Secondo Marco Cecchelli, ad esmpio, il serpente
"è senz'altro il mistero del sottosuolo: è
l'ambiguità di ciò che può mostrarsi alla luce
eppure si nasconde entro le viscere della terra ... il serpente
è spesso il custode di mitici tesori nascosti, delle cui
leggende è ricca tutta la nostra montagna" (M. CECCHELLI, "Una
castagna sotto il guanciale", Gente di Gaggio, Gaggio Montano, 2001, p.
70).
E ancora:
"il serpente è per eccellenza l'avversario
dell'immortalità umana e dell'immortalità custodisce
tutti gli accessi, vale a dire ogni 'centro' ogni ricettacolo ove si
trovi concentrato il sacro (i "tesori nascosti" di tante tradizioni
compresa la nostra appenninica" (Ibd. p. 71)
Tale caratteristica rende il serpente assimilabile al drago:
"Nell'antica tradizione germanica, soltanto i draghi erano soliti
accumulare bottini d'oro e preziosi oggetti" (M. MASSIGNAN, "Le rune",
Xenia, Milano, 2002, p. 50).
Alla luce di questi elementi emerge dunque che il verme condivide la stessa natura del serpente e il serpente la stessa natura del drago. Dunque, mitologicamente parlando, il serpente, il verme e il drago sono tra loro perfettamente assimilabili. Una assimilazione quella "drago - serpente - verme" che trova nelle lingue germaniche
precisa conferma:
In lingua gotica il serpente è chiamato 'waurms', termine questo
rapportabile al moderno inglese 'worm' che significa verme. E' del
tutto evidente che un serpente che occupa la dimensione ctonia (come i
serpenti della nostra tradizione appenninica che custodiscono i tesori)
non potrà che essere rapportato al verme e, quindi, ci pare
confermata l'equivalenza drago, verme, serpente (1).
A controprova delle nostre supposizioni dovremo ricordare che nella
tradizione dei Walser, e di altre popolazioni germaniche alpine, è presente la mitica figura del
"tatzelwurm" (verme con le zampe) che, alla luce delle nostre
considerazioni, non potrà essere altro che il drago della
più classica tradizione germanica.
Riteniamo, quindi, di avere rintracciato un collegamento tra il drago
della tradizione germanica e il serpente custode di di tesori della
nostra tradizione appenninica.
Alla stessa categoria del serpente ctonio che mostra analogie con il mondo dei draghi è il toscano "serpente regolo" (dal latino regulus diminutivo di rex > re) che risulta diffuso dalla lucchesia fino al fiorentino. Questo serpente infatti vive in grotte, orridi, sotterranei, etc. Per l'orrido di Botri (lucchesia) si dice che sia "un grosso rettile con squame luminose come di metallo e con due piccole ali che gli permettevano di volare verso l’ alto. Spesso rapiva agnelli e anche bambini che trascinava con sé nei profondi anfratti dell’ orrida fossa di Botri" (www.ursea.it/appennino/ ORRIDO%20DI%20BOTRI/Orrido_di_Botri.htm ). Nell'Atlante delle tradizioni popolari pistoiesi si dice che il serrare nella stretta intercapedine tra legno e vetro una foglia appuntita di palma o d'olivo - figure a forma di ferro di lancia o di freccia - corrisponde a trafiggere il seprente regolo impedendogli di passare dai 'regoli' delle finestre (P. DE SIMONIS - C. ROSATI, "Atlante delle tradizioni popolari nel pistoiese", m&m Artout, Pistoia, 2000, p. 94). Questo misterioso serpente appare dunque come il segno di congiunzione tra la tradizione mediterranea del basilisco (il nome regolo non è altro che il corripondente del greco basiliskos > piccolo re) ed il mondo della tradizione germanica (2).
Riteniamo, al contrario, che nulla abbia a che fare col retaggio longobardo l'antica (e oggi scomparsa) tradizione treppiese di lanciare alla mezzanotte del 25 gennaio (San Paolo) dei sassi nell'acqua per tenere lontani, nel corso dell'anno, i serpenti dal paese. Questa tradizione infatti risale direttamente ad un passo degli Atti degli Apostoli (Atti 28, 3-6) in cui San Paolo rimane immune dal morso di una vipera. L'unico flebile indizio che collega a possibili ritualità longobarde - comunque incrociate con il rituale crstiano - questa tradizione treppiese è infatti rappresentato dalla compresenza simbolica del serpente e dall'acqua (vedi i Sanctivi Longobadi del Muratori)
(1)
Equivalenza del tutto palese per gli studiosi di filologia germanica (non a caso nella lingua Sindarin inventata dal celebre filologo germanico J.R.R. Tolkien il termine "lhûg" indica contemporaneamente draghi, serpenti e vermi e non a caso il celebre drago tolkieneniano Glaurung è rappresentato come un verme alato ricoperto di squame dorate). Equivalenza peraltro nota anche allo scrittore fiorentino - pistoiese Collodi che rappresenta nel suo "Pinocchio" (cap. XX) un serpente dai caratteri assai 'dragheschi': " Aveva veduto un grosso Serpente, disteso attraverso alla strada, che aveva la pelle verde, gli occhi di fuoco e la coda appuntuta, che gli fumava come una cappa di camino". In un'altro racconto collodiano dedicato all'infanzia compare la figura del serpente e in questo caso la figura del rettile si presenta come uno spirito ammonitore che riassume in sé delle autentiche caratteristiche sacre: "Il babbo di Pipì si voltò a guardare verso il punto indicato, e vide difatti in mezzo alla profonda oscurità della notte, una grossa serpe, che risplendeva tutta di vivissima luce rossa, come se fosse stata una serpe di cristallo, con in corpo un lampione acceso da tranvai. La serpe, stando a collo ritto, teneva i suoi occhi fissi in quelli dello scimmiottino. «Che cosa vuoi da me?», gli domandò Pipì, facendosi un coraggio da leone. «Vengo a portarti i saluti del signor Alfredo», rispose la serpe. «Povero signor Alfredo!... È forse partito per il suo viaggio?» «È partito pochi minuti fa, e mi ha raccontato che tu avevi promesso di accompagnarlo.» «È vero, è vero, è vero!... Domani forse partirò anch'io e spero di poterlo raggiungere in alto mare.» «Speriamolo davvero! A buon conto, ricordati, scimmiottino mio bello, che quando si promette una cosa, bisogna mantenerla! Hai capito?» Appena dette queste parole, la serpe sparì nel buio della notte e non si vide più". (cfr. anche la versione più 'italianizzata' della casa editrice EL: C. COLLODI, "Pipi lo scimmiotto rosa", Edizioni EL, Trieste, 2004, p. 42)