INCISIONI MAGICO SACRALI
DEI SASSI SCRITTI DELLE LIMENTRE (provincia di Pistoia) E SERIE RUNICHE

Nella pagina dedicata ai longobardismi e ai germanismi in Alto Reno e nel pistoiese ci siamo già occupati della questione. In questa sede ci limitiamo a mettere visivamente a confronto alcuni esempi di serie runiche e di incisioni, realizzate nel corso di molti secoli da uomini di culture differenti, rintracciate nei Sassi Scritti delle Limentre (Appennino Pistoiese e Pratese) e ad offrire qualche un piccolo approfondimento (1).

Pur continuando a sospendere il giudizio sull'origine delle iscrizioni runiche (e delle rune) e delle iscrizioni pistoiesi avanziamo, comunque, il sospetto che si tratti di eventi non collegati tra loro (in altre parole siamo propensi a credere che culture diverse, in tempi diversi e in luoghi diversi possano sviluppare simboli di uguale o simile fattura e che una di queste culture possa trasformare l'arte incisoria simbolica in un vero e proprio sistema scrittorio epigrafico). Questo sospetto ci induce a ritenere plausibile l'ipotesi di chi non crede a una "origine etrusca" e, comunque, alfabetica delle rune stesse (a nostro avviso ci pare più ragionevole immaginare che la serie runica sia sostanzialmente un prodotto autoctono della cultura germanica che, al più, può avere accolto qualche segno alfabetico proveniente dalla scrittura di altri popoli come nord etruschi, celto - leponzi, greci o romani)(2). A favore di una origine etrusco - italiana delle rune depone, invece, il famoso "elmo di Negau". In proposito scrive la Francovich Onesti: "Una tappa intermedia di questa trasmissione [dell'alfabeto etrusco fino ai popoli germanici] può essere documentata da una interessantissima iscrizione, quella dell'elmo di Negau (Austria) del II secolo a.C. circa; è in alfabeto venetico, ma il testo è linguisticamente germanico; non sono quindi ancora rune, ma qualcosa che porterà nel nord Europa, qualche secolo dopo, alla nascita dell'epigrafia runica. Il testo di Negau dice: 'harigasti teiva'. Il primo nome è sicuramente germanico (< harja-gastiz' = ospite dell'esercito, qui forse già nome proprio). Il secondo probabilmente germanico ('teiva' = dio, cfr. Tyr), influenzato forse dal venetico" (N. FRANCOVICH ONESTI, "Filologia germanica", Carocci, Roma, 2002, p. 135). Tuttavia molti importanti strudiosi di filologia mettono in dubbio la possibilità che l'iscrizione dell'elmo di Negau sia effettivamente germanica e dunque il suo valore probatorio è, in fin dei conti, piuttosto dubbio come dimostra la lunga citazione che segue: "Il primo documento linguistico che è stato attribuito al germanesimo... è l'iscrizione sul cosiddetto elmo B di Negau, uno dei due elmi iscritti in alfabeto nord- etrusco trovati a Negau nella Stiria, che sono stati variamente attribuiti ad epoche che vanno dal V secolo a.C. al I d.C. Nell'iscrizione, la cui corretta lettura è molto probabilmente harikhastiteivahil, si è riconosciuta e discussa la presenza di uno o due nomi di origine germanica: harigasti e teiva... Ma l'interpretazione germanica dell'iscrizione non è oggi così sicura come in passato. Prima di tutto infatti sono da tenere in considerazione alcuni fatti esterni, quali la posizione molto periferica del ritrovamento rispetto all'area attribuita agli antichi stanziamenti germanici e la datazione che, dal punto di vista archeologico, si fissa oggi con una certa sicurezza al V secolo a.C. Ma ancora più pertinente alla discussione è soprattutto il fatto che l'iscrizione si colloca, per quanto riguarda le caratteristiche epigrafiche, in ambiente etrusco settentrionale, visto le notevoli affinità con l'alfabeto retico o venetico - arcaico; anche dal punto di vista linguistico la nostra conoscenza dei dialetti italici settentrionali (che è assai limitata, ma certo migliore di alcuni decenni fa) ci consente oggi di non escludere un'interpretazione dell'iscrizione nell'ambito delle antiche lingue italiche settentrionali, di tipo retico o celto - retico" (M.V. MOLINARI, "La filologia germanica", Zanichelli, Bologna, 2005, p. 63)

