuno ribadire che non sussistono elementi che possono
suffragare una origine diversa dalla contaminazione col toscano per
il lizzanese. I pochi casi che La Musola è riuscita a trovare di
vocaboli lizzanese con origine preindeuropea si applicano proprio a
vocaboli toscani (si veda il "frugiata" di p. 108 del n. 58 (1995)
della Musola) che al più potrebbero testimoniare una medesima
origine preindeuropea del toscano e del lizzanese.
[3] Quasi a scusarsi dell'incidente a pagina 81 dello stesso numero
37 de "La Musola" viene riportato come locuzione tipica del
lizzanese una caratteristica isoglossa toscanica ("Gua'") che,
infatti, è definita "tipica del parlar toscano". A pagina X dello
stesso numero 37 si ricorda che è toscano anche il vocabolo
"truppolo" che pure viene usato nel lizzanese. Sul tema della gorgia
toscana come relitto etrusco è da segnalare come il Rohlfs abbia
decisamente rifiutato l'ipotesi (sulla gorgia toscana in Alto Reno
clicca qui su una ipotesi per l'origine della gorgia toscana clicca
qui)


CONFRONTO FRA IL DIALETTO LIZZANESE E IL DIALETTO BOLOGNESE
BOLOGNESE (BUDRIO)
"A dègg donca, che al teimp dèl prèmm Re d'Zipri, dopp la conquèsta
d'Tèra Santa fata da Gotifré d'Buglion, al suzzedè che una gran
sgnòura d'Guascogna l'andè in pelegrinag al Sant Sepoulcar, e
turnand indrì da là, arrivand a Zipri, la fu scarniee da zért umaz
capàz ed tùtt al mond"
LIZZANESE
"E diggo donca, che al tempo del primo Re ed Cipro, dopo la
conquista dla Terra Santa fatta da Gufredo ed Buglion, al successe
che una gran sgnora l'andò in pelegrinaggio al Santo Sepolcro, e
tornando indrè da là, l'arrivò a Cipro, dovve la fu schernià da
certi (omni capaci ed tutto al mondo) scelerà"
TOSCANO - OCCIDENTALE (PIETRASANTA)
"Dico dunqua, che ne' tempi del primo Rèe di Cipri, doppo la
conquista di Tera Santa fatta da Goffredo di Bullione, accadèe che
una garbata donna di Guascogna pelegrinando andòe al Santo Sepolcro,
di duve ritornando a Cipri, da certi scelerati omini villanescamente
fue oltraggiata"
ITALIANO
"Dico quindi, che al tempo del primo Re di Cipro, dopo la conquista
della Terra Santa fatta da Goffredo di Buglione, accadde che una
gran signora ando in pellegrinaggio al Santo Sepolcro, e tornando
indietro da lì, arrivò a Cipro, dove fu insultata da certi uomini
capaci di tutto al mondo".
il testo in lizzanese e nel bolognese parlato a Budrio è stato
tratto da "La Musola", n. 36 (novembre 1984) a pagina 94, il testo
toscano occidentale è tratto da G. DEVOTO - G. GABRIELLI, "I
dialetti delle regioni d'Italia", Bompiani, Milano, 2002, p. 70). Si
osserva immediatamente che il testo lizzanese è molto simile a
quello italiano a causa degli influssi della vicina Toscana. Il
lizzanese, quindi, si inquadra non fra i dialetti emiliani, ma fra i
dialetti della famiglia "gallo - toscana" di tipo emiliano.


