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DIZIONARIO PARZIALE DEI NOMI COMUNI DI ORIGINE LONGOBARDA O GERMANICA IN USO NELL'ALTO RENO E NEL PISTOIESE  (parte I)

abbriccicare (cercare di aggiustare alla meglio)da brihhal (colui che rompe/ frangitoio/ rompipietre)

abbricichino (ragazzino patito) da brihhal

abbriccico (oggetto di poco valore o che funziona male) da brihhal

albergo da berga (alloggio) oppure da un gotico hari - bairg

allazire (stancare) da lazz(j)an > rallentare. Dalla stessa voce germanica in più parti d'Italia si ha anche allazzire / allazzare nel senso di 'fare ristagnare l'acqua'

ammannare (preparare) da got. manwjan (preparare)

ammannire (preparare per accendere un bracere o uno scaldino) da manwjan (preparare)

anca da hanka (anca). Da rilevare la caduta di h ad inizio parola, fenomeno che in area pistoiese si registra (anche per il latino) almeno dall'XI secolo: "nel testo dei documenti notarili [dell'XI secolo] si assite ad un progressivo accoglimento di fenomeni fonetici, morfologici e sintattici di linguaggio popolare... Sul piano fonetico si registra tra l'altro ... l'omissione o l'uso improprio dell'aspirata h (per esempio ominibus per hominibus; hecclesia per ecclesia; haccepit per accepit)" (N. RAUTY, "Storia di Pistoia", vol. I, Le Monnier, Firenze, 1988, p. 350). Anche la parola sciancato deriva da hanka con s sottrattivo.

anda dare il via, si solito agli animali da tiro (vedi anche andare). Dato che la forma latina è ambulare non si può escludere un prestito germanico (vedi tedesco wanderen col significato di passeggiare, viaggiare)

angheria da angaria (angheria). La parola angar indica il terreno, il prato

arengo riunione in assemblea (la nona convocazione del Rugletto dei Belvederiani tenuta il 26 dicembre 1987 era il nono 'arengo' dell'associazione). Per il significato vedi alla voce 'linghiera'. Il libero Comune della medioevale Pistoia si regggeva attraverso l'utilizzo dell'istituzione dell'Arengo. Tutt'oggi la voce viene data come vivente nella Valle del Limentra di Treppio da Dino Presi col significato di piazza dove si aduna la genre (D. PRESI, "Castel di Casio", Pro Loco di Castel di Casio, Castel di Casio, 2001, p. 14). Nella stessa pagina Dino Presi attribuisce ai Longobardi anche i termini sprocco (ramo d'albero spezzato) e braghe (pantaloni); nel caso di sprocco si tratta effettivamente di termine longobardo, ma nel caso di braghe (nel pistoiese cittadino il termine "brachetta" indica le mutande) invece il maestro Presi è in grave errore trattandosi di parola di origine latina mutuata dal gallico, l'errore del maestro Presi forse è da attribuire ad una confusione col germanico 'brak' (cane da caccia) da cui l'italiano braccare, bracco, etc. Da brak deriverà anche il pistoiese bracare (ficcare il naso nelle faccende altrui). Tornando ad arengo è da segnalare come in vari dialetti italiani questo tema (es: calabrse arringare) indicail condurre le pecore al pascolo; è possibile quindi che il termine, anche se non individuato nella nostra ricerca, possa essere utilizzato anche nei nostri dialetti

arraffare da hraffon (strappare). Da osservare che anche il più colto "ghermire" (da cui anche 'gherminella') è voce d'origine longobarda (krimmjan > pizzicare, afferrare)

arruffare da rauffen (arruffarsi). Partendo dal tema arruffare il poeta monsummanese Giuseppe Giusti ha inventato il termine "arruffapopoli". Da segnalare come nella nostra area di interesse il termine 'arruffo' indica genericamente il batuffolo

arruffio (cosa arruffata) da rauffen

arruffio (confusione, scompiglio, disordine) da rauffen

aschero (desiderio, nostalgia) da eiskon (domanda)

atacare per attecchire da taikna (segno). Sullo stesso tema anche "Attacca" (pesca che non spicca dal nocciolo), "Attaccarame" (utensile munito di uncini usato per appendervi utensili di cucina), "Attacchino" (Attaccabrighe, litigioso). Da taika anche inteccare, intecchire, inteccolire, teccare (tutti col significato di tartagliare) e forse inteccherire (diventare rigido per il freddo o per altra causa). Da taikna + S sottrattivo abbiamo staccare e i suoi derivati tra i quali il pistoiese "staccatura" (stoffa occorrente per fare un vestito).

balco (soffitta) da balk o palk (travatura). Sullo stesso tema si avranno anche balcone. Circa il termine balcone scrive Arrigo Castellani: "Secondo il Gamillscheg, balcone 'finestrra' (balco nella Div. Commedia, Puratorio XI, 2) o 'finestra che giunge fino al pavimento', poi dal sec. XVI - 'terrazzino sporgente dalla parete dellòa casa, con balaustra', continua il singolativo *balko 'trave', alto ted. ant. 'id.', ted. balken (la finestra della casa lignea primitiva era chiusa per mezzo d'una trave), mentre da *balk / *palk collettivo, 'travatura', vengono il rustico balco 'assito del fienile' (a Volterra 'pianerottolo esterno della casa colonica') e palco 'tavolato', 'strutura di legno sopraelevata', 'compartimento da cui s'assiste a uno spettacolo teatrale', anticamente soprattutto 'piano d'una casa diverso dal terreno' (nel Decamerone anche balco 'soffitta' VIII 2, 17), coi derivati palchetto, soppalco, impalcare, impalcatura" (A. CASTELLANI, "Grammatica storica della lingua italiana - Introduzione", il Mulino, Bologna, 2001, pp. 77 - 78)

balco (fienile) da balk o palk (travatura)

balco morto (soffitta impraticabile)da da balk o palk (travatura)

baldo da bald (ardito)

banciola (a Castello di Sambuca sta per panca del focolare) da bank o pank. Sullo stesso tema si sono sviluppati anche i termini bancarella, banchetto, etc.

banciolo (sgabello basso) da bank / pank. Già nei documenti longobardi antichi della Toscana "si riscontra una tendenza ... a formare derivati diminutivi co suffisso -ulus" (N. FRANCOVICH ONESTI "Vestigia longobarde in Italia", Artemide Edizioni, Roma, 200o, p. 49).

bara da bara (lettiga)

baraonda (per il Nerucci è voce toscana, fiorentina e pistoiese, che indica un luogo pieno di chiasso e confusione, ovvero 'l'adunanza di persone che fan chiasso, e anche preso l'effeto per la causa, chiasso e confusione'). Per il devoto la voce baraonda è incrocio tra il latino "berecyntia" (proprio di culto orgiastico) col longobardo bara. da bara + onda

barba di becco (una erba annuale (nome scientifico "tragopogon pratensis") a fiori gialli) da bikk (capra)

barella da beran (portare)

baruffa da birhoffian (schiamazzare). Un cane molto vivace che viveva alcuni decenni addietro con il 'romitto' della Madonna del Faggio fu chiamato Baruffa

becca (pecora) da bikk (capra)

becco (capra) da bikk (capra). L'origine germanica di "becco" è confermata dalla maggior parte degli studiosi, ad esempio da Gerhard Rohlfs (G. ROHLFS, "Studi e ricerche su lingua e dialetti d'Italia", Sansoni Editore, Firenze, 1997, pp. 275 - 276). Ingiustificabile l'interpretazione del Devoto, del Cortellazzi e dello Zolli che vogliono derivare becco dal tema mediterraneo ibex per tramite del latino ibicem. L'Alinei ("professore emerito" dell'Università di Utrecht) ha correttamente ipotizzato una etimologia di 'becco' > marito tradito dal nome della bestia (il marito tradito risulterebbe così chiamato "becco" perché si comporta come l'animale che rimane indifferente all'accoppiamento della sua compagna con altri). Sempre da bikk si ha nella nostra area di interesse il quasi dimenticato "beccaio" (col significato di venditore di carne di capra, significato che rintracciamo pure nell'Avviamento all'etimologia italiana del Devoto nonché nel Dizionario etimologico del Pianigiani). Il termine "beccai" compare anche nel Regolamento di Polizia Urbana di Castel di Casio del 20 settembre 1876 (art. 19. cfr. G. BOLDRI "Storia di Casio. Introduzione", Centro Studi Editoriali Castel di Casio, Bologna, 1989, p. 137))

bega da bega (lite). Questa importante testimonianza della lingua  gotica è rintracciabile anche nel glossario pubblicato in appendice alle Cincelle per bambini del Nerucci (Pistoia 1880) che così  la rappresenta: "BEGA, briga, impiccio"

benda da binda (legare, unire)

bercio da brehhan (rompere) + latino berbex (pecora)

bergare (sostare per la notte) da berga (alloggio)

berlecca (bugiarda) dal medio tedesco locche (richiamo da caccia) + prefisso ber

berlicche (diavolo) da ber+lokke (richiamo di caccia)

