HOME PAGE: clicca qui

ALTO RENO TOSCANO (http://groups.msn.com/ALTORENOTOSCANO)

SOPRAVVIVENZE LIGURI NEL CRINALE APPENNINICO BOLOGNESE E PISTOIESE

"La parlata locale non è da ritenersi affatto un ibrido fra toscano ed
emiliano considerata la presenza di suoni e voci che non hanno riscontro né
in Emilia né in Toscana. Tuttavia, sono suoni e voci che riappaiono
sostanzialmente identici lungo l'alto crinale appennico a levante come a
ponente: Castiglione dei Pepoli, Badi, Pavana, Granaglione, Castelluccio,
Monte Acuto, Pianaccio, Lizzano, Vidiciatico, Poggiolforato, Fiumalbo,
Pievepelago, alta Garfagnana, Lunigiana e via andare.
Ne derivo la SUPPOSIZIONE, se non la certezza, che questo nostro parlare,
non celtico [ cioè con sostrato gallico], non etrusco-toscano, POSSA
ESSERE una eredità dei Liguri antichi, i Friniati, che qui certamente
vissero per molti secoli, mentre degli Etruschi non si hanno tracce; i
Romani qui vennero a combattere per poi andarsene; e i Celti, i Galli Boi
, qui furono,se furono, per un tempo relativamente breve, e si rifugiarono
unendosi ai Liguri, già nemici, per sfuggire alle pressioni dei Romani".
(Girgio Filippi)

PREAMBOLO

E' ben nota la posizione di Filippi e del Cenacolo dei Beleveriani sull'origine ligure dei dialetti altorenani ed è altrettanto noto che la zona pistoiese - lucchese fu abitata da popolazioni liguri, ma quello che ancora non risulta fatto è una ricognizione che rigurdi entrambi in versanti appenninici alla ricerca di vestigia delle antiche popolazione liguri nei dialetti e vernacoli parlati lungo questa porzione del crinale appenninico tosco - emiliano. Con questo lavoro si propone di aprire un primo dibattito nel merito.

LE PROVE A FAVORE DELLA SOPRAVVIVENZA LIGURE NELL'APPENNINO PISTOIESE E BOLOGNESE

TOPONOMASTICA

Poiché a tutt'oggi non è stato possibile individuare che scarse evenienze archeologiche che possono testimoniare in maniera diretta la presenza dei liguri lungo il crinale appenninico bolognese e pistoiese (alcuni scavi occasionali hanno portato alla luce delle tombe liguri a Marliana, Piteglio, Montale, Germinaia), la fonte più attendibile a cui affidarci nella nostra ricerca rimane la toponomastica.

Secondo Nieri Calamari ("Studi Etruschi", IV, 1932, pp. 87 - 122) sono oltre cinquanta i toponimi e gli idronomi di origine ligure presenti a monte della città di Pistoia; nella zona di Marliana i toponimi di origine ligure sarebbero addirittura tredici.

Per lo storico pistoiese Natale Rauty ("Storia di Pistoia", I, Firenze 1988, p. 12) la zona compresa nelle valli della Limentra risulta anch'essa particolarmente ricca di tracce toponomastiche liguri: Torbola, Posola Lentola (Lentula), Docciola, infatti, presentano tutti la forma sdrucciola con suffisso in -ola.

Anche per Giancarlo Jori, dell'Istituto di Ricerche Storiche e Archeologiche di Pistoia, i toponomi e gli idronomi di origine ligure o mediterranea risultano essere assai numerosi lungo il crinale appenninico che separa Pistoia da Bologna e da Modena:

Cavone, Cavina, Gavinana (varianti della parola *cava* col significato di passo o infossatura);

Rave e Ravacce (a indicare luoghi scoscesi o frane);

Tanca (campo recintato);

Monte Cuccoli (da *kukko* col significato di punta);

Lama, Lima, Limentra col significato di letto roccioso di fiume;

Palazzo e Palazzina (da *palo*, rotondità del terreno).

Di origine ligure è anche il suffisso -asco che troviamo nel toponimo Maresca presso San Marcello Pistoiese (cfr. G. Rohlfs, "Studi e ricerche su lingua e dialetti d'Italia", Firenze, 1997, pp. 39, 49), come pure il toponimo Greppe nei pressi dell'abitato di Porretta terme (cfr. G. Rohlfs, Op. cit., pp. 48, 127).