IL GIUDIZIO DI GEOFFREY HULL (UNIVERSITA' DI SIDNEY) SUL LIZZANESE
Prima di farvi convincere da Hull conviene leggere anche il giudizio
del Dr. Vitali esperto dei dialetti emiliani e curatore del
dizionario bolognese pubblicato da Vallardi e che si riporta in
fondo
e mail del Prof. Hull ricevuta il 4.6.04
Questo dialetto è senza alcun dubbio padano. Gli influssi toscani
sono
superficiali. La presenza di consonanti geminate (soprattutto -ll-,
-nn-,
-rr-) in qualsiasi dialetto padano in principio non è problematica,
dato che
lo scempiamento fu uno sviluppo tardivo nella Romània occidentale e
certamente posteriore alla sonorizzazione, ma in questo testo c'è
almeno un
caso di ripristino falso (comme, doppo) il quale tradisce un
processo di
toscanizzazione relativamente recente. Anche le vocali finali sono
apporti
recenti, dovuti all'influenza toscana (più autentici invece i casi
di
sincope: caslina, fnì ecc.), e i ripristini falsi alla ligure sono
significativi (QUANDO > *quand > quande). Tipicamente padano l'uso
dei
pronomi personali pleonastici (e qui sarà un tratto fondamentale,
non
posteriore come nella zona di Firenze, Pistoia e Pisa); spiccano
anche gli
aggettivi della terza declinazione latina 'regolarizzati' (granda).
Se non
m'inganno i dialetti della zona di Bobbio esibiscono caratteri molti
simili.
sono convinto che l'antico emiliano non aveva vocali
finali a parte -A e -E (vocale di appoggio, ad. es. magre < MACRU,
ladre <
LATRO).
Le vocali finali che appaiono in testi medievali di Bologna, Milano
ecc. non
rispecchiano le vere condizioni del vernacolo di quell'epoca ma
facevano
parte di una tradizione letteraria ('padano illustre') di poca
sincerità
linguistica (gli scrittori latinizzavano e toscanizzavano i loro
dialetti
galloromanzi ritenuti rozzi). Questo à anche il parere dei
principali
filologi italiani.

A mio avviso dialetti geograficamente toscani di struttura padana
(cioè
quelli della parte settentrionale della sua zona) dovrebbero essere
denominati 'padano-toscani' perché nella classificazione linguistica
il
secondo elemento di tali denominazioni indica la specie linguistica
e il
primo l'influenza principale (sostratto, superstrato ecc.). Il
ligure e il
veneto, che hanno ripristinato il vocalismo atono dell'italo-romanzo
sono
invece dialetto 'italo-padani.' I ripristino falsi (di vocali
finali), ciè
ipercorrettismi, così notevoli nei dialetti di transizione e nei
testi
medievali sono prova del carattere secondario di questo fenomeno.
e - mail del Dr. Vitali del 6 luglio 2005

La questione delle vocali finali in lizzanese e nei dialetti dell'Alto Reno
secondo me va tenuta separata da quanto è successo in Garfagnana e Lunigiana
(e nell'area di Bobbio - a Bobbio paese le vocali finali sono cadute). In
Garfagnana e Lunigiana c'è una presenza elevatissima di metaplasmi, mentre
in lizzanese il numero di esempi è molto inferiore, e molti di questi esempi
si ritrovano anche in toscano. Cito il toscano perché siamo sicuri che abbia
conservato e non ripristinato le vocali finali. Lo stesso a mio parere è
successo anche in lizzanese. Le doppie -m- sistematiche e altri raddoppi
come robba, doppo ecc. sono state interpretate da Weinrich come conseguenza
del collasso della distintività delle doppie consonanti (lui parlava del
dialetto di Castello di Sambuca). Però il lizzanese ha ancora le doppie
consonanti, per quanto con distribuzione ridotta (solo dopo vocale
accentata); casi come robba e doppo sono non infrequenti in un'area anche
più vasta, per quanto riguarda il raddoppio di m intervocalica si tratta
(cfr Rohlfs) di un fenomeno d'importazione settentrionale.

Il giudizio sul lizzanese, comunque si decida di classificarlo, non può
dunque prescindere dalla sua posizione geografica, che lo ha esposto a
diverse correnti innovative, pur rimanendo un dialetto piuttosto
conservativo.

