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IL VERNACOLO PISTOIESE
CARATTERISTICHE "EMILIANE" DI UN DIALETTO DELLA TOSCANA NORD –
OCCIDENTALE


In altra pagina di questo sito ci siamo occupati della “emilianità”
di Pistoia.
Tale “emilianità” si manifesta anche nel vernacolo locale(1):
“Pistoia disponendo di una via naturale che la metteva in contatto
diretto con Bologna e la Val Padana, si era potuta aprire a quegli
influssi determinanti per la varietà toscana che definiamo
‘occidentale’. Alcuni di questi tratti del linguaggio pistoiese
appaiono molto antichi, altri appaiono invece come la conseguenza di
influssi che si manifestarono nella seconda metà del duecento”
(AA.VV. “Storia di Pistoia”, vol. II, Firenze, Le Monnier, 1998, p.
328).(2)
E in cosa consisterebbero queste peculiarità “emiliane” del
pistoiese?
Scorrendo i “sacri testi” del Rohlfs e della Società Pistoiese di
Storia Patria ne abbiamo rintracciati nove (3):
1) lo degeminazione della “rr”, con esito di tipo “emiliano” (es:
italiano ‘terra’, pistoiese ‘tera’, bolognese ‘tera’);
2) l’uso della “o tonica” al posto del dittongo “uo” (es: italiano
‘buon uomo’, pistoiese ‘bon omo’, bolognese ‘bon omen’);

3) il raddoppio della “m” in posizione intervocalica (pistoiese
‘stommaco’, ‘fummo’, etc.). Per il Rohlfs questo fenomeno potrebbe
essere ricondotto a influssi settentrionali (G. Rohlfs, “Grammatica
Storica”, Einaudi, Torino 1999, p. 311);
4) il passaggio di "m" a "mb" (per saperne di più clicca qui)
5) la tendenza alla non dittongazione della “e breve” latina (es:
‘mele’ anziché ‘miele’ a Pracchia e Cutigliano, ‘sete’ anziché siete
a Prunetta, etc.);

6) la presenza di alcune alterazioni consonantiche (es: ‘ugertola’
per ‘lucertola’ o ‘grostino’ per ‘crostino’) (4);

7) lo sviluppo di vocali anaptittiche (5);
8) la presenza del dittongo "ié" in luogo del dittongo "iè" (vedi
sotto);
9) l'uso più frequente rispetto al resto della Toscana del partitivo
(6).
A Pistoia, e nel pistoiese, si registrano altre quattro forme
settentrionali, che tuttavia sono molto diffuse in Toscana:
a) gli esiti sonori di parole come “lago”, “spada”, “stagione”
(anziché ‘laco’, ‘spata’, etc.);

b) l’uso di “s sonora” in parole come “fuso” o “viso” (è bene
precisare che, secondo il linguista Guarnerio (1918), a partire da
Siena in giù, tuttavia, l'esito della s è sempre sordo);
c) la pronominalizzazione obbligatoria del soggetto (il famoso "te
tu");
d) la negazione ridondante (es:"non lo so mica") che si accompagna a
quella semplice di tipo italo - romanza ("non lo so").
Sarebbe interessante approfondire l’argomento e relazionare il
dialetto pistoiese alle altre varietà di dialetti della toscana
nord-occidentale (specie il lucchese), ma purtroppo non abbiamo né i
mezzi, né il tempo (7).
Ci è parso comunque utile (e necessario) parlare del dialetto
pistoiese e delle sue peculiarità “emiliane” all’interno del più
ampio e complesso problema dei dialetti “gallo – toscani” (8).
7/4/2003 esiste ancora una altra peculiarità 'emiliana' del
pistoiese, per conoscerla clicca qui
Per leggere un esempio di dialetto pistoiese clicca qui
elementi gallo - italiani nella toponomastica delle Valli della Bure
cliccando qui
NOTE.
(1) Non è escluso tuttavia che alcune caratteristiche settentrionali
del pistoiese vengano da altra fonte (ad esempio dai mastri
comacini, la cui attività è ben attestata a Pistoia)
(2) Considerato che, secondo il celebre linguista Heinrich Lausberg,
gli elementi settentrionali adottati dal toscano sarebbero
provenienti principalmente da Bologna, si può ben arguire quale sia
stata la funzione storica di questa via che collegava Pistoia a
Bologna.
(3) In realtà, come si può vedere leggendo l'articolo, ne abbiamo
rintracciate ben undici.
(4) Giulio Bertoni nel suo "Italia dialettale" (1916) scrive: "è
comune [a lucchese, pisano, pistoiese] il digradamento di -c-
intervocalico in voci come 'regare' > recare, 'siguro' > sicuro, con
questo di specifico che il pistojese si spinge un po' più oltre e ha
esemplari peculiari" (G. BERTONI, "Italia dialettale", reprint
Hoepli, Cisalpino Goliardica, Milano, 1986, p. 129). Particolarmente
spinta nel pistoiese risulta anche la sonorizzazione della velare
iniziale (es: gostare, gabina, grosta, giondolo, etc.).
(5) “Sotto influssi provenienti dal nord la vocale di appoggio ‘a’
si è introdotta anche nelle zone settentrionali della Toscana (cfr.
in lucchese e pistoiese “arricordare”, “arriposare”,
“arrispondere”)” (G. Rohlfs, “Grammatica storica della Lingua
Italiana e dei Suoi dialetti”, pp. 472 – 473). Una ulteriore
peculiarità “emiliana” consisterebbe nell’uso del termine ‘vinti’
per ‘venti’ presente assieme alla forma ‘venti’ a Pistoia (cfr. G.
Rohlfs, Op. cit., p. 73).

(6) G. ROHLFS, "Grammatica Storica della Lingua italiana e dei suoi
dialetti - Morfologia", p. 116.
(7) Sarebbe ad esempio molto interessante sviluppare il discorso
della affricazione di “s” in “z” (es: il “zole”) o della apocope
dell’infinito (“magià”, “vedè”, “dormì”) presenti nel vernacolo
pistoiese. Per quanto attiene alle caratteristiche lucchesi,
pistoiesi e pavanesi del dittongo "ié" e del suffisso - otto clicca
qui.
(8) Sia chiaro... per noi il pistoiese non è un dialetto gallo -
toscano, ma un vero e proprio dialetto toscano (usiamo infatti la
parola "vernacolo pistoiese"). Riteniamo tuttavia che vernacolo
lucchese e vernacolo pistoiese costituiscano anch'essi una fascia
cuscinetto fra i dialetti toscani e i dialetti gallo - italici (I
fascia cuscinetto: dialetti gallo - toscani di tipo emiliano (es:
porrettano), II fascia cuscinetto: dialetti gallo - toscani di tipo
toscano (es: sambucano), III fascia cuscinetto: dialetti della
toscana nord - occidentale (lucchese e pistoiese)), fiorentino,
aretino. Può sembrare strano vedere nella III fascia il fiorentino,
ma il fiorentino ha subito non poco gli influssi delle parlate
settentrionali.
BIBLIOGRAFIA:
- G. GIACOMELLI, “Vocabolario Pistoiese”, Società Pistoiese di
Storia Patria, Pistoia, 2000, pp. 17, 20, 21.
- G. ROHLFS, “Grammatica storica della lingua italiana e dei suoi
dialetti”, Einaudi, Torino, 1999, pp. 73, 103, 104, 282, 283, 311,
472, 478, 479. - G. ROHLFS, "Grammatica storica della lingua
italiana e dei suoi dialetti - Morfologia", Torino, Einaudi, 1998,
p. 116.
- G. ROHLFS, “Studi e ricerche su lingua e dialetti d’Italia”,
Sansoni, Firenze, 1997, pp. 150 ss.
- P.E. GUARNERIO, "Fonologia romanza", Reprint Hoepli, Cisalpino
Goliardica, Milano, 1978, pp. 411, 486.
- G. BERTONI, "Italia dialettale", Reprint Hoepli, Cisalpino
Goliardica, Milano, 1986, pp. 128 - 130.


ALTRA PECULIARITA’ ‘EMILIANA’ DEL VERNACOLO PISTOIESE
"Il passaggio ad ‘i’ [di ‘e’] … è una peculiarità caratteristica del
fiorentino e del pisano, mentre il toscano meridionale, l’aretino …
e inoltre in parte anche i dialetti delle province di Lucca e
Pistoia restano alla forma con "e": cfr. … il pistoiese e lucchese
"lengua"; il lucchese "deto". Come del resto va bene ‘e’ anche per
l’Umbria, il Lazio e l’Italia Settentrionale". (G: ROHLFS,
"Grammatica Storica", Einaudi, pp. 172 – 173).
Si osservi bene una cartina della Regione Toscana e si vedrà che:
Arezzo confina con l’Umbria;
La Toscana Meridionale col Lazio;
Lucca e Pistoia con l’Emilia;
Firenze e Pisa separano Lucca e Pistoia da Arezzo e dalla Toscana
centrale e meridionale.
L’unica soluzione possibile che possa giustificare la forma "e" al
posto di "i" a Pistoia e Lucca resta, così, quella dell’influsso
settentrionale.


PISTOIA: UNA CITTA' "EMILIANA"
Il contributo altorenano alle peculiarità di Pistoia

"Pistoia, disponendo di una via naturale che la metteva in contatto
diretto con Bologna e la val Padana, si era potuta autonomamente
aprire a quegli influssi settentrionali determinanti per la
formazione della varietà toscana che definiamo occidentale" (AA.VV.
Storia di Pistoia, vol. II, Firenze, 1998, p. 348)
Chi ha occasione di sfogliare le varie pubblicazioni dedicate alla
Storia, alla cultura, alle tradizioni di Pistoia si accorgerà che il
numero di citazioni dedicate a Bologna è straordinariamente alto. I
rapporti fra Pistoia e la città felsinea sono sempre stati, infatti,
intensissimi e non soltanto dettati da contrasti. Pistoia è in
effetti la città più "emiliana" e più "bolognese" della Toscana,
come avremo modo di dimostrare:
Durante tutto il periodo medioevale "i legami tra le due città
[Bologna e Pistoia] furono fitti e molteplici "(ibid. p. 52). Da
Bologna i pistoiesi copiarono "al momento opportuno, anche la
legislazione" (Ibid., p. 55), e sempre a Bologna i pistoiei
mandavano i loro figli a studiare e i propri mercanti e banchieri ad
operare (Ibid. p. 55).
La presenza di mercanti e banchieri pistoiesi a Bolgna è tanto
consistente da fare della città emiliana la casa madre delle loro
compagnie, "dato che ivi si trovavano i maggiori dirigenti" (ibid.,
p. 170 e p. 185).
Bologna viceversa apprezzò molto i pistoiesi che furono in più
riprese nominati Podesta di Bologna, ovvero Capitani del Popolo
(ibid., p. 59).
Personalità di punta della Scuola pittorica bolognese operarono a
Pistoia (ibid. p. 36), come sta a tutt'oggi a testimoniare il
bell'affresco dipinto sull'abside della Chiesa di san Francesco
(ibid. p. 308 ss). Sempre nel campo dell'arte è da ricordare come a
Pistoia e a Bologna operassero Nicola Pisano e Guglielmo Pisano.
L'università bolognese fu assiduamente frequentata da alunni
pistoiesi: A Bologna studiò e insegnò Cino da Pistoia (ibi. pp. 327
ss) e, sempre a Bologna, si formavano i medici pistoiesi (ibid. p.
327).
Lo studioso americano William J. Connell c'informa che Bologna era
uno dei maggiori importatori di grano e bestiame prodotto a Pistoia
(W.J. Connell. "La Città dei Crucci", Pistoia, 2000, p. 38). Ed è
ancora a Bologna che i pistoiesi si rivolgono per gli studi
universitari (Connell, p. 91). Sempre il Connell c'informa dei
tentativi da parte della nobiltà pistoiese di consegnare la città
alla sovranità di Bologna (Connell, pp. 15, 100, 186 - 187, ma leggi
anche AA.VV. Storia di Pistoia, vol III, Firenze, 1999, pp. 6, 20
ss, 68).
Durante il XVIII secolo il più importante compositore (assieme a
Torelli) della Scuola Musicale di Bologna fu il pistoiese Francesco
Manfredini. Sempre in campo musicale va ricordato che il celebre
costruttore d'organi Pietro Agati iniziò la sua rinomata produzione
"dopo un periodo di addestramento a Bologna " (AA.VV., Storia di
Pistoia, vol IV, Firenze, 2000, p. 287).
Rimanendo al XVIII secolo si deve ricordare che l'azione del Vescovo
di Pistoia Alamanni era ispirata (come quella del Vescovo di
Fiesole) a quanto stava facendo a Bologna il Cardinale Lambertini
(cfr. Storia di Pistoia vol. III, Firenze 1999, p. 308). Sia pure di
sfuggita si ricorda, peraltro, come la Cattedrale di Pistoia sia
dedicata anche al Santo bolognese Procolo (cfr. Storia di Pistoia,
vol. I, Firenze 1988, p. 221).
Rimanendo nel campo della cultura numerosi furono i contatti anche
in pieno ottocento fra Bologna e Pistoia (cfr. Storia di Pistoia,
vol. IV).
Anche lo stile archiettonico di Pistoia (almeno di certe sue parti)
fu influenzao dalla città emiliana: le case di Porta al Borgo
realizzate nell'800 erano tutte ad un piano e con porticati "secondo
lo stile bolognese e modenese" (Storia di Pistoia, IV, p. 195).
Ma chi o cosa ha reso Pistoia e Bologna così legate?
Il brano che abbiamo letto all'inizio