berlingozzo (un dolce tipico pistoiese, ma attestato anche in alcune località dell'Alto Reno) con prefisso germanico ber

berlocca (parlantina) dal medio tedesco locche (richiamo da caccia) + prefisso ber

bernecche (ubriacarsi) dal medio tedesco locche (richiamo da caccia) + prefisso ber

bianco da blank (bianco lucente). Nei dialetti altorenani è presente anche "biancà" per indicare i 'soffitti'. Circa il significato di 'biancà' è interessante il contributo di Giorgio Filippi: "Suppongo che questa parola sia la troncatura di biancati, che potrebbe essere la deformazione di 'bancati', ossia 'pancati', che sono i tavolati (i nostri tasée cioè i tasselli). Mi piace aggiungere un'altra ipotesi: 'bianca' è il termine che indica il primo sonno dei bachi (per il loro colore biancastro), biancati potrebbero essere i solai dove venivano posti i bachi da seta a 'dormire la bianca'. La denominazione potrebbe essere arrivata a noi da luoghi dove l'allevamento dei bachi era ben più diffuso che tra i monti. La derivazione è evidentemente dal germanico blank, bianco, che sostituì, anche i n Italia il latino albus. Non va dimenticato poi che in Piastrella c'era un seccatoio che era chiamato il Cason d'Biancan. Nome che sembra in relazione con questo argomento" (G. FILIPPI, "Catuditto?", Gli Scritturini della Musola, Rugletto dei Belvederiani, Lizzano in Belvedere, 1999, p. 13)

biga, pistoiese biha (mucchio) da biga (mucchio). Di origine latina, invece, è 'bigongio' con tutti i suoi significati (grande quantità di un liquido, recipiente per portare castagne, unità di misura usata per pesare le castagne). Il termine bigongio, infatti, deriva, da bis + congius (misura romana dei liquidi). Tuttavia non è da escludere un qualche influsso del longobardo biha.

bilenco (stupido)da link (mancino, storto)

bilinchi (nel sintagma "stinchi bilinchi") da link

binde (cosa che richiede molti sforzi) da winde (argano)

bindella (ragazzaccia) da binda (legare, unire) in quanto aggira, abbindola. Meno usata è la variante "bindena"

bindella (fettuccia) sempre da binda (legare, unire)

bioscio / bioscia/ biuscia (senza companatico / non condito) da blauz (nudo).

bislacco da slahh + bis

blacco (straccio) da vlek (pezzo di stoffa) o da blaich (pallido). Anche il termine "blocco" col significato di neve sciolta deriverà dal longobardo blaih col significato di pallido (diverso ancora è il caso di "blocco" che pare essere voce germanica pervenuta nella penisola italiana attraverso il francese come nel caso di pacco, paccottiglia, fianco, affianco, accetta, etc. Sono invece vocaboli direttamente recepiti dalla lingua longobarda "riga" (long. > riga / tedesco > reihe) e i suoi derivati (rigato, righello, etc. , mentre rigagnolo è incrocio tra riga e rivagnolo), burino (long. 'buro' > succhiello), etc.)

borgo da burgs (villaggio / paese)

bosco da busk (bosco) Da più parti si è proposta un'origine germanica anche per il sinonimo foresta: "Anche l'origine di forst 'foresta' non è sicura; forse da forha (vedi sotto Föhre 'pino silvestre') e suffisso -ista, quindi forhist 'bosco di pini', poi 'bosco' in generale... Se l'italiano 'foresta' derivi dal germanico o dal latino '(silva) forestis' (= foris 'fuori'), cioè 'selva che sta fuori dalle mura' è assai dubbio" (S. BOSCO COLETSOS, "Le parole del tedesco", Garzanti, Milano, 1993, p. 43)

brace (altorenano brasge) da bras (brace). In area pistoiese è presente anche la voce "sbraciatoio" ad indicare "un arnese per isbraciare il fuoco" (G. Nerucci). Secondo diversi studiosi il termine brace è pervenuto nei vari parlari italiani dal longobardo, ma non è infrequente trovare studiosi (ad esempio il Migliorini) che ritengono la voce "brace" un germanismo pervenuto in Italia prima della caduta dell'Impero Romano: "Abbiamo già detto che le recenti indagini tendono a ridurre di molto la lista delle voci germaniche che si possono credere entrate nel lessico dal latino parlato prima della caduta dell'Impero. Quelle che gli scrittori classici e tardi attestano, alces, urus, taxo, ganta, glesum, framea, ecc. sono in gran parte voci adoperate per descrivere gli animali, le cose, i costumi dei paesi nordici, cioè allo scopo di color locale. Le pochissime parole che hanno preso radice nella tradizione sono martora, tasso, vanga, bragia, sapone (sapo -onis è voce mutuata dal germanico attraverso la Gallia...); tufazzolo ... arpa" (B. MIGLIORINI, "Storia della lingua italiana", Bompiani, Milano, 2004, p.77)

bracino (carbone tritato, tritume di brace) da bras (brace)

breccia (pezzetti di sasso frantumati) da brehhan (rompere). Da escludere, per il diverso valore semantico, una origine dall'italiano breccia (squarcio) a sua volta derivato dal francese

brenna (cosa, animale o persona vecchia o di scarsa utilità) da bremma / brenna (tributo dovuto ai signori per il pasto dei cani da caccia)

bricicca (bagatella, piccola parte di chichessia) da brihhal

bricola (cosa da nulla) da brihhal

bricca (dirupo) forse da breccia o bricco

bricco (maschio della pecora) da tardo latino burricus (cavallo) + longobardo bikk (capra)

brocciolo (pesce simile al ghiozzo di fiume) da brocco (vedi alla voce)

brocco (ramo) Il termine brocco etimologicamente deriva dal latino broccum col significato di "sporgente", tuttavia l'attuale significato di ramo è derivato per contaminazione semantica con il termine longobardo (foneticamente affine) sproh (germoglio, rametto). Per il termine Broccolo nei suoi vari significati (cavolo nero, cima di rapa, catarro)l'etimologia potrebbe essere spiegata ricorrendo direttamente alle lingue germaniche... Il Dizionario Etimologco del Piangiani (allo voce brocco) riporta che "per alcuni tiene alla stessa base etimologica del tedesco brechen 'rompere'" Stando così le cose il nostro "broccolo" deriverà dal longobardo brehhan.

broda (il cibo per i maiali) da brod

brodaione (persona che parla troppo e a vanvera) da brod

broscia (minestra o bevanda insipida e cattiva) da blauz (nudo) con rotacismo di l > r. In treppiese abbiamo la variante "sbroccio" per minestra troppo cotta

bucato da baukon (lavare con la lisciva)

buriana (confusione da alterco) da burjan (trovare un animale) e birhoffian (schiamazzare)

burischio (usato a Treppio per indicare un tipo di insaccato) da blutwurst (sanguinaccio)

busco (corpuscolo nell'occhio) dal gotico busk (cespuglio, ciocco, fuscello e, successivamente, bosco). Da busk, secondo Giorgio Filippi ("Catuditto?", p. 17) si ha anche "buscare" inzialmente col significato di raccogliere busche (ossia andar nel bosco per cercare legna) e, successivamente, usato genericamente per cercare prima e per trovare poi (si pensi all'espressione "buscar le botte"). Sempre Filippi (Ibid. p. 18) c'informa del termine 'buschetta' a significare un gioco che si fa tirando a sorte: "E' diminutivo di busca, che significa festuca, pagliuzza. Infatti per tirare a sorte si usa per lo più il sistema dei bacchettini di diversa misura"

cafaggio (riserva di caccia) da gahagi (recinto, bosco sacro, bandita). Da cafaggio si ha anche l'ormai desueto cafaggiaio (impiccione), termine che deriva dal fatto che il cafaggiaio era in origine il sovraintendente, ovvero il guardiano, del cafaggio (cfr. anche il tedesco moderno gaffen > badare). Da rilevare la sopravvivenza nel termine cafaggio della 'h' germanica sia pure trasformata in 'f' (h > f). Su questo termine il signor Sergio Mussi ha inteso imbastire (settembre 2006) una polemica con noi sostenendo l'improbabilià di una derivazione di cafaggio dal longobardo gahagi. Spiacenti per il signor Mussi ma il vocabolo cafaggio deriva prprio dal longobardo gahagi (cfr. a mero titolo di esempio N. FRANCOVICH ONESTI, "Filologia germanica", Carocci, Roma, 2002, p. 149)

cafaio (recinto per il bestiame) da gahagi (recinto, bosco sacro, bandita)

catro (cancello rustico) da gatero (porta della siepe). Dalla stessa radice gatero + osso abbiamo anche catrosso / catriosso (cassa toracica di uccelli, in lucchesia la voce catriosso vale anche per uomo molto magro)