Le nostre iscrizioni pistoiesi ci lasciano immaginare dunque che le rune germaniche, ben lungi dall'essere la copia di sistemi scrittori di altri popoli (e in particolare venetico - etruschi), non sono altro che l'espressione di una simbologia sciamanica evolutasi in una pratica scrittoria epigrafica come dimostra il mito dell'origine delle rune: "In una famosa avventura, il Dio [Odino], per appropriarsi della saggezza e dei misteri delle rune, restò appeso all'Albero del Mondo (Yggrdrasil) per nove giorni e nove notti, esperienza nella quale è facile vedere un rito d'iniziazione e che può essere in relazione con la scalata iniziatica degli alberi eseguita dagli sciamani siberiani" (M. CENTINI, "Le tradizioni nordiche", Xenia, Milano, 2006, p. 43). Peraltro anche le incisioni pistoiesi sono il risultato di una cultura sciamanica: "Quando mi fermo a guardare quelle incisioni, immagino quegli antichi uomini alle prese con una natura bella ma paurosa, tutta da conquistare, vincendo incantesimi ed ataviche paure. Forse cercando aiuto negli Spiriti dei boschi, incisero coppelle a mò di preghiera, e segni di genitali femminili come augurio di fertilità. All'entrata della Buca del Diavolo sembra ci siano segni astrali, come se fosse un punto di passaggio fra il cielo, la terra e gl'inferi. Questa opinione mi è stata suggerita dall'archeologo De Marchi. Se ciò fosse, gli strani segni che continuano verso l'interno potrebbero essere preghiere, scongiuri e invocazioni di antichi riti sciamanici" (intervento di Giuliano Toccafondi in LEONARDO DE MARCHI, "I sassi scritti delle Limentre - Appennino pistoeise e pratese", Gruppo di Studi Alta Val del Reno (Nueter), Porretta Terme, 2000, p. 12)

La nostra teoria sembra dunque fare gisutizia dell'affrettata preposizione espressa dall'Istituto Enciclopedico Italiano nel 1949:

"La scrittura runica ci appare dunque come un insieme di caratteri greci e latini, fusi inmodo da formare un sistema fonetico germanico... Non ci può [,perciò,] essere dubbio che le rune provengano dalle scritture classiche, e che non si tratta menomemente, come quà e la si va fantasticando, di qualche antichissimo fenomeno autoctono sul suolo germanico" (ISTITUTO ENCICLOPEDICO ITALIANO, "Enciclopedia Italiana", vol. XXX, Treccani, Roma, 1949, p. 241).

La tesi dell'Istituto Enciclopedico Italiano, peraltro, appare falsata dall'avere tenuto conto dei soli dati archeologici ("Le rune sono caratteri grafici particolari al mondo germanico che compaiono inizialmente presso i Goti sul Mar Nero verso l'anno 300 d.c." (Ibid.)) dimenticando che proprio nel IV secolo il vescovo Wulfila, inventando l'alfabeto gotico, decise di adottare le rune othala ed uruz per indicare i suoni "o" e "u" a dimostrazione che questi segni erano non una innovazione recente ma elementi consolidati del patrimonio culturale dei goti. Il Redattore dell'Istituto Enciclopedico Italiano inoltre sembra dimenticarsi che le fonti storiche classiche, e in primo luogo Tacito (nella sua "Germania"), testimoniano, nei territori nord europei e quattro secoli prima delle attestazioni gotiche, l'uso di segni magici che altro non possono essere che rune: "tagliano un ramo d'un albero da frutta in piccoli pezzetti, e li segnano con certi segni".
E' peraltro interessante osservare come proprio l'Istituto Enciclopedico Italiano riconosca una profonda divergenza tra la serie runica e la successione alfabetica vera e propria del greco e del latino che, nei fatti, può condurre proprio alla nostra interpretazione:

"Ma l'alfabeto runico mostra una divergenza evidente dagli alfbeti classici e cioè per quanto riguarda l'ordine dei singoli segni. Mentre l'alfabeto latino si presenta nell'ordine a, b, c, d, e, ecc., il greco alfa, beta, gamma, delta, epsilon, ecc., le 24 rune germaniche venivano disposte nell'ordine f, u, Þ, a, r, k. Il linguista svedese S. Agrell mise questo particolare ordine in rapporto col fatto che le rune venivano usate, oltre che come segni fonetici, anche a scopi magici. La magia runica, come pure l'antica magia dalla quale trasse origine, fu una magia di numeri. Ogni runa aveva valore numerico, e questi numeri erano connessi con potenze (spiriti) che il mago voleva asservire ai propri scopi" ("Enciclopedia Italiana", Vol. XXX, cit., p. 241)

Nei due esempi successivi è possibile confrontare un campione di incisioni pistoiesi (catalogate da Leonardo de Marchi) con la serie runica classica e la serie runica danese (3).


