UN MITO GERMANICO NELL'ORLANDO INNAMORATO
DI MATTEO MARIA BOIARDO

Come abbiamo visto (vedi il riferimento a Plauto nella pagina principale della nostra ricerca) nella poesia epica germanica troviamo sorprendenti similitudini con l'opera di autori romani antichi. Per queste straordinarie analogie abbiamo ipotizzato una possibile origine da un comune sostrato culturale degli antichi popoli germanici e latini.

Le nostre modeste capacità (e i limiti stessi del nostro studio) non ci permettono di approfondire ulteriormente l'argomento, ma ci pare quantomeno doveroso ricordare che tracce di una comune mitologia germanico - romana  sono abbastanza diffuse nelle opere dell'epica germanica, anzi per certi miti si può perfino instaurare un rapporto di comunanza perfino tra greci, germani e latini. Rimanendo nel campo dell'Edda poetica possiamo trovare nel racconto di Gudhrun e Attila un preciso riferimento sia al mito ovidico di Progne, Tereo e Filomena che ad alcuni riferimenti alla favolistica esopea.

Tracce di questo mito giungono, nei secoli successivi, a lambire l'ambito della poesia colta italiana .... Una prova in tal senso è offerta da un passo del poeta tardomedioevale Matteo Maria Boiardo (Scandiano (RE) 1441 - 1499)

MATTEO MARIA BOIARDO
"ORLANDO INNAMORATO" - LIBRO I Canto VIII
EDDA POETICA (Canzoniere Eddico)
"Carme groenlandese di Attila"
OVIDIO
"METAMORFOSI" LIBRO VI
(vv. 39 - 41)

"Duo fanciulletti avevo di Marchino;
il primo lo scanai con la mia mano.
Stava a guardare l'altro piccolino,
e dicea 'Matre, deh per Dio! fa piano'.
Io presi per li piedi quel meschino...
Quasi vivendo ancora lo squartai;
De il petto a l'uno e l'altro trassi il core.
Le piccolette membra minuzzai...
Io stessa fui beccaro, io stessa coco.
A mensa li ebbe il patre doloroso,
E quelle se mangiò con festa e gioco"


(M. M. BOIARDO, "Orlando innamorato", Vol I, Einaudi, Torino, 1995, p. 172)
(vv. 35 - 36, 38)

"Si fece avanti allora la terribile [Gudhrun] a portare loro le bevande,
la forte sorella ai guerrieri, sceglieva il cibo da offrire con la birra,
spiritata, al pallido re. E disse ad Attila tutto il suo odio:
'Dei tuoi figli, o dispensatore di spade,
hai masticato insieme al miele i cuori sanguinanti;
digerisci o fiero, la carne umana,
mangiata come cibo accompagnato alla birra, buon pro ti faccia!...
Clamore sorse dalle panche, terribile frastuono di sudditi,
strepito sotto gli arazzi preziosi: piangevano i figli degli Unni
tranne la sola Gudhrun:  mai [lei] avrebbe pianto
i suoi fratelli [uccisi da Attila] dal coraggio d'orsi e i suoi stessi figli,
giovani, inesperti della vita che aveva partorito ad Attila"

(IL CANZONIERE EDDICO, Garzanti, Milano, 2004, pp. 292 - 293)
(vv. 636 ss)

"Progene trascina via Iti... mentre lui grida "Mamma, mamma!" e vorrebbe abbracciarla,
lo colpisce dove si uniscono il petto e il fianco, senza neppure distogliere lo sguardo...
Quelle membra ancor vive... sono fatte a pezzi: una parte va poi a ballottare incalderoni di rame,
una parte stride allo spiedo...
Questa pietanza Progne imbandisce a Tireo che nulla sospetta"
(Ovidio, "Metamorfosi", VI, 636 ss - Enaudi, Torino, 2005, p. 242)

Che il racconto del Boiardo sia derivato dalla stessa tradizione a cui l'Edda Poetica e le Metamorfosi di Ovidio fanno riferimento e non da altri miti ci pare evidente confrontando questo racconto con la Medea di Euripide o l'Ino della mitologia greca:  se in questi miti classici la madre si  limita a uccidere i figli (*) nell'eddica Gudhrun, nel dramma ovidiano(**) e nel racconto del Boiardo la  madre degenere  arriva  a squartare i figli e a farne piatto di portata per l'ignaro marito(***). In Esopo sono comunque presenti tracce di questo mito (****). In linea teorica sarebbe, comunque, possibile spiegare queste similitudini ricorrendo all'ipotesi che l'autore, o gli autori, dell'Edda Poetica abbiano ricorso a rielaborare testi romani, ma contro questa teoria andrà considerato il fatto che:
a) la Casina di Plauto e la storia di Progne non sono propiamente tra il materiale classico più noto e facile da reperire (specie nell'Islanda medioevale);
b) altri miti tutto sommato simili a quelli citati e comunque più famosi (si pensi a Medea) potevano essere utilizzati con esiti altrettanto drammatici;
c) l'ambiente islandese era geloso delle sue tradizioni (cfr. M. V. MOLINARI, "La Filologia germanica", Zanichelli, Bologna, 2005, p. 157).
A nostro avviso, dunque, questi elementi confermano l'ipotesi di una antica comunanza di alcuni miti tra latini, germanici e, in misura minore, greci

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(*) Per il mito di Medea cfr. EURIPIDE, "Medea - Ippolito", Mondadori, Milano, 1999,  pp. 79  ss.  Per il mito di Ino cfr. Ibid., p. 83
(**) cfr. Ovidio: Metamorfosi VI, 420 ss. (http://www.thelatinlibrary.com/ovid/ovid.met6.shtml)
(***) Pur senza arrivare alla macabra tragicità dei personaggi mitici si ricordano eventi storici in cui le madri uccisero figli, sposi e fratelli. Tra questi casi citeremo le donne cimbre dopo la sconfitta subita ai romani: "Perseguitando dunque coloro ch'erano messi in fuga, s'incontrarono in uno spettacolo degno di compassione. Percioche le donne che stavano alle carrette vestite di bruno, ammazzavano quei, che fuggivano. Et alcune di loro strangolando chi i mariti, chi i fratelli, chi i padri, & chi i figliuoli bambini con le proprie mani, gli gittavano sotto le carrette & sotto i piedi delle bestie, & poi s'ammazzavano da loro stesse con le spade" (Plutarco, Vite, 1^ Parte, ed. stampata a Venezia nel 1555 e citata da A. Castellani, "Grammatica storica della lingua italiana - Introduzione", Il Mulino, Bologna, 2001, pp. 32 - 33)
(****) Esopo testimonia in area greca la presenza del mito di Procne. A tale proposito basta pensare alle fiabe "l'usignolo e la rondine" e "la rondine spaccona e la cornacchia".