Recentemente la rivista lizzanese "E... viandare" (anno I, n. 2, ottobre 2003, pp. 64 - 65) ha proposto, in analogia al toponimo Garfagnana, una possibile origine ligure anche per Carniana (dalla radice leponzio - ligure "Gar - gagna" > foresta).

LESSICO

Rintracciare parole di origine ligure o mediterranea nel lessico dei dialetti e dei vernacoli parlati lungo il crinale appenninico bolognese e pistoiese è compito assai arduo trattandosi, in effetti, di un numero assai ristretto di vocaboli sempre legati al mondo delle piante, degli animali e dell'agricoltura. Per alcune di queste voci non è possibile neppure ricostruire un plausibile etimo originario; è il caso del termine "goge" (variante "gogetta") che in molte località dell'Appennino boilognese e pistoiese (da Rivoreta a Lagacci, da Pavana a Badi) serve a indicare lo scoiattolo. Secondo il linguista Giulio Bertoni ("Italia dialettale", Milano, 1986, pp. 5- 6) questo termine, insieme a ben pochi altri, poiché non pare essere né italico, né germanico, né celtico, né altro deve essere, per forza, una "vestigia di condizioni antichissime scomparse".

Allo stesso, ristrettissimo, gruppo di parole non classificabili, ma di probabile origine preindeuropea - ligure appartine anche "grucchio" (variante "gucchio") usato nella montagna pistoiese per indicare le castagne atrofizzate (G. Jori, "Alta Montagna Pistoiese", Firenze, 2001, p. 19).

Tra i temini preindeuropei (e quindi del tutto presumibilmente d'origine ligure) per i quali, invece, è possibile ricostruire almeno una possibile radice linguistica abbiamo rintracciato questi:

1) BORGNA > da *borna* buco in un albero. Il termine 'borgna' viene utilizzato per indicare l'ingrossamento di un castagno corrispondente al punto dove è stato innestato;

2) CRODARE > da *croda* parete rocciosa rapidissima e con spigoli vivi. Il termine crodare si riferisce alla caduta verticale delle castagne quando i ricci si schiudono. In pavanese era in uso anche la locuzione "crodare dal sonno, da la fadigga";

3) FARFANACCIO > da *farfa*. Si tratta di una pianta delle composite nota col nome scientifico di Petasites Officinalis;

4) GALAVERNA > da *galabro* concrezione ghiacciata. E' con questo termine che ci si riferisce alla rugiada (o alla neve) che ghiaccia sulle piante;

5) GREPPE > da *krepp* cima di roccia. Questo termine (che ritroviamo anche in Dante (Inferno XXX, 95)) indica i luoghi scoscesi;

6) MARUGO > da *marra*. nei dialetti sambucani il termine 'marugo' indica l'olivello spinoso (hyppophoe rhahnoides);

7) SMARRA > sempre da *marra*. I più anziani potranno associare questo termine a un attrezzo di ferro che serviva a stemperare la calce (in questa accezione risulta attestato anche dal celebre architetto Leon Battista Alberti);

8) STIAPPA > da *clapp* scheggia. Con 'stiappa' si continua, ancora oggi, a indicare delle grosse schegge di legno;

9) ZANZA > dal latino "sampsa" a sua volta derivato da un vocabolo di origine oscura e non indeuropea. Il termine zanza è usato per significare la buccia interna delle castagne.

A questi nove termini si può aggiungere, con qualche cautela, anche il pistoiese, lucchese ed altorenano "frugiata" dato che il dizionario etimologico Battisti - Alessio suppone alla sua origine un "relitto oscuro preindeuropeo”.

Non sono, al contrario, di origine preindeuropea alcuni termini a volte citati del tutto a sproposito quali:

Arcopedagno (arcobaleno) > da arco pedaneo;

Pignattini (mirtilli) > da pignatta;

Musuraggnola (talpa) > da mus araneus;

Liscite (gabinetto) > da licit.

Baggiolo (mirtillo) > da bacula

FONETICA

Si tratta dell'aspetto più interessante dell'intera vicenda dato che, secondo alcuni, la fonetica costituisce la vera e propria chiave di volta per provare l'origine ligure - apuana di questi dialetti.

Tre suoni, in particolare, vengono chiamati in causa:

- la particolare pronuncia di ch (il cui primo riferimento compare a partire dallo stesso numero 1 (1967) della rivista "La Musola" (p. 20));

- la retroflessa cacuminale treppiese;

- la fricativa prepalatale sonora diffusa nei dialetti lizzanese, sambucani, granaglionesi, dell'area di Suviana (es: Badi e Stagno).