ESEMPIO UNO


ESEMPIO DUE



Oltre alle incisioni già catalogate da Leonardo de Marchi nel suo pregevolissimo lavoro riteniamo utile evidenziare la presenza anche di incisioni a X (vedi ad esempio la parete sinistra del corridoio della "Buca del diavolo") del tutto identiche alla runa gebo; tale ricorrenza appare anch'essa estremamente significativa dal punto di vista simbolico: "L'atto dello scambio con la divinità è invece simboleggiato dalla ... Runa [gebo], dove il triangolo superiore (energia dall'alto) e quello inferiore (energia dal basso) s'incontrano a metà: si tratta anche in questo caso di un simbolo ancestrale presente presso numerose culture, tra cui alcune tribù native del Nord America" (M. MASSIGNAN, "Le rune", Xenia, Milano, 2002, p. 30).

Di notevole interesse per la nostra ricerca sui germanismi e i longobardismi nell'Alto Reno e nel pistoiese sembrerebbero i numerosi esempi di "croce potenziata" catalogati da Leonardo de Marchi nei massi incisi  delle Limentre (i tipi  2.8.112, 2.8.117, 2.8.118, 2.8.121, 2.8.21, 2.8.33, etc.), questi  esempi di incisioni a "croce potenziata" sono infatti del tutto identici a quelli rintracciati  in Garfagnana  (Loc. Carbonaie, Castiglione Garfagnana) e così interpretati da Oscar Guidi:

"Tornando al masso 1, esiste, come accennato, una sostanziale differenza tra le incisioni presenti sulle due parti che risultano separate; mentre le incisioni cruciformi del pezzo fisso sono di un tipo molto frequente, che si riscontra in altri contesti ed anche su elementi architettonici di edifici, religiosi e non, della Garfagnana, quelle della lastra, ed espressamente le due croci potenziate, parrebbero avere un certo carattere d'arcaicità rispetto alle altre (un esemplare simile è peraltro presente sul masso posto ai piedi del santuario di San Viano)... Riguardo ai cruciformi potenziati e con piedistallo ci limitiamo a notare che tale simbolo è presente su monete merovinge  del VI - VII sec. (Cabrol e Al., 1948); per l'area italiana, e lucchese in particolare, la croce potenziata appare su monete longobarde coniate dalla zecca di Lucca, in un periodo compreso tra la metà del VII secolo e il regno di Desiderio (Corpus Nummorum Italicorum, XI). Volendo rimanere in questo ambito, si badi bene, ipotetico, si può aggiungere che un'attribuzione all'Alto Medioevo di questi cruciformi potrebbe appoggiarsi ad altri dati, quali: la coincidenza con numerosi concili, tra cui quello di Rouen del 668 (Rossi, 1981), nei quali si condannarono i culti delle pietre collegati a culti pagani precedenti, e dai quali iniziarono i processi di cristianizzazione dei luoghi 'pagani', per cui il simbolo cruciforme sarebbe stato tracciato a fini esorcizzanti e appropriativi; l'esistenza, nella zona ove è localizzato il colle, di un toponimo quale 'Collemadina', la cui origine germanica è comunemente ammessa (Ambrosini, 1980); si dovrebbe anche accennare al fatto che il Col Carbonaie è detto anche 'Col dei Lombardi', dal che sarebbe troppo facile risalire a 'Longobardi'; ma questo oltre che troppo facile è anche troppo semplicistico; a smorzare l'entusiasmo basta notare che per i garfagnini sono (o meglio, erano sino a poco tempo fa) 'Lombardi' tutti coloro che abitano al di là dell'Appennino"  (O. GUIDI, "Incisioni rupestri della Garfagnana", Maria Pacini Fazzi Editore, Lucca, 1992, pp. 34 - 46)
(4)

A raffreddare gli entusiasmi contribuisce, comunque, anche il giudizio di Leonardo De Marchi secondo il quale la tipologia incisoria delle croci barrate (di cui le croci potenziate sono solo un esempio) è generalmente da attribuire a tempi relativamente recenti (L. DE MARCHI, "I sassi scritti delle Limentre", op. cit. p. 112)

E' da rilevare, infine, come tra le incisioni rupestri pistoiesi sia possibile rintracciare anche l'antica e tristemente nota (perché adottata dalle SS naziste) Wolfsangel o "artiglio del Lupo" che sembra essere stato un antico simbolo a carattere di talismano utilizzato per preservare gli uomini dagli attacchi dei lupi (vedi il motivo incisorio n. 2.9.3 a croce latina con braccia oblique a svastica rappresentato a pagina 64 del libro "I sassi scritti delle Limentre: Appennino pistoiese e pratese" scritto da Leonardo de Marchi e pubblicato a Porretta Terme da Nueter nel 2000)

L'alfabeto etrusco per paragone



Per vedere un confronto più completo tra le incisioni delle limentre e la serie runica antica clicca qui

NOTE:

(1) Sulle incisioni rupestri dell'Alta Valle del Limentra vedi l'eccellente lavoro di Leonardo de Marchi pubblicato dal Gruppo di Studi Alta Val del Reno nel 2000: L. DE MARCHI, "I sassi scritti delle Limentre: Appennino pistoiese e pratese", Nueter, Porretta Terme, 2000.