chiassata scherzo, ragazzata. Vedi alla voce chiasso

chiassetto chiassotto chiassottolo chiassolo (vicolo stretto)  come argutamente segnalato nel libro "Vie e Piazze di Pistoia" edito nel 2001 dalla Società Pistoiese di Storia Patria  (p. 11) il termine 'chiasso' (purtroppo in disuso nella lingua comune e ormai desueto nella toponomastica urbana pistoiese) dovrebbe derivare da un vocabolo alto - germanico (longobardo o franco) sicuramente da ricondurre allo stesso tema del tedesco moderno gasse (vicolo). Un ulteriore elmento a favore dell'ipotesi germanica lo rintracciamo in N. RAUTY, "Pistoia. Città e territorio nel medioevo" (Società Pistoiese di Storia Patria, Pistoia, 2003, pp. 284 - 285): "chiasso, chiassetto > col significato di 'piccola strada', 'vicolo' è vocabolo di etimologia incerta. Secondo alcuni potrebbe derivare dal latino 'classis' = sezione, poi quartiere (Devoto Oli, DEI, ma improbabile per Battaglia); secondo altri dal germanico 'gasse' = vicolo (Zingarelli). Da notare che nel Pistoiese esiste una località detta ancora Chiasso dell'Alpa (a Monte di Lizzano [Pistoiese]) in corrispondenza dell'itinerario altomedioevale per Modena (cfr. Rauty, 'Batoni', p. 76, nota 49). Questo toponimo di alta montagna, lungo una strada usata nel periodo longobardo, presenta un legame più gisutificato con gasse 'stretta via', che non con classis, termine riferibile solo alla struttura di una città". Ad ogni buon fine, il termine chiasso (sia che derivi da classis o da voce affine a gasse, viene per la prima menzionato in un documento dei longobardi di Lucca: "in un documento di Lucca del 769 leggiamo:'qui capu tene et lato in classo, alio capu in via' (Cod. dipl. Long., II, p. 276), e nel toscano sopravvivono chiasso e chiassuolo" (B. MIGLIORINI, "Storia della lingua italiana", Bompiani, Milano, 2004, p. 73)

chiasso scherzo, gioco rumoroso di bambini o ragazzi. Vedi alla voce chiassetto. Il tema chiasso è spiegabile tenendo conto che i bambini e i ragazzi giocano nei vicoli e fanno molto rumore

chiocco (colpo / botta) da klohhon (battere)

ciancia da zanka (tenaglia)incrociato con onomatopeico zanka > cinca > cian... cia

ciuffi
(capelli) da zopf

coippo (colpo) Generalmente il termine 'colpo' è fatto riferire a una voce greca kólaphos, ma il buon storico Muratori (che spesso aveva intuizioni geniali) lo ritiene germanico: " A me sembra più verisimile che colpo sia originario dalla lingua Germanica, dove kolp ha tanta antichità, ed è nome generico di qualunque percossa"

coltra unità di misura agricola (pari a circa 0,5 ettari) introdotta dai longobardi (vedi Bullettino Storico Pistoiese, LXXVII, 1975, pp. 3- 47)

compare (padrino a Treppio). Pur essendo etimologicamente riconducibile a "cum pater" e evidente il collegamento a "compagno" (vedi anche l'altorenano compagno nel senso di simile: "quella cosa è compagna a quella") di cui, peraltro, è sinonimo per molti usi. L'origine del termine compagno, e indirettamente, di compare va dunque rintracciata in un calco dal gotico ga hlaiba. A Lizzano vale anche per marito (e "comare" per moglie)

companadigo (alorenano per companatico). Poiché la voce incomincia ad essere attestata solo a partire dal latino medioevale è ipotizzabile che l'origine di questo termine vada rintracciata in un derivato di 'compagno', a sua volta calco dal gotico ga hlaiba.

coppa salume fatto con la testa e il collo del maiale. Da confrontare col tedesco kopf

crampo da Krampf (crampo)

crocchio (gruppo di persone che conversano) con corrispondente inglese crowd (folla di gente) secondo Edgardo Ferrari. Nel termine crocchio sopravvive così l'antica consuetudine delle assemblee degli arimanni che costituivano il momento più importante della vita associativa dei Germani

faldana (piccola forcata di fieno) dal germanico falda (fascio). L'azione dello "sfaldanare" invece ha l'obiettivo di disaggregare i piccoli accumoli di fieno sollevandolo dal terreno per facilitarne il disidratamento

far bardella (caricare) da beran (portare). Vedi tuttavia la voce bardella

fazzoletto da fazzjo (straccio). Esiste anche la variante falzoletto

federa da fetzen

feudino (persona furba / persona che veste con estrema ricercatezza) che deriva dal longobardo "fehu" (bestiame)

fiappo (floscio) da un incontro tra il latino flaccus col sinonimo germanico schlapp

fiasca (il fiasco rivestito di vimini con manico) da flasko (fiasco). Tra le antiche unità pistoiesi di capacità del vino è ricordato anche il "fiasco" così è descritto dal Rauty: "verso la fine del secolo XIII, pur rimanendo in uso il congio, probabilmente solo come unità di conto, le misure fondamentali diventaronoil barile e il fiasco (1/20 di barile), con altri sottomultipli... Il barile e il fiasco sono ancora usati, ma quest'ultimo è divenuto il recipiente tipico del vino toscano" (N. RAUTY, "Pistoia. Città e territorio nel medioevo", Società Pistoiese di Storia Patria, Pistoia, 2003, pp. 220 - 221)

forra da furha

franco (di passo sicuro). In Collodi leggiamo: "Lo scimmiottino si mosse franco e spedito; ma non essendo avvezzo a portare le scarpe, fece un bellissimo sdrucciolone e cadde lungo disteso". ("Pipi lo scimmiottino rosa", cap IV). Da frank > libero. Numerosi sono gli uso di franco (come peraltro in italiano): libero, valoroso, esente, sincero, etc.

fresco da frisk. Da segnalare anche la presenza in area montana pistoiese di "frescheggiare" col significato di 'prendere il fresco'. Nel menzionare questa voce Giuseppe Tigri scrisse: "bellissima voce che ricorda il frigus captabis opacum di Virgilio. Se non che i Latini non hanno una voce equivalente a fresco e frescura" (G. TIGRI, "Canti popolari toscani", Arnaldo Forni Editore, Bologna, 1975, p. 376)

gastaldio (così in Rauty) da gastald o wastald (amministratore delle terre del Re)

gheffo (balcone) da waif (balcone)

ghenga (compagnia, combriccola) che ha il suo perfetto corrispondente nell'inglese "gang". E' possibile che una tale corrispondenza significhi semplicemente che il termine 'ghenga' non è altro che un prestito giunto (chissà quando e chissà come) dalla lingua inglese

gora da wora (chiusa)

gorello (piccolo fosso) da wora (chiusa)

gramo da gram (misero)

granchio (crampo) da krampf (crampo) incrociato col nome dell'animale "granchio" (tale è l'interpretazione del Dizionario Etimologico Italiano del Battisti ed Alessio)che in Alto Reno indica sia il crostaceo che il ragno

grappolo forse da krappa (uncino). Da krappa anche i termini grappa, (arnese di ferro ripiegato usato per fermare pietre e legnami), grappino (amo da pesca), aggrappare, etc. Dalla stessa radice germanica si ha anche il lombardo grapa ('acquavite' da grapo > grappolo) da cui l'italiano grappa (> bevanda alcolica)

greppia da kripja o kruppja (mangiatoia)

gremmo (carico) da krammjan (riempire). Dalla stessa radice deriva anche gremire

grignare (appisolarsi). Incrocio tra latino volgare granjola (granello) e longobardo grimmisan (corrugare la fronte)

grinfia (mano in senso spregiativo) da grifan (afferrare)

grinta da grimmitha (che fa paura). Per il Nerucci voce toscana che vale per "ceffo, grugno, mutrica"

groppo (nodo) da krupfa (massa rotonda). Sullo stesso tema anche groppa, sgroppare, etc. In Collodi leggiamo: "Dopo aver camminato tre giorni e tre notti, senza prendere un minuto di riposo, finalmente la bestia che portava in groppa il sacco con lo scimmiottino dentro, si fermò tutt'a un tratto, e data una gropponata, scaricò il sacco in mezzo a una solitaria campagna.... E la gropponata fu così brusca e violenta, che il sacco, cadendo a terra, seguitò a ruzzolare sull'erba per un mezzo chilometro" ("Pipi lo scimmiottino rosa", cap. III)

grotto nome locale per indicare dei terrazzamenti di terreno adatti alla coltivazione. Panconesi l'ascrive come lascito longobardo. Di etimo germanico ma non riconducibile a "grotto" sono i vocaboli "greto" (letto di fiume) e gretto (persona meschina). Per "greto" il Bruno Migliorini ipotizza una possibile origine gotica, mentre il Pianigiani ipotizza un'origine del termine (sulla scorta del Diaz) da una voce germanica affine all'ant. sassone 'griet'. Per "gretto" il dizionario etimologico di Pianigiani ipotizza un collegamento con l'italiano bretto (dal gotico bretan > stringere, premere e, dunque, sterile) oppure con il medio alto tedesco grit (> avidità)

guadagnare da waidnjan (pascolare)

gualca (quantità indeterminata) da walka (pezza di feltro)