Con suono cacuminale, o retroflesso, s'intende quel particoalre evento fonetico per cui la "l" ad inizio parola e la doppia "l" all'interno di una parola vengono pronunciate con la lingua leggermente all'indietro: così latte sarà detto "datte" mentre "grillo" verrà detto "griddo", anzi "grido" dato che la doppia "d" subirà il cosiddetto scempiamento consonantico di tipo settentrionale.

Con il complesso termine di "fricativa preplatale sonora" s'intende, invece, quel fenomeno fonetico che investe ce, ci, ge, gi (purché non iniziali) che mutano diventando delle sibilanti molto simili alla "j" francese di jardin. Avremo così 'pasge' per pace, 'frusgiate' per 'frugiate', 'fasgela' per fagela, 'basgio' per bacio, etc.

La fricativa prepalatale sonora, che troviamo quasi ovunque lungo la famosa linea linguistica "La Spezia - Rimini", è stata considerata dall'avvocato Giorgio Filippi un importante relitto fonetico dei liguri.

Ancora più rilevante risulta, in questa chiave, essere il suono cacuminale del treppiese considerato da Salvatore Barbagallo ("Il relitto linguistico di Treppio", Bologna 1958) l'ultimo relitto di una ampia area cacuminale (di origine ligure) estesa dalle Alpi Apuane, attraverso la Garfagnana, fin sull'Appennino Pistoiese.

I DUBBI

TOPONOMASTICA

I toponimi e gli idronomi, pur essendo di grande importanza per la conoscenza della storia (e della preistoria) di un dato territorio, non possono, in quanto tali, fornirci alcuna seria indicazione circa la sopravvivenza ai giorni nostri degli eventi linguistici che li hanno generati: in altre parole i toponimi e gli idronomi sovente rappresentano dei semplici "fossili linguistici".

L'esempio della vicina Frassignoni ci può aiutare a capire cosa vogliamo dire:

Oggigiorno a Frassignoni i pochi anziani che ancora ci abitano continuativamente durante l'anno parlano un dialetto marcatamente toscano, eppure diversi toponimi sono ancora a testimoniare una antica (oggi abbandonata) situazione linguistica assai simile a quella del pavanese o del lizzanese (Scovedino, Vedegheto, Marugheto anziché Scopettino, Vetecheto, Marrucheto, etc.).

LESSICO

I termini lessicali preindeuropei rintracciati, per quanto importanti da un punto di vista linguistico testimoniale, non risultano particolarmente significativi per la calssificazione dei dialetti alto pistoiesi e alto bolognesi a una presunta famiglia dialettale "ligure - apuana".

In primo luogo per la loro esiguità numerica e, in secondo luogo, perché molti di questi termini sono diffusi in aree linguistiche anche molto distanti dal crinale appenninico tosco - emiliano: è il caso, ad esempio di "goge" che ritroviamo a Parma, a Lucca, nella Val Bormida, nell'Alto Piemonte, nell'Alta Lombardia, nel Canton Ticino o di “frugiata” che troviamo da sud di Pistoia sin quasi alle porte di Bologna (frusà a Castello di Serravalle). Se dovessimo utilizzare il lessico come criterio, per definire l’area geografica dove, tutt’oggi, si parlano dialetti bastati su un sostrato anario – ligure, allora dovremmo considerare “liguri” quasi tutto il Nord Italia e parti importanti della Toscana (ad esempio l’intera provincia di Pistoia o di Lucca)

FONETICA

Neppure la fonetica, infine, risulta, allo stato attuale delle conoscenze, particolarmente utile per individuare un criterio oggettivo che possa servire ad assegnare i dialetti del crinale appenninico pistoiese - bolognese alla - a questo punto presunta - famiglia dialettale "ligure - apuana".

La fricativa prepalatale sonora, ad esempio, ricorda molto da vicino la "g" intervocalica che compare nel "parlar toscano" in parole come "stagione" che viene pronunciato quasi "sta(s)gione". E ricorda molto anche la "sc" toscana di parole come "ba(s)cio". E' possibile, quindi, che la "sg" altorenana e le "sc" / "(s)g" toscana siano semplicemente due modalità dello stesso evento fonetico (cfr. G. Rohlfs, "Grammatica storica della lingua e dei dialetti italiani - Fonetica", Torino 1999, pp. 283 - 284) . In quanto tale, peraltro, la fricativa prepalatale sonora non è altro che lo stesso fonema “j” del francese jardin ed era diffusa in passato in tutta l’area emiliano – romagnola (cfr. l’articolo sul dialetto porrettano pubblicato sul numero di Nuèter di Luglio 2007 ) e, quindi, anche in posti che nulla hanno a che fare con dialetti dal presunto sostrato ligure – anario.