 

.
nostro ulteriore commento
Il prof. Geoffrey Hull, a nostro modesto avviso, tende a
sottovalutare tre importanti elementi storico - linguistici:
1) che nel settore settentrionale dell'Alto Reno (a cui Lizzano fa
capo) non è il toscano che sta facendo pressione sul dialetto
locale, ma è l'emiliano che sta lentamente erodendo le
caratteristiche toscane di questi dialetti;
2) viene sottovalutata tutta una serie di risoluzioni linguistiche
(tra cui lo sviluppo dei nessi latini cl e gl in ch e gh molto
importanti) e, in particolare, l'uso nel lizzanese del plurale
maschile in -i che tutti gli studiosi di linguistica considerano uno
degli elementi determinanti per la classificazione di una lingua
all'area romanzo - orientale o all'area romanzo - occidentale.
3) il prof. Hull evidentemente non conosce il dialetto bolognese e
quindi ignora che il lizzanese accoglie tutte le doppie presenti nel
bolognese stesso ("comme" ha il corrispondente nel bolognese "comm",
"doppo" ha nel bolognese "dopp", e, ancora:
veddre bolognese vadder
bella bolognese bel toscano bella
ommo raddoppio di mm anche del pistoiese
leggno bolognese laggn
primma bolognese premma
etc.
In bolognese, infatti, a vocale breve segue sempre consonante lunga.
E' quindi del tutto errato parlare di fenomeno di ripristino dato
che il lizzanese in questi casi fa riferimento al dialetto emiliano
pur non applicando il vocalismo lungo (allo stesso modo in cui il
treppiese applica la cacuminale solo nel caso delle geminate -ll-
anche se poi le scempia (grillo > griddo > grido) e mai per -l-
semplice). I dialetti (e qui il prof. Hull sembra ignorare un
concetto elementare), infatti, "si parlano".
Che poi, alla fine, il dialetto lizzanese sia più emiliano che
toscano questo è un altro discorso (noi l'abbiamo classificato tra i
dialetti gallo - toscani di tipo emiliano), ma riteniamo che la
componente toscana sia tutto tranne che superficiale e riteniamo,
altresì, che le vocali a fine parola in -o ed -e siano un fenomeno
originario.


I TOSCANI NEL LIZZANESE

"Questa non è la vera storia del Mulin del Tosco, ma a me piace
raccontarla così in omaggio alle varie tracce di "Toschi" o
"Toscani" che dal versante dell'Orsigna, di Maresca, di San AMrcello
e di Cutigliano, hanno sempre valicato i monti facendo sentire la
loro influenza fra le ultime propoaggini del bolognese.
Basta ricordare, a questo proposito, le quattro statuette lignee dei
Brunori che, fuggendo dalla Toscana, col loro dono votivo custodito
nell'ombrosa frescura del Santuario dedicato alla Beata Vergine
dell'Acero, hanno affidato all'eternità la testimonianza della
presenza toscana nelle nostre valli" (La Musola, n. 40 (1986), p.
110)



LA FOLA DLA LUVIJA (1) DEL LUVVO
E gh era na volta un luvvo, cl era tanto grand e grosso che n s era
mai visto. Sto luvvo, comm l'è soo mestere, tutt el notte l'andava a
veddre ed trovar quelle per far ganasce. Gira d cià gira d là, el
girò tutta la notte. Sorte che el trovò na péggora spersa. El fu
niente per luu brancarla prel collo. Po' l'avanzò lì a guardarla:
questa e m la voio manghiare in paje (2). S la cargò e via cl andò
fin in vetta al Corno.

L'era notte. Eccoci che quant e fu in vetta al Corno el pensò: qui
anzun (3) em vee a rompre i balotti. E posò la péggora per terra.
Poo' e se sberlecò e arsberlecò i baffi. Po' el disse: però forsi la
stree più bona cotta. Bzogna (4) che fagghi un fogo.
Es guardò intorno, ma in vetta al Corno dla leggna e no g n era.
In quel mentre che es guardava intorno el viste un fogo. Ma i era là
lontàn lòntan, in Corsica (5).
L'avanzò lì a guardar sto fogo. Pensa che ripensa en saveva quel che
farse. E la famme la gneva più tanta. A un certo punto e fu tanta la
luvija che el brancò la péggora, l'alvò in elto in petto al fogo
della Corsica e pò disse: " Cotta o cruda el fogo t l'à visto".
E e s la manghò tutta" (La Musola, n. 35, anno XVIII, 1985, p. 92)
note:
(1) la "luvija" (letteralmente "lupare") significa ingordigia. La
lettera "j" indica la fricativa prepalatale sonora simile al "j"
francese.
(2) la "j" va letta come fricativa prepalatale sonora;
(3) "anzun", ovvero "nessuno". Presenta la affricazione pistoiese
s>z. Non è da escludere, però, che si tratti di una sopravvivenza
galloitalica in area marginale (vedi "inzun" a Gargallo in Piemonte
e "anzun" a Como);
(4) in questo caso si assiste a un caso anomalo di affricazione
pistoiese s>z. Può peraltro trattarsi di un caso di sopravvivenza
galloitalica in area marginale (in alcuni dialetti piemontesi esiste
"bzogna")
(5) si dice che in certe giornate si possa vedere dalla cima del
Corno sia la Sardegna che la Corsica.