guaimme (fieno al secondo taglio) da waidanjan (pascolo) tutt'oggi in uso in varie località (da San Marcello Pistoiese a Pavana Pistoiese, etc.). Nel 1776 il Granduca Pietro Leopoldo con la "Legge sull'abolizione dei diritti d'uso nel contado e montagna di Pistoia" abolì il diritto di 'guaimme' che permetteva l'utilizzo delle erbe che rinascevano dopo la falciatura (cfr. AA.VV., "Storia di Pistoia", Vol. III, Le Monnier, Firenze, 1999, pp. 148-149). L'abolizione di questi antichi diritti (rumo, ruspo, etc. che sopravvissero in modo più o meno clandestino) rese "ancor più dure le misere condizioni di vita di numerosi abitanti della montagna" (Ibid. p. 150)

guancia da wankja (guancia). Come riconosce Arrigo Castellani nella sua "Grammatica storica della lingua italiana - introduzione" (il Mulino, Bologna, 2001, p. 73) sorprende "l'abbondanza di termini che indicano parti del corpo". Questa abbondanza è ancora più sorprendente se si considera che le parti del corpo sono una delle parti più stabili di una lingua: "Chiosando il passo del Gamillscheg il Bonfante fa osservare 'che le parti del corpo costituiscono, con i numerali e i nomi di parentela (e anzi forse più di quest'ultimi!), la categoria più stabile di ogni lingua: queste tre classi di parole ci danno metà forse del materiale veramente solido su cui si fonda la comparazione delle lingue indeuropee (e credo di tutte le altre famiglie linguistiche). L'inglese, lingua pur tanto mista, conserva quasi sempre per le parti del corpo le antiche parole anglosassoni: arm, bone, brain [ecc.]- E così il tedesco. Invece per i nomi di parentela noterai aunt, uncle, cousin, nephew, grand(father), grand(son), che sono di origine francese; in tedesco moderno cousine, onkel, tante, mama, papa...'" (Ibid.,pp. 75 - 76). Da rilverare anche "che per quanto riguarda le parti del corpo le parole longobarde romanizzate in Italia sian più numerose di quelle franche romanizzate in Gallia (Rom. Germ. II 196-197)" (Ibid., p. 75). Sui nomi parentali vedi, tuttavia, la voce 'guidazza'

guarnigione (custodia di un fondo rustico fatta dal guardabosco) da Warnen (guardarsi)

guardare da Warnen (guardarsi)

guardare (essere accorti) da confrontare non tanto con Warnen (guardarsi), ma con il franco wardon (stare in guardia)

guazza (bagnato / rugiada) da wazzer (acqua) con la ben nota trasformazione di "w" in "gu". Tale è il senso già in Muratori e in tempi più recenti a noi in Mastrelli. Piuttosto fantasiosa è invece l'interpretazione etimologica offerta da Cortellazzo, Zolli e Devoto nei rispettivi dizionari etimologici (da un supposto, mai provato, latino volgare 'aquatia'con passaggio di a- all'articolo e sonorizzazione di qua). Queste interpretazioni fantasiose la dicono tutta sulla attendibilità di diverse soluzioni etimologiche offerte anche dal mondo accademico più attento e apprezzato. Da wazzer abbiamo nel pistoiese anche il termine "guazzo" che indica una modalità di conservazione di alcuni alimenti: "Ciliegie napoletane in guazzo, con lo zucchero sciolto al sole o con l'alcool. Olive in guazzo nell'acqua salata" (F. MENICHINI BUCCI, "Lupicciano: Storie e memorie", Edizioni del Comune di Pistoia, Pistoia, 2002, p. 20)

guazzabuglio (miscuglio, anche figurato, di cose diverse) da wazzer (acqua) + bugliare (bollire)

guercio (strabico) da dwerk

guercio (cieco) da dwerk

gufo Stando al Muratori la voce italiana sarebbe continuatrice diretta non tanto del latino bubo, ma del germanico huvo: "È voce de’ Toscani. In Lombardia si chiama barbagianni...È più tosto da vedere se dall’antica lingua Tedesca fosse venuto questo vocabolo. Nelle Chiose di Rabano Mauro, pubblicate dall’Eccardo, si truova il barbagianni appellato ufun. Parimente nelle Tedesche, tratte dalla Biblioteca Medicea, si legge bubo, huvo. Il Tedesco huvo, facilmente pronunziato per hufo, può essere passato in gufo presso i Toscani" Se l'interpretazione del Muratori fosse corretta il vocabolo sarebbe di estremo interesse perché rappresenterebbe un caso praticamente unico di sopravvivenza, sia pure attraverso una evoluzione, dell'antico suono germanico "h" a inizio parola. Come è noto la lingua italiana e tutti i suoi dialetti (con la strana eccezione di alcune ristrette aree della Calabria) hanno eliminato la "h" germanica a inizio parola (cfr. G. Rohlfs, "Grammatica Storica della lingua italiana e dei suoi dialetti - Fonetica", Einaudi, Torino, 1999, § 157, p. 212). Derivati di gufo paiono "gufato" e "gufulato" che stanno per acquattato, nonché "gufone" per 'castagna non maturata'. Tuttavia è possibile che l'origine del termine 'gufato' e del termine 'gufone' sia spiegabile attraverso un prestito dal greco kyphos (curvo) forse incrociato con il latino cubare (covare)

guidare (condurre, ma anche accompagnare (cfr. p. 79 di T. ZANARDELLI, "Saggi folklorici in Dialetto di Badi", Zanichelli, Bologna, 1910)). Dal germanico Witan (indirizzare)forse per tramite del gotico widan.

guidazza A Lizzano vale per "madrina". Dal germanico Witan (indirizzare)forse per tramite del gotico widan. Nei vari parlari della penisola italiana è piuttosto difficile trovare dei nomi comuni di parentela d'origine germanica a parte il caso, dubbio, di "barba" con valore di "zio" (longobarda per il DELI e lo "Sprach und Sachatlas Italiens und der Sudschweiz"). La voce "barba" non ci risulta, peraltro, attestata in nessuna parte della nostra zona d'interesse e l'unico riferimento toscano che ci viene in mente è in Dante: "E parranno a ciascun l'opere sozze del barba e del fratel, che tanto egregia nazione e due corone han fatte bozze" (Paradiso XIX,136 ss.).

guinzaglio da confrontare al medio alto tedesco wintseil(fune per legare un levriero)

imbastire da bastan (cucire, dare punti)

imbasciata / mbasciata (fila di muli). Pare che il termine imbasciata (così pure come i termini ambasciata ed ambasciatore) derivi da un gotico and - baths > servitore. Per il Dizionario Etimologico Zanichelli all'origine del termine gotico and - baths esisterebbe una radice indeuropea * ag col significato di spingere, condurre. Il termine imbasciata risulta così un ottimo continuatore del significato originale della radice *ag. In area pistoiese il termine imbasciata vale anche per l'italiano ambasciata (es. in Collodi: " "Appena il portiere ebbe fatta l'imbasciata, tornò in un attimo sulla porta" ("Pipi lo scimmiottino rosa", cap III)

intrappolo (intralcio) da trappa (trappola). Da trapa si ha anche "trappolone" ne senso di imbroglione

introgolarsi (sporcarsi, imbrattarsi) da trog

lacca (cavità posteriore del ginocchio) Su questo vocabolo sono possibili due etimologie: 1) greco lakkos > profondo e latino lacus; 2) germanico lacke > profondo. Parlando della voce lacca col significato di "riva" il Muratori ritiene il termine di sicura origine germanica: "Nelle Glosse Tedesche ricavate dalla Biblioteca Medicea, e pubblicate dall’Eccardo, si legge: Botinus, lacha. Questo botinus (se pur non è per bothrinus) significa luogo profondo, dal Germanico boden, e però esposto colla voce lacha".

lassare (lasciare) Generalmente è considerato un vocabolo derivato dalla lingua latina. Di diverso avviso, però, il Muratori: "È da lodare il Menagio, che dal Latino laxare e laxum tira il nostro lassare, lasciare. Contuttociò considerando attentamente il significato di laxare, e trovandolo noi diverso dal verbo Italiano lasciare; più probabile si rende che il nostro vocabolo venga dal Tedesco lassen, significante relinquere, dimittere, ec. Che quello sia un verbo antichissimo della lingua Germanica, lo pruova anche lo Schiltero con varj esempli. Di là parimente han preso i Franzesi il loro laisser. Gli antichi Franchi, per attestato dell’Hichesio, diceano laazer".