Anche la cacuminale treppiese non pare essere un suono originale di queste zone (in effetti circa trenta anni fa Bonzi e Giannelli hanno ipotizzato l'origine coloniale garfagnina per la cacuminale treppiese): Infatti gli Statuti di Treppio del 1610 e del 1643, recentemente pubblicati a Pistoia ("Gli Statuti di Treppio", Pistoia, 2002), riportano un toponimo ("Rio della Luvaia") che prova, al tempo stesso, una pregressa situazione linguistica del treppiese in cui la sonorizzazione in P risultava più estesa di quanto sia oggi e, soprattutto, una situazione linguistica in cui la cacuminale treppiese era sconosciuta (cfr. Luvaia con il termine treppiese "dupo" per lupo).

E per finire passiamo ai suoni ch e gh del lizzanese i quali, in realtà, non sono in alcun modo addebitabili ad un sostrato ligure: nel dialetto lizzanese, come nei vernacoli toscani ed in italiano, i nessi latini cl e gl vengono sviluppati attraverso il meccanismo di palatizzazione di "l", dando così al nesso la caratteristica forma "chi" o "ghi". Nei dialetti settentrionali, al contrario, i nessi si conservano inalterati (ad esempio nel friulano) oppure spingono la palatizzazione ben oltre le condizioni toscane, estendendosi anche alla prima consonante: al posto del ponteventurinese "occhio" avremo, così, il bolognese "oc'". E se pure è vero che la pronuncia di ch e gh tende ad essere particolare poiché resa mediante suoni occlusi o affricati, a seconda delle località, non vi è nulla che autorizzi a pensare a un sostrato ligure per questo evento linguistico. In conclusione precisiamo, altresì, che la risoluzione gh del nesso latino gl prevede nel lizzanese alcuni casi estremi di un grado J (ovvero una "i semiconsonantica" assimilabile al siciliano "jardinu"), ad esempio il lizzanese e badese "Jesa" citato da Zanardelli nel 1910 o Janda per ghianda. Questa particolare risoluzione del nesso gh, ben lungi dall’appartenere a un sostrato ligure, compare anche nei dialetti corsi e in svariati dialetti centromeridionali italiani (Lazio settentrionale, Umbria meridionale, Abruzzo settentrionale).

LA RISPOSTA

A conclusione di questo breve excursus sulle presunte caratteristiche "liguri" dei dialetti alto bolognesi e alto pistoiesi (in specie del Comune di Sambuca Pistoiese) ci sentiamo obbligati a proporre una diversa ipotesi fondata su un criterio di economia linguistica:

Considerato che il lessico della zona toscana dell'Alto Reno risulta influenzato dall'emiliano (ancora a Prunetta le drupe di rosa canina sono chiamate petrolinghe) e viceversa (nel dialetto di Badi le voci di origine pistoiese risultano, addirittura, numericamente maggiori di quelle bolognesi);

Considerato, altresì, che da un punto di visto fonetico i dialetti parlati in questa zona geografica assommano caratteristiche normalmente attribuite ai dialetti toscani (ad esempio i nessi latini cl e gl tendono ad evolvere in ch e gh e mancano di metafonia) e ai dialetti emiliani (ad esempio presentano la sonorizzazione di K, T, P intervocaliche).

Considerato, infine, la distribuzione geografica dell'area posta tra Emilia e Toscana.

Riteniamo più opportuno considerare questi dialetti una area grigia di frizione fra il sistema linguistico alto - italiano e il sistema lingusitico peinsulare - italico. Un'area di frizione, tuttavia, di estemo interesse dato che lungo la linea linguistica "la Spezia - Rimini", che attraversa queste zone, passa il più importante confine linguistico del mondo neolatino: quello tra Romània Orientale e Romània Occidentale (cfr. H. Lausberg, "Linguistica romanza", Milano, 1976 e W. Von Wartburg, "Die Ausgliederung der romanischen sprachräume", Halle, 1936).