ET VOlO BEN (La Musola n. 33, 1983, p. 102)
Quando el sole s n è già andà alla sira,
quando in cielo e m scappa na parola:
et vojo ben
et vojo ben.
Corro in strada, sguillo in terra,
salt la cedda e arcojo un fiore:
et vojo ben
et vojo ben.
J ò sposà na donna cl'è perfetta;
g à en solo difetto: l'è un po' brutta.
Et giro intorno come un rodello
e t sgusc' davanti come un stropello:
et vojo ben
et vojo ben.
T et guardi in faccia la matina:
e t cmandi al specctio s tee carina
comme mi
comme mi.
E m'acorgo c t é più bella
d na ciavatta e d na padella:
et vojo ben
et vojo ben.
Qualche volta et diggo quelle ed blìn
ma san grezzo quando bevve un po' ed vin
Ti et sa far la pasta asciutta
e chi s ne frega s tee un po' brutta
et vojo ben
et vojo ben.
Luigi Riccioni


DALLE CANTE DEL LOCCO
(in dialetto Lizzanese)
fonte: La Musola anno XVI, n. 32, nov. 1982, p. 96
Doviccia, doviccia, doviccia
pane, pane e sonciccia
scurià, scurià, scurià
dam quèll che vo a ca'
E correvne là per strada
e bussavne in t^ porton
e cmandavne un po' d'ambrolla
per magnarsla in t^ canton
Doviccia, doviccia, doviccia
pane, pane e sonciccia
scurià, scurià, scurià
dam quèll che vo a ca'
La bisacca sempre voda
joh ragazzo, joh molella
a des'anni el dì dl'an novo
dammi almeno na fritella
Doviccia, doviccia, doviccia
pane, pane e sonciccia
scurià, scurià, scurià
dam quèll che vo a ca'
In ca' mia es magna poco
en g'ò scarpe per la dmanga
benedetto questo loco
ma buttàme gio na pomma
Doviccia, doviccia, doviccia
pane, pane e sonciccia
scurià, scurià, scurià
dam quèll che vo a ca'
Quarant'anni e forse più
tutti insemme a testa in su
a urlare tra la neve
tutti in coro con piasgere
Doviccia, doviccia, doviccia
pane, pane e sonciccia
scurià, scurià, scurià
dam quèll che vo a ca'

nota:
"^" significa "i" sovrastato da "^"