lecca (percossa) che ha il corrispondente nell’inglese moderno to lick (colpo di bastone). E' da osservare come in alcune parti della Toscana la voce "lecca" (var. lefa) indica, attraverso l'uso di un longobardismo, la femmina del cinghiale. In area pistoiese si riscontra anche la presenza di cilacca (schiaffo a mano aperta), lacca (danno finanziario), lacchezzo e lecchezzo (imbroglio)

leppa (paura) che deriva dall'antico germanico slipan. Al contrario il termine sleppa (termine che indica tre cose diverse: a) grossa fetta di qualcosa e, in particolare, di pane; b) fame; c) percossa) deriva dal germanico / longobardo "slappon" col significato di inghiottire, divorare

lesto da list (astuzia). Sulla longobardicità della parola vedi anche Erich Auerbach (E. AUERBACH, "Introduzione alla filologia romanza", Einaudi, Torino, 2001, p. 85)

locco (stupido) da luk (incerto / vuoto / non compatto di spighe)

locco (persona che ha perso la propria vivacità per malessere o altro) da luk (incerto / vuoto / non compatto di spighe). A Piteglio il verbo loccheggiare si riferisce all'atteggiamento di chi è costretto a stare senza far niente.

locco (pula del grano) da luk (incerto / vuoto / non compatto di spighe)

lombardo (settentrionale, altorenano,titolo dispregiativo). Da lang (lungo) e bart (barba) o barthe (scure)Si tratta di voce di esclusivo uso pistoiese. Per il primo ed il terzo siginificato vedere alla voce Pozza de Lombardi cliccando qui, per il secondo significato si deve considerare il seguente brano dello storico Alberto Cipriani: "La città [di Pistoia] fu germanizzata: il nuovo centro cittadino acquistò il nome di Sala e vi insediò il gastaldo; i territori montani divennero zona di 'Lombardi' o 'Lambardi',e quest'ultimo termine è rimasto fino a poco tempo fa per indicare uno che veniva dall'al di là del crinale" (A. CIPRIANI, "Breve storia di Pistoia", Pacini Editore, Pisa, 2004, pp. 19 - 20). Gli stessi sambucani e treppiesi erano indicati come Lombardi (cfr. AA.VV., "Dizionario Toponomastico delle Valli della Bure", Società Pistoiese di Storia Patria, Pistoia, 1999, p. 176). Gualtiero Ciola, riferendosi alla Toscana, sostiene che "Dentro alle grandi città il termine di "Lambardi" scompare o quasi, designando esso dei campagnoli di un ceppo non gradito"

lornia / lorgna (fiacca / stanchezza) dal germanico lurna (stare alla posta)

magone (ventriglio del pollo) da mago (stomaco). Per estensione il termine magone è passato ad indicare anche il dispiacere (chi ha un dispiacere, infatti, ha un peso allo stomaco). Nel Dizionario etimologico del Pianigiani la voce magone nell'accezione di ventricolo dei polli è riconosciuta come "della plebe edei contadini della Toscana", lo stesso dizionario riporta anche una variante senza sonorizzazione (macone). La voce magone ci permette, peraltro, di citare un'espressione comune al tedesco e all'italiano: "im Hagen haben" > "avere sullo stomaco". Di origine totalmente diversa, ma pur sempre germanica, è la voce italiana "smagato" (lat. tardo exmagare, dal gotico magan > potere con ex-sotrattivo) già presente in Dante (Paradiso 3,36)

manarsi e manassi (vestirsi) da gotico manwjan (prepararsi). In treppiese si usa anche smanassi per dire "svestirsi". L'etimologia di smanassi è chiaramente manwjan con s sotrattivo e negativo

manigoldo da mundwald (tutore secondo l'etimologia originale, ma poi ha assunto anche il valore di canaglia)

melma da mëlma (melma). Scrive il Migliorini in proposito: "Qualche termine [longobardo] si riferisce alle forme del suolo: tonfano, melma, zana; molti di più all'agricultura: grumericcio, sterzo (dell'aratro), bia, stollo, trogolo, bara, forse anche riga; molti altri ai boschi e all'utilizzazione della legna: gualdo, cafaggio (e gaggio), stecco, sprocco, zincone 'pollone', spaccare" (B. MIGLIORINI, "Storia della lingua italiana", Bompiani, Milano, 2004, p. 79)

milza da milzi (milza)

nappa (nasone) da napp(j)a (naso)

palchetto da palk (travatura)

palco da palk (travatura)

palco morto (soffitta impraticabile) da palk (travatura)

panca da panka (panca). Sempre dal longobardo panka abbiamo il termine, ormai pressoché desueto, "pancano" che indica per il Nerucci il "vetturale, procaccino"

paterlenga (bacca della rosa canina) con suffisso germanico -enga. E' possibile che anche il termine 'rosa canina' sia un calco dal tedesco (hundrose) o da voce germanica. Che si tratti di un calco anziché il risultato di una strategia linguistica comune ci pare testimoniato dall'uso frequente, in tedesco, del termine hund a designare il nome di varie piante, ad esempio: hundsapfel (melanzana), hundsgras (gramigna), hundsblume (valeriana), etc. Talvolta è invece davvero complicato stabilire se un dato fitonomo o un determinato nome di animale sia il risultato di un calco, di una strategia linguistica comune o di altro. Ad esempio è il caso delle coppie hirschkëfer > cervo volante, löwenmaul > bocca di leone, etc.)

petrolinga (bacca della rosa canina) con suffisso germanico -enga

piastrella (antico gioco lizzanese) Da impiastro + lastra (il termine lastra è germanico secondo Ludovico Antonio Muratori)

pichiettare (fare dei forellini nella carne per mettervi spezie) Sulla stessa base: picchiare, picchiolato (punteggiato di piccoli tocchi di colore diversi dallo sfondo), piccheetarsi (punzecchiarsi), picchiottare (battere), pichiacanton (tipo di scalpello), etc. Generalmente il tema picchiare è fatto risalire a "pica" (gazza) o a voce onomatopeica. Per il Muratori, invece, è voce di origine germanica: "potrebbe tal voce essere venuta dal Tedesco picken significante beccare"

pilenco (tonto, melenso) da link (mancino, storto)

pilucare (italiano e toscano pilluccare) per Guccini deriva da voce longobarda

raggia (rovo) da razziam (graffiare). In gotico il termine raus indica la canna (radice germanica ruza-z).

raigaggni (chiodino (Armillaria Mellea)) dal gotico wranks (avviticchiarsi)

ramarro / ramarlo, ramallo (ramarro) Le forme ramarlo e ramallo presentano lambdacizzazione. Etimologia tra le più discusse: Per Rohlfs trattasi di vocabolo di origine etrusca, per Alessio da ra + gallo - latino "mataris" (tuttavia ramarro è un vocabolo propriamente della Toscana), per Galvani e Flechia da "ramo". Nell'ambito della nostra ricerca è interessante l'interpretazione del Mahn (cfr. alla voce "Ramarro" il Dizionario Etimologico di Ottorino Pianigiani pubblicato dalla casa Editrice Fratelli Melita, La Spezia 1990) secondo il quale il termine ramarro significa che ha il color del rame, esattamente come nel tedesco "kupfer eidechse" (lucertola di rame). L'interpretazione del Mahn apre così le porte alla possibilità che il toscano "ramarro" possa essere il calco non tanto del termine tedesco, ma di un antico vocabolo longobardo oggi perduto. Rimanendo nell'ambito di possibili etimologie germaniche perché non immaginare un'origine del termine da "hrampa" (contrazione) da cui l'italiano arrampicare? A livello emotivo, tuttavia, preferiamo rivolgerci all'ipotesi di Rohlfs perché più vicina alla nostra sensibilità mediterranea e alla cultura greco - etrusco - romana di cui tutti noi siamo figli, longobardi compresi (i Longobardi adottarono quasi subito il latino, cercarono di rifarsi all'Impero Romano - ed i loro Re assunsero il titolo di Flavio come già avevano fatto i Re Goti -, la loro arte sacra cercava di rifarsi ai modelli bizantini e paleocristiani e perfino nel campo della toponomastica i Longobardi furono filo - romani come attesta il passo seguente di Gualtiero Ciola: "i Longobardi rispettavano scrupolosamente la toponomastica romana, arrivando al punto di chiamare alla maniera romana anche i borghi e le città da essi stessi fondati") ... Dagli etruschi peraltro abbiamo ricevuto parole come persona, mundus, histrio, atrium. Sui nomi "germanici" del ramarro clicca anche qui

randa (strumento utilizzato nei mulini)da un gotico randa (orlo, lembo) secondo Francesco Guccini. Sul tema gotico "randa" si sono sviluppati anche i termini Randa (antico gioco che consiste nel mettere la mano sulla schienda di un ragazzo curvo che deve indovinare quante dita rimangono aperte), nonché randello, randagio, randelloni (andatura cascante), randola (botta, colpo ma anche scossa elettrica, innamoramento,svendere), randolare (scaraventare), randolata (colpo, botta), randolato (innamorato cotto), randoloni (andatura cascante, andare qua e la), randellata (cfr. G. DEVOTO, "Avviamento alla etimologia italiana", Le Monnier, 1999, Firenze, pp. 347 - 348).

