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CARATTERISTICHE TOSCANE DEI DIALETTI DELL'ALTO RENO

Sulle caratteristiche toscaneggianti dei dialetti altorenani (altre all'enorme contributo lessicale che va da frugiata a brocciolo, da frustone a Gua', etc.) si potrebbe osservare la fonetica:

In area altorenana, infatti, si affievoliscono fino a scomparire del tutto alcuni elementi che caratterizzano i dialetti emiliani e / o settentrionali, ovvero (il che è lo stesso) si manifestano caratteristiche dei dialetti toscani, ad esempio:

1) caduta del fenomeno delle vocali lunghe: è incredibile che nessuno si sia accorto che ben all'interno del confine emiliano (porrettano aldam oppure badese bur) avviene lo scempiamento delle vocali geminate (bolognese aldaam e buur), questo fenomeno si oppone a quello dello scempiamento consonantico osservato da Rohlfs;

2) trasformazione della forma emiliana di "o aperta" nella forma toscana di "o chiusa" in parole come il porrettano "codga" e dell'emiliano "e chiusa" nel toscano "e aperta" in parole come il porrettano "perdga";

3) mantenimento in molti dialetti dell'Alto Reno delle vocali "a", "e", "i" postoniche di parola proparossitona (es: il badese "cendere") che nei dialetti settentrionali tendono a cadere;

4) mantenimento in buona parte dell'Alto Reno delle "e" e "o" finali se non precedute da "n" (es: il lizzanese "brociolo"), fenomeno sconosciuto nei dialetti emiliani che tendono sistematicamente a eliminare le "e" ed "o" finali. In molti dialetti altorenani (pavanese incluso) l'uscita consonantica è impedita (attraverso l'uso della e paragogica) anche nei casi in cui la stessa lingua italiana la prevede (es: Estere anziché Ester o filme anziché film);

5) lambdacizzazione della geminata "rr" in "ll" in parole come il badese "ramallo", fenomeno sconosciuto nei dialetti settentrionali, ma ben noto in realtà come Pistoia (pistoiese "ramallo" per "ramarro");

6) mantenimento di "c" in luogo di "z" in parole come il porrettano "sdac" (setaccio) a fronte della forma emiliana "sdaaz";

7) il passaggio di "m" postonica di parola proparossitona > "mb" (es: il treppiese "cocombero") che lo stesso Rohlfs assicura essere del toscano ("Grammatica storica della lingua italiana e dei suoi dialetti - Fonetica", Einaudi, Torino, 1999, p. 334) e che trova nel dialetto della città di Pistoia degli casi esemplari (cocombaro, cendere, cambera). Al contrario in bolognese la forma è "nb";

8) caduta delle vocali d'uso emiliane, o settentrionali in genere, e sostituzione con vocali di tipo toscano (es: il pavanese "grostin" al posto del bolognese "grusten");

9) diversamente da quanto avviene nel settentrione mantenimento (vedi Pavana, Granaglione, Lizzano) delle consonanti doppie, tranne nel caso che la parola non abbia più di due sillabe con la doppia consonante che precede la vocale accentata (es: pavanese "gallo" e bolognese "gal");

10) assenza generale (es: pavanese, lagaccese, badese, lustrolese) di metafonia (l'assenza della metafonia è riscontrabile esclusivamente nei dialetti di tipo toscano)

A queste dieci caratteristiche dobbiamo, inoltre, aggiungere lo sviluppo dei nessi latini 'gl' e 'cl' nelle forme toscane 'ch' e 'gh'(talvolta questo sviluppo viene esasperato fino a dare luogo a una i seminconsonantica (J) che è tipica della Corsica o di certi dialetti meridionali (es: Jotta per ghiotta, oppure Jesa per ghiesa (=Chiesa))), nonché la particolare realizzazione dei plurali maschili in -i anziché in -s o in metafonia.

Restando nel campo della fonetica vale, ancora, la pena segnalare la presenza in Alto Reno di un suono del tutto peculiare definito dagli studiosi di linguistica "fricativa prepalatale sonora". Questo suono compare quando ce, ci, ge, gi non iniziali vengono mutati in sibilanti molto simili alla "j" francese di jardin. Avremo così paje > pace, bajio > bacio, cilesjia > ciliegia. E' probabile che la fricativa prepalatale sonora dell'Alto Reno sia una evoluzione, in chiave settentrionale, di due esiti fonetici toscani: la particolare g presente nel toscano "stagione" e il gruppo toscano "sc" (fricativa prepalatale sorda) presente in parole come "fascioli". E' da tenere presente, infatti, che:

1) nel dialetto bolognese non risulta attestata la fricativa prepalatale sonora e che la S è resa con un suono alveolare (con la punta della lingua fra "s" e "sc" italiani) assai diverso dalla "j" altorenana.

2) che negli antichi testi toscani la g di parole come "stagione" era resa come "sgi" e che linguisti come il Rohlfs o il Bertoni hanno ipotizzato una origine della fricativa prepalatale sonora proprio da sc (fricativa prepalatale sorda) e g mediopalatale toscana:

"Talvolta si è avuta una forma di palatizzazione della s (> sc), sotto l'influsso di una i seguente: Cecco Angiolieri caratterizza in uno dei suoi sonetti la pronuncia del dialetto pistoiese mediante l'esempio ascina 'asina' ... per l'antico lucchese è attestata la forma ascino (AGI 16,430), forma non ignota a certi dialetti moderni lucchesi (Nieri 18), mentre per altre zone della provincia di Lucca è attestata la variante sonora "ajino" (AGI 16, 430); allo stesso modo si spiegano kujì "così" e kuaji 'quasi', forme che si trovano ad Apiro in provincia di Macerata (SR 3, 131). Mediante il processo di palatizzazione potrà trovare la sua spiegazione anche la "j" che si trova in luogo di "s" in molte parola importate dal francese: cfr, per esempio, il toscano rugiada (piemontese rujà, emiliano rujè, lombardo rujada a fianco della forma più frequente rusada)". (G. ROHLFS, "Grammatica Storica - Fonetica", Torino, Einaudi, 1999, pp. 283 - 284).

"[nel toscano] il c fra vocali perde l'elemento dentale riducendosi a fricativa palatale sorda (sc), da paragonarsi alla fricativa espressa in francese da ch e il g in uguale condizione si semplifica parallelamente in fricativa palatale sonora (sg da paragonarsi col francese j), per esempio vosce, rasgione (scritto negli antichi testi sgi). E qui va anche il riflesso sj, per esempio prisgione. La sc e la sg non hanno [in toscano] l'energia e la durata delle corrispondenti consonanti francesi rappresentate da ch e f e sono da considerarsi antichi, sebbene non siano entrati nella pronuncia dotta o letteraria" (G. BERTONI, "Italia dialettale, Milano, Cisalpino Goliardica, 1986, p. 127).