(2) Alcuni elementi che possono supportare l'ipotesi di una origine indipendente delle rune germaniche da altre tradizioni scrittorie:

a) "le rune originariamente erano simboli, usati soltanto nei rituali  magici, nelle arti divinatorie e nelle cerimonie di culto" (A. SCAFFIDI ABBATE, "Introduzione allo studio comparativo delle lingue germaniche antiche", Patron Editore, Bologna, 1992,  p. 182). Come è noto i simboli possono essere rintracciati nelle culture più diverse anche prive tra loro di contatti. Anche le incisioni rupestri del pistoiese hano un carattere esclusivamente simbolico;
b) mentre per la scrittura etrusca, greca, latina, venetica si può parlare  di un "serie alfabetica" per il sistema scrittorio germanico è necessario parlare di una "serie runica" che non corrisponde alla successione dei segni dell'alfabeto (ibid. p. 182). Diventa a questo punto complicato ipotizzare la ragione per la quale gli antichi germani adottarono la serie grafica alfabetica, ma non la successione alfabetica;
c) troppe ipotesi sono state formulate sulla supposta origine non autoctona dele rune: latina (cfr. L.F.A. Wimmer "Die Runenschrift"), greca (cfr. O. Von Friesen, "Om runskriftes harkomst"), nordetrusca (C.J.S. Marstraender "Om runene og runenaunenes oprindelse"), picena (V. Pisani, "Italische Alphabete un germanische Runen"), celtica (M. Massignan, "Le Rune"), greco - romana (Istituto Enciclopedico Italiano). Troppe ipotesi, così diverse tra loro, non possono che porre dubbi sulla validità di ciascuna di esse;
d)  già in passato alcuni studiosi hanno ipotizzato che il modello usato dagli antichi germani per realizzare le rune fosse basato su antichi motivi incisi presenti in siti preistorici (ad esempio F. Altheim e E. Trautmann  ipotizzarono che le iscrizioni su pietra della Val Camonica furono il modello sul quale vennero sviluppate sucessivamente le rune). E' interessante rilevare, a questo punto, come una delle iscrizioni catalogate da Leonardo de Marchi tra i "sassi scritti delle Limentre" (la 16.1.2) sia praticamente identica alla celebre rosa camuna;
e) anche popolazioni non germaniche come i turchi di Orkhon (Mongolia) e i magiari inventarono sistemi scrittori sorprendentemente simile alle rune (le cosiddette "rune ungheresi" sono note anche col nome di 'rovas'). Circa quest'ultimo caso, tuttavia, è possibile che la serie runica germanica sia stata adottata (con alcune modifiche) dagli ungheresi stessi.

A qualcuno che legga questa pagina web potrebbe, al contrario, venire il dubbio che le nostre incisioni pistoiesi (alcune delle quali così simili alle rune) non nascondano in effetti una qualche antica espressione epigrafica nord etrusca, ma tale possibilità è decisamente da rifiutare: "ci si è domandato se alcune sfilze di motivi... non nascondessero possibili iscrizioni di epoca protostorica; una analisi comparata con le lettere dell'alfabeto etrusco settentrionale sembra tuttavia escludere tale possibilità" (L. DE MARCHI, "I sassi scritti delle Limentre", op. cit. pp. 31 - 32)

(3) A scanso di eventuali equivoci segnaliamo che nel lavoro di Leonardo de Marchi non viene instaurato alcun confronto con le rune. Detto confronto è, dunque, esclusiva responsabilità nostra.

(4) Anche le monete dei longobardi di pistoia presentono il motivo della croce potenziata: (cfr. N. RAUTY, "Storia di Pistoia", Vol. I, Le Monnier, Firenze, 1988, p. 126). Peraltro nella monetazione longobarda il motivo della croce potenziata è tutt'altro che raro e risulta presente, oltre che nella Longobardia maggiore (cfr E. A. ARSLAN, "Il Tremisse Stellato di Desiderio per Brescia", Fondazione Cab - Istituto di Cultura "Giovanni Folonari", Brescia, 2001), anche nella cosiddetta Longobardia Minor (cfr. le croci potenziate presenti nelle monete emesse dalla zecca di Benevento)