ranfia (unghia lunga) da grifan (afferrare)

ranfio (gancio ad uncino) da grifan (afferrare). Altra possibile origine andrà ricercata in un tema raffel (uncino) testimoniato per il tedesco antico

ranno da rann (gocciolatura). La voce 'rannaiola" vale per 'orciolo per colarvi il ranno'. L'avere individuato in area pisoiese questa voce è stato per noi un dato sorprendente dato che il Nerucci afferma che trattasi di voce di uso familiare appresa a Firenze. Rannaiola deriva dal longobardo rann(j)a 'mezzo per ammollire'

razola A Sam Mommè (PT) indica le piante di rovo con lunghe spine rovesciate) da razziam (graffiare). In altre località appenniche il nome "razola" / "razzola" sta ad indicare la 'smilax aspera' meglio conosciuta come 'edera spinosa' (cfr. Savena Setta Sambro n. 15, 1998, p. 80)

razzadoia (arnese per raschiare il tagliere) da razziam (graffiare)

razzare (grattare, raschiare) da razziam (graffiare)

razzinedo (terreno incolto dove non cresce vegetazione) da razziam (graffiare)

regare (recare). Da un gotico rikon. In area pistoiese, come in area lucchese, il termine ha subito una sonorizzazione sconosciuta nella stessa area settentrionale. A tale proposito scrive Paolo d'Achille: "si è plausibilmente ipotizzato che la presenza nei dialetti toscani di un certo numero di parole con la sonora si debba a un influsso settentrionasle verificatosi in periodo altomedioevale, non limitato però a singole entrate lessicali, ma dovuto a una sorta di moda che, partendo dalla Toscana occidentale (dove si hanno sonorizzazioni perfino per sorde originariamente non intervocaliche e per voci germaniche che al Nord non sonorizzano: poco = paucum; regare 'recare' = gotico rikon), si sarebbe diffusa un po' in tutta la regione, Firenze compresa, passando così all'italiano" (P. D'ACHILLE, "Breve gramamtica storica dell'italiano", Carocci, Roma, 2003, p. 56). Per saperne di più si rimanda al paragrafo sulla "gorgia toscana" predisposto nella pagina princiaplae di questa ricerca

renga (a Pavana Pistoiese = aringa). Il suffisso -inga / -enga pare ricondurlo a una etimologia germanica (vedi "hering" > aringa in tedesco)

ricco da rìhhi (ricco). Forse dallo stesso tema potrebbero derivare anche i termini recare ed arrecare (con un significato di ammucchiare), tuttavia è da tenere presente il gotico rikan e il tedesco reichen (arrivare, bastare)

rifruolo (bambino vivace) dall'italiano antico riffo (robusto) a sua volta derivato dal longobardo riffi (maturo)

rifruolo (chi mette scompiglio). Vedi alla voce precedente

rinfa (unghiello del gatto) da grifan (afferrare) con intrusione di krampf. Sulla stessa base "ranfo" che già il Muratori aveva individuato essere di origine germanica: "Parimente chiamano ranfo l’improvviso intirizzimento dei nervi delle dita o delle gambe. L’abbiamo imparato dai Tedeschi, i quali dicono krampff". Il termine ranfo è tutt'oggi in uso in Alto Reno

robba da confrontare col franco rauba (armatura, veste). In varie località del pistoiese e dell'Alto Reno è diffuso il termine "roba nera" / "robba nera" ad indicare un misto di cereali che, macinati, venivano usati per fare pastoni pe gli animali

rocca da rukka (rocca per filatura a mano). Derivato di rocca è il lizzanese 'inroccà', preparare la rocca

rocchio (pezzo di legno) da krukkja (bastone biforcuto)

rosta (l'argine per fermare le castagne che cadono) da hrausta

rosticcio (bimbo mingherlino) da raustian

rozza cavallo di poco pregio. In germanico comune abbiamo rosz

rubare da raubòn (= bottino)

ruffello / luffello  (fiocco di neve o di lana) da hruf (forfora). Poiché il termine ruffiano viene da alcuni ricondotta al longobardo hruf si ritiene ancora più logico collegare ruffello a hruf. Rimanendo in tema di hruf è da osservare come in alcune località della penisola italiana la muffa è indicata con il termine ruffo a sua volta derivato da hruf (vedi lo 'Avviamento all'etimologia italiana' del Devoto). Lo stesso termine 'muffa', peraltro, è basato su "una radice muff che sta alla base di parole romanze e germaniche fra le quali non è facile stabilire rapporti di priorità" (Dizionario Etimologico Zanichelli, p. 784)

ruffellona (donna con capigliatura voluminosa e disordinata) da hruf (forfora)

russare da hrùzzan (russare)

sala da sala. Gli edifici che ospitavano il Gastaldo Longobardo erano chiamati "Sala". Nelle salae i Romanici erano tenuti al pagamento dei tributi e le prestazioni di lavoro dovute ai Longobardi (cfr. J. JARNUT, "Storia dei Longobardi", Einaudi, Torino, 2002, p. 46). La piazza della Sala a Pistoia si riconduce a questo significato (si ritiene necessario menzionare anche il collegamento con il norreno Sala (luogo di mercato) dato che la Piazza della Sala è il luogo storico del mercato pistoiese). Il toponimo Sala nelle Valli della Bure, invece, è da riferirsi ad edificio di una stanza (germanico saliz)

saltabecca (cavalletta) da bikk (capra) + saltare

sberciare da brehhan (rompere) + latino berbex (pecora)

sbergolare da sberciare + gola

sbrago la voce è altorenana ma esiste anche il pistoiese sbraco. Letteralmente da braca (voce latina di origine gallica) + s sotrattiva. Tuttavia è possibile una qualche influenza da brehhan (rompere). Di tale avviso semra, ad esempio, il Nerucci che nel suo saggio del 1865 sui parlari vernacolari della Toscana collega sbreccare al tedesco brechen rimandando in proposito al milanese 'sbrega'

sbreggola (scheggia di legno lunga e sottile) da brehhan (rompere). A Rocca Pitigliana esiste una variante "Bregla" con identico significato

sbrecca (oggetto malandato) da brehhan (rompere)

sbreccare (rompere qualcosa nell'orlo, specialmente delle stoviglie) da brehhan (rompere)

sbricio (vestire miseramente) da brehhan (rompere) o brihhal. La forma sbricio è per contaminazione con sbriciolare (da briciola)

sbroscia vedi broscia

scaiia (un tipo di pietra) da skalia (squama, scheggia). Il tipo scaglia vale anche per squama di pesce

scaffale da skaf (armadio senza portelli). Il termine derivato "scaffa" ("Scaffon del Corno") Vale anche per punta o appiglio nella roccia dei monti

scandola da un non meglio precisato vocabolo longobardo in Rauty (Storia di Pistoia, vol. 1, p. 137)

scaracchio (pistoiese scaraglio) da una voce longobarda per Guccini

schergnare (deridere) da skernjan

scherzare da skerzan (schezare)

schiena da skina (schiena). La parola presenta la conservazione del nesso germanico sk. Il nesso sk generalmente assorbe i nessi germanici st e sl, ma talvolta, per iperocorrettismo, capita che sia il nsesso sk ad evolvore in un nesso st in parole come stiuma (long. skum), stinco (longob. skinka), etc. Altre volte il nesso germanico st si mantiene inalterato come in stampa, stampino, stampato, stampella, stampo, etc. tutti derivati dal franco "stampon" (= pestare) ovvero da un'altra voce germanica e in altre parole di origine germanica come staffa, staffetta, staffiere, staffile (long. staffa = predellino), stalla, stallare, stallino, stallo (long. got. stalla), stantuffo (cfr tedesco medio 'stampfe' = pestello), stozzo, stuzzicare (long. stozza = tronca, maglio), stanco, (e i pistoiesi straccale (cencio), stracollare (slogarsi)stracanarsi (affaticarsi), etc.) derivati da longobardo strak "rigido", etc. Esistono, infine, casi estremi dove è il nesso latino st a trasformarsi nel germanico sk (es: beschia anziché bestia)

schincio secondo l'etimologia proposta dal Pianigiani il termine è di origine germanica

schionzare (delle uova che vanno a male sotto la chioccia) da klunz (pesante)

scranna (a Pistoia e in diverse zone dell'Alto Reno col significato di 'donna sgraziata - specie per le gambe storte') da skranna (sedile). In area pistoiese, in passato, esisteva almeno un toponimo derivato da skranna (vedi "Scranese" a pag. 172 del "Dizionario Toponomastico delle Valli della Bure" edito a Pistoia nel 1999 dalla Società Pistoiese di Storia Patria). Sul tema skranna si è sviluippato nella montagna pistoiese "sgrenna" (donna molto magra)

scranna (questa volta nel senso di seggiola, che risulta presente in Alto Reno e in alcune aree rurali del pistoiese come San Mommè e Montale Pistoiese) sempre da skranna. Tutt'altra etimologia ha invece il pistoiese "scrimolo" col significato di estremità di una fossa. Per il Nerucci: "suppongo equivalga nella sua origine a riparo, difesa, schermo, da scrima per ischerma in tedesco schirm". Il termine scrimolo potrebbe allora essere collegato al longobardo skirmjan ed essere così etimologicamente affine all'italiano schermare e schermo

scuro da skur (protezione)

sennino bambino molto giudizioso o, al contrario, saputello. Come per l'italiano "senno" all'origine del termine troviamo il germanico "sinno" (direzione)

sghezza (scheggia) da skid (scheggia di legno)

sgorello (piccolo rivolo)da wora (chiusa)

sguattara(altorenano per sguattera)da longobardo wahtari (guardiano)

sguillare (scivolare) da 'quillan' (zampillare)

slitta e slittare da slita (slitta)

sornaccare (russare, ma anche sonnecchiare) dal longobardo snarhhan. Rohlfs attesta la voce anche in Corsica e in lucchesia (G. ROHLFS, "Studi e ricerche su lingua e dialetti d'Italia", Sansoni, Firenze, 1997, p. 185). Il vocabolo sornaccare è rappresentato anche nell'estrema punta settentrionale dell'Alto Reno (a Rocca Pitigliana sornacé)

spaccare da spahhan (fendere). Il termine spacconata vale per "smargiassata" (Nerucci). I termini pacca, pacchina etc. paiono derivare dal longobardo pakka

spanna da spanna (mano)

spiarmare (rispiarmare) longobardo 'sparon' (risparmiare)

sprocco (grosso spino / stecco) da sproh (germoglio)

sprucaglino (bambino) dal germanico sproch (rametto)

staffa da staffa (predellino). Gli usi di staffa sono molti estesi e in italiano possiamo ricordare staffetta, staffile, staffilata, staffiere (= servitore), etc. nonché espressioni come "avere il piede in due staffe", "il bicchiere della staffa", "perdere le staffe" Il termine "staffa" è usato anche nell'ambito dell'anatomia umana > ossicino dell'orecchio medio

stalla da stalla. Il Gamillscheg, nella sua monumentale 'Romania Germanica' avanza l'ipotesi che il termine germanico 'stalla' fosse già in uso nel latino volgare prima ancora della caduta dell'Impero Romano

stamberga da stain (pietra) + berg (riparo) e, cioè, 'casa murata' con sucessivo scadimento semantico, caratteristico di vari germanismi' fino al significato di 'casa in cative condizioni'. Molto interessante la nota 130 di pagina 76 della "Grammatica storica della lingua italiana - introduzione" (Bologna, 2001) di Arrigo Castellani: "A. Prati, fondandosi sulla definizione dell'Oudin ('stamberga, una taverne'), sullo 'stambergare' della montagna pistoiese, che 'vale o valeva albergare, non albergare in stamberghe (nel senso di oggi)', come precisa il Petrocchi', ritiene che ... stamberga sia 'forse stanza unita a albergo o a bergo (pistoiese, lucchese) -albergo-' (VEI, s.v.). Nel DELI, P. Zolli riporta sia l'etimologia citata da me sia quella del Prati, e aggiunge: 'Pur rimanendo qualche dubbio sulla proposta del VEI, è certo che la tarda documentazione della voce fa propedere per un'origine 'italiana' della stessa o rende molto improbabile una derivazione diretta dal longobardo'. Questa conclusione non i pare giustificata. Usando lo stesso metro, si dovrebbe escludere un'origine longobarda, ad esempio per nocca (tardo XV), spaccare (Bernardo Davanzati), stinco (Berni), tanfo (Firenzuola). Direi piuttosto che termini molto antichi ma circolanti in ambienti molto umili possono non aver trovato l'espressione letteraria fino a epoca relativamente recente (fino a quando, cioè, non s'afferma il gusto per il comico e il popolaresco".

stecco da stek (verga, piolo) Il termine "piantastecchi" indica, per Nerucci, un "puntorolo di ferro per fare i buchi dove si pongono stecchi di canna nel suolo"

sterzo da sterz (manico dell'aratro)

stinco da skinka (femore) con dissimilazione del primo K, oltre al significato proprio della lingua nazionale (osso della gamba)nel pistoiese il termine 'stinco' indica anche un particolare tipo di filoncino di pane. Il termine bistinco indica invece il guidalesco

stiolo unità di misura agricola (pari a circa 1/4 di coltra) introdotta dai longobardi

stipa nome locale che indica l'erica scoparia. Per questo termine ci è stata proposta una etimologia dal longobardo stika (bacchetta) incrociato con stipitem. Questa etimologia, inizialmente da noi accolta, ci pare alla luce di una più attenta riflessione poco credibile (basti pensare ai termini stipato, stiva, stivare, etc.).

stocco (fusto spec. del granturco) da stok (tronco d'albero)

stollo (palo del pagliaio) da stoll

stordire da stornjan

straccaia (forte affaticamento) da strak (teso, tirato)

stracanarsi (affaticarsi) da strak (teso, tirato)

stracco (stanco) da strak (teso, tirato). La voce oltre ad esserepresente in pistoiese ed in Alt Reno pare fosse presente anche a Bologna. In un libro del 1932 (O. TREBBI - G. UNGARELLI, "Costumanze e tradizioni del popolo bolognese", Arnoldo Forni Editore, Bologna, 1995, p. 47 - riproduzione anastatica dell'originale del 1932)si ricorda un dolce chiamato "stracaganas" (affatica ganasce)

stricare (stringere) da strik

strofinare da straufinon (strappare, grattare via). Dal gotico straupjan abbiamo, invece, stropicciare e le sue varianti locali come il pavanese "strubiciare". Sulla stessa base il pavanese sviluppa anche il termine "strubiccio" ad indicare una persona od un animale in misere condizioni (per Francesco Guccini in origine il termine strubiccio significava straccio)

stronzo da strunz (sterco)

stropello (vetrice) da stupalaz (confine)

strozza (nel senso di gola) da strozza (gola). Sulla base del tema "strozza" i dialetti locali hanno sviluppato termini specifici per indicare il prugnolo (prunus spinosa): strozghi, strozzichi, strozzeghi, strozzi, strozzapreti, stozzighi. Peraltro anche il termine italiano e locale "strozzare" deriva dal longobardo strozza

struiccio (persona mingherlina) dal gotico straupjan (soffregare)

suppa (zuppa di verdure e pane raffermo)da supfa (polenta tenera). Secondo Arrigo Castellani la voce 'suppa' è un prestito germanico già in uso nei territori dell'Impero Romano dal III - IV secolo: "Può darsi risalga alla stessa epoca il 'suppa' offerto dalla più antica versione latina delle opere d'Oribasio (Ravenna [?], inizio del VI secolo): 'Panem calidum in bullentem mittis, et mox dabis manducare calidas suppas'" (A. CASTELLANI, "Grammatica storica della lingua italiana - Introduzione", il Mulino, Bologna, 2001, p. 43).

tacchina (sbornia) forse da collegare al gotico taikn (tedesco zeichen = segno) perché la sbornia lascia dei segni

tacchinare (scappare velocemente, alzare i tacchi) da tacco, a sua volta derivato dal gotico taikn. Il tema taikn / taikna è estremamente produttivo dato troviamo anche tocchetto (busse), tacchettare (fare tacche), tacche (tacche), tachettato (pieno di tacche), taccolo (difetto)

tacconare (pedinare) vedi alla voce tacchinare

taccone (di lana infeltrita, indurita) da tacco, a sua volta derivato dal gotico taikn

tacon (strato di sporco su un oggetto o una persona) da tacco, a sua volta derivato dal gotico taikn (tedesco zeichen = segno) forse incrociato con tahhala (cornacchia) dato che la cornacchia è un uccello di colore grigio - cenere. In italiano il termine taccola (da esso derivato) indica appunto un uccello della famiglia dei corvidi

tanfo da thamf (tanfo / vapore). Nella nostra area di interesse il termine tanfo (in accordo col secondo significato di thamf) indicava anche un piccolo buco nel rivestimento della carbonaia (cfr. p. 127 di G. SIRGI, "Il boscaiolo", Centro Studi Editoriali Casterl di Casio, Bologna, 1991)

tappo da tappa (tappo)

tascata (tutto ciò che può riempire una tasca) Come l'italiano tasca (e i suoi numerosi derivati) dovrebbe derivare da una voce germanica affine al franco taska

tonfare (cadere) Come per tonfo (rumore che fa un oggetto, un animale o una cosa quando cade, specialmente in acqua) l'origine del termine tonfare è da ricondurre al longobardo tumpf

toppo ceppo, pedale, tronco d'albero da una radice germanica latinizzata * tapa (vedi rumeno tapa > ciocco)

trambellare (essere malfermo sulle gambe) da confrontare con trampolo a sua volta derivato dall'alto tedesco medio trampeln (calpestare). Da trampeln + hanca (anca) si ha anche il termine trancare (trampoli)

trappola da trappa (trappola)

treggia (a Pistoia persona goffa e sgraziata, slitta o carro senza ruote). Secondo alcuni dal latino trahea ma per altri da voce germanica (cfr. tedesco trechen trecken). Circa l'interpretazione germanica il Diaz obbietta che in italiano i nessi ck e ch non mutano mai nell g italiana.

tregua dal gotico triggwa oppure dal longobardo trewwa (da cui treuua nelle Leggi di Liutprando). In un antico documento pistoiese pubblicato per la prima volta nelle "Storie Pistoresi" a cura di S. A. Barbi a Città del Castello nel 1907 si legge: "quasi ogni uomo e in città e in contado gridava 'triegua, triegua!'" (brano citato a p. 29 del libro di Paolo Paolieri, "Un abate al potere", CRT, Pistoia, 2002)

trincare da trinkan (bere)

trogolo da trog (vasca)

tubare suono gutturale di colombi e tortore (in senso figurato amoreggiare). Voce onomatopeica derivata dal latino tutubare il quale, però, era riferito al grido della civetta. Non è dunque da escludere una qualche intrusione, per l'uso attuale, di una qualche voce germanica affine al tedesco 'taube' (colomba)

tuffare da tauffjan (tuffare). In alcune aree pistoiesi il termine 'tuffare' poteva essere sostituito da zebbare (termine di origine germanica generalmente usato con l'accezione di riempire) mentre in alcune aree toscane (es: il contado empolese per il Nerucci) il termine "tuffare" era utilizzato col significato di riempire

tupare (chiudere un foro, una buca, un'apertura). Forse dal germanico "tupa", ma non sono da escludere né il franco "top", né il longobardo "tappa"

ussare (aizzare il cane contro qualcuno). A proposito di questa voce (presente nel pistoiese, nel pavanese e in altri dialetti della nostea area di interesse) scrive lo storico Muratori: "I ragazzi in Modena per attizzare i cani, dicono uzz, uzz, ed uzzare il cane. In vece d’uzz i Fiorentini dissero izz, e di là venne aizzare, ec. Dicono essi ancora izza per significare ira o contesa. Osservisi che la lingua Tedesca ha hetzen significante aizzare, ed anhetzen, da cui formare si potè aezzare. Non sappiamo se noi da loro, o essi da noi abbiano ricevuto questo verbo. Fu poi metaforicamente adoperato il verbo attizzare per irritare il fuoco. Non è inverisimile che da noi abbiano i Franzesi imparato il loro atiser, e gli Spagnuoli atizar". Arrigo Castellani nella sua Grammatica scrive su questo termine: "Di tipo espressivo sono anche alcuni astratti che si possono ascrivere al longobardo: IZZA 'collera' (*hizz(j)a 'bollore', cfr. il ted. Hitze 'gran caldo', 'ardore, bollore', corrispondente all'ingl. heat), coi derivati aizzare (anticam. adizzare), annizzare (annizzare (ancora segnalato. come dell'uso nel Tomm. - Bell.), inizzare inn- (arc.) 'eccitare', 'incitare', tanfo (*thampf 'vapore', cfr. il ted. dampf 'id.'), TONFO (*tumpf 'rumore d'una caduta'; cfr. il norv. dump 'id.')" (A. CASTELLANI, "Grammatica storica della lingua italiana - introduzione", il Mulino, Bologna, 2001, p. 91). E' probabile che sul tema hizz(j)a si sia sviluppato anche stizza, stizzire e stizzito (anche se è possibile una origine da s- + tizzo). Sul tema stizza (con s- rafforzativo)abbiamo in pistoiese stizza (ciuffo di capelli che non tiene la piega), stizzinoso (facile alla stizza), stizzoso (detto di capelli ritrosi alla piega)

zaccola (schizzo di fango nel vestito). Da zahhar (lacrima). Da zahhar trova origine anche zaccolone (persone che trascurano l'igiene personale) nonché, a Rocca Pitigliana, zaacla (crosta di muco tipica sia delle narici che della secrezione congiuntivale che si deposita, durante la notte, agli angoli delle palpebre). Il vocabolo di Rocca Pitigliana è quello che più si avvicina al significato del longobardo zahhar.

zaffa (zaffata). Entrambi i termini (zaffo e zaffata) derivano da un più antico zaffo (tappo della botte) che è l'equivalente più propriamente longobardo di tappo (per Mastrelli, tuttavia, sia il termine tappo che il termine zaffo erano in uso presso i Longobardi dato che "con i Longobardi questi termini relativi alla conservazione del vino si siano accresciuti e specializzati (tappo è infatti termine generico rispetto al termine zaffo proprio del 'tappo della botte'). In mancanza di una migliore ipotesi etimologica azzardiamo l'ipotesi che anche il termine Inzafardare (sporcare) possa essere legato al long. zapfo (zaffo)

zaino (a Treppio esiste la variante zanghio) da zainja (cesto)

zana (cesta per i panni lavati) da zainja (cesto). In passato la "zana" era corrispondente anche al sottomultiplo di una unità di misura pistoiese: "Altri recipienti o misure erano utilizzati per il calcolo della gabella doganale: la principale di queste era la 'soma', cioè il carico che poteva essere portato da una bestia grossa (cavallo o mulo), che nel secolo XII era valutata in certi casi per sette omine, in altri per 500 libbre, oppure per 2 barili (di olio o vino) o due bigongie di vinaccia. La soma corrisponde anche a tre 'ZANE' od a tre 'panieri' grandi, tipici recipienti di vimini o di corteccia di castagno, ancora usati nelle nostre campagne, dei quali esisteva, ed esiste tuttora, il formato più piccolo, la 'ZANELLA' ed il paniere piccolo" (N.RAUTY, "Pistoia. Città e territorio nel medioevo", Società Pistoiese di Storia Patria, Pistoia, 2003, pp. 225 - 226). Pare che nella Toscana - occidentale (di cui il pistoiese è parte) il termine 'zana' indichi una cavità ove si raccoglie l'acqua mentre il suo diminutivo zanella o zannella significa 'fossetta che attraversa una strada', 'cunetta', e più comunemente 'fossatello lastricato a due piani inclinati che riceve e dà scolo alle acque piovane lungo le vie' (cfr. A. CASTELLANI, "Grammatica storica della lingua italiana - introduzione", il Mulino, Bologna, 2001, p. 81)

zana (bara dei bambini) da zainja (cesto)

zanchi (trampoli) Così a pagina 116 di Gente di Gaggio n. 30 del dicembre 2004). Da zanka (tenaglia)

zanne da zann (dente). Sullo stesso tema anche azzannarsi. A Prataccio di Piteglio il termine "zannato" di riferisce a lame che presentano intaccature e, pertanto, non tagliano bene

zazzera (chioma ribelle) da zazza (ciuffo di capelli). Ricordiamo che il doppione germanico di zazzera è "tattera" col significato di minuzia, masserizia priva di valore

zebare (riempire al massimo). Vedi alla voce zeppa

zebare (picchiare forte). Vedi alla voce zeppa

zebo (zeppo, riempito al massimo) Vedi alla voce zeppa

zecca da zihha (zecca). Forse dallo stesso tema si è sviluppato anche "azzeccare" (per attaccare, appiccicare, colpire nel segno), tuttavia è da tenere presente anche l'alto tedesco medio zecken (colpire).

zeccolo (peduncolo del fico). Forse da zihha (zecca)

zibolo (qualunque oggetto lungo e sporgente) da zippil (punta)

zipillo (zeppo, gremito). Vedi alla voce zeppa

zolla da zolle (massa compatta di sterco). In alcune località marginali della Toscana, come l'isola d'Elba, sopravvive anche il doppione germanico (gotico) tolla

zollo (zolletta di zucchero) Vedi alla voce zolla. A Prataccio di Piteglio il termine zollo indica, invece, un grosso pezzo compatto, specie di cibo ("mi diede un zollo di formaggio")

zollo (zotico) Vedi alla voce zolla

zombare(percuotere), il termine è collegato per il Devoto a "zompare" a sua volta incrociato con zampa (long. cianka + gamba). Sulla stessa base anche i vocaboli zomba, rizombare, rizomba, etc. tutti legati all'atto del picchiare e del castigare in genere. Oltre a zampa anche l'arcaico italiano grampa (arto di un leone) sembra un incrocio tra gamba e una voce germanica (cfr. A. CASTELLANI, "Grammatica storica della lingua italiana", il Mulino, Bologna, 2001, p. 75)

zubo (individuo scostante e zotico). Forse dal longobardo "ziber" / "zubar" (caprone offerto per il sacrificio). Anche nell'alto tedesco antico ritroviamo l'equivalente del termine 'ziber' ed anche in questo caso ha assunto un valore assolutamente negativo: "Nell'alto tedesco antico esisteva inoltre un termine specifico per animale destinato al sacrificio, zebar (d'origine oscura, forse da *ber > portare) continuato nel moderno ungeziefer, in un'accezione assolutamente negativa dovuta certo all'influenza della Chiesa che cercava di esorcizzare il residuo paganesimo" (S. BOSCO COLETSOS, "Le parole del tedesco", Garzanti, Milano, 1993, p. 21). Da rilevare in proposito la sopravvivenza (anche se in via di forte disuso), nel contado fiorentino e pistoiese, del termine zeba ad indicare la capra, termine che giunge autorevolmente a noi anche attraverso la poesia di Dante: "mei foste state qui pecore o zebe" (D. ALIGHIERI, "Inferno", canto XXXII, 15).

zuppa da supfa (polenta tenera)

l'elenco dei vocaboli di origine longobarda e germanica presente nell'Alto Reno e nel pistoiese continua alla pagina che segue: altri longobardismi