Da "la Musola gennaio - giugno 1972, n. 11"
T'A' DA STARE A SAVERE
a cura di FIORE VERDO
LA FOLA DEL TREE OCARINE
E gh era na volta na donna c l a pognì na galina. E in mezzo a gl'
ove d galina la g misse tree ove d oca.
Quande e nasci i pirin, i pirin i andonne con la chioccia e gl'
ocarine e gl' andonne da per sì.
E gl' andavne gio per la Viaccia. E la più granda la g disse:
«Savì vu quel che e fen adesso? E c' fen na bella caslina».
E chegliatre: «Ma com fareni mai a far la caslina?».
E la più granda: «E c' caven tutte el penne e e c' fen na caslina
che st inverno e sten in ca'».
E alora e s cavonne tutte el penne e e s tenne na caslina.
Quando i avinne fnì la caslina, la disse la più granda:
«Asptaa mo, che adesso e vo a veddre comme e s ghe sta».
L'andò drento. L'asrò l'usso. E ,la disse: «Adesso staa mo forra su
vatre, che mi e nun ghe vojo».
Alora chegliatre doo ocarine via che s andonne, cridando. E doppo la
mzana la disse:
«Mo perchè nuc c' ten na caslina con i spunctigon?». E s cavonne
tutti i spunctigon e e s tenne na caslina. E po doppo la mzana l
andò drento. L'asrò l'usso. E la gh disse:
«Joh, comme se sta ben! Ma ti nun t ghe vojo, brutta bindella».
E alora la più c'nina via ch la s andò, cridando. Quand la fu un
pezzo in giò per ,la Viaccia la s incontrò un muradore che e gh
disse: «C atu ti da cridare, bella ocarina? Lee la g contò tutti i
s6o quee e el soo desgrazie. Alora el muradore, ch l era un più bon
ommo, e s misse dré' e e gh fe' na bella caslina ed muradura.
Col so usso d leggno e na bella fnestrina; e prinfin la fogolarina.
Alora l'ocarina l'andò drento, l aringraziò el muradore, e la disse:
«Joh, comme se sta ben!».
Doppo e gnì notte. E, quande e fu buro, buro, saltò forra el luvo.
L'andò da la primma ocarina e gli disse:
«Ocarina, bella ocarina, vertme russo!».
«No, brutto luvaccio, che ti tu m v6o mangdiare!.».
«Averta l'usso consquantinò amollo un scorgion che t butto giò el
cason».
L'ocarina dalla pavura e n g avertò brisa l'usso. Alora ed luvo el
fé' un scorgion, el buttò gio el cason e s la mangdiò.
La sira doppo el luvo l'andò da la mzana e gh disse:
«Ocarina, bella ocarina, vertme l'usso! ».
«No, brutto luvaccio, che ti tu m v6o mangdiare!».
«Averta russo consquantinò amollo un scorgion che t butto gio el
cason».
L'ocarina dalla pavura e n g avertò brisa l'usso. Alora el luvo el
fé un scongran, el buttò gio el cason e s la mangdiò.
Clatra sira l'andò da la più c'nina e e gh disse:
«Ocarina, bella ocarina, vertme l'usso! ».
«No, brutto luvaccio, che ti tu m voo mangdiare!».
«Averta russo consquantinò amano un scorgion che t butto gio el
cason».
L'ocarina dalla pavura e n g avertò brisa russo. Alora el luvo el fé
un scorgion, mo la ca' l'avanzò su, perchè l'era d muradura. Alora
l'ocarina via c l andò d fureggio a appiare el foga in t la
fogolarina e la misse su na caldrina piena d'acqua.
Quant l'acqua la s misse a bojre, l'avertò la fnestrina e gio ch la
ficcò tutta l'acqua in cò al luvo. Ch l avanzò cotto e strinà,
negro, negro comme un tizzo.


LE FORME DIALETTALI NEL COMUNE DI LIZZANO IN BELVEDERE
In Comune di Lizzano in Belvedere, è bene precisarlo, non si parla
un solo tipo di dialetto, ma più varianti. A titolo esemplificativo
riportiamo alcune delle forme in cui si presenta nel territorio
comunale la parola "cocomero", nonché un esempio di preghiera.
IL LESSEMA "COCOMERO" (fonte: T. ZANARDELLI, "Saggi folklorici in
dialetto di BAdi", Zanichelli, Bologna, 1910, p. 73)
Pianaccio: "Coc6mbera", Monteacuto delle Alpi: "Coc6mbra", Lizzano:
"Coc6mro" e "Coc6mbro", Chiesina (Farnè): "G6mbra", Rocca Cornera
"Coc6mber"
PREGHIERA NEL DIALETTO DI GABBA (FRAZIONE IN PROSSIMITA' DEL CONFINE
COMUNALE CON GAGGIO MONTANO)
"Signor a v'aringrazii
ch'a c'avì dat un bon dè
Dec' ench òna bona nota
con la grazia vostra, la sanità
è sent timor di Dio"
(La Musola, n. 58, anno 1995, p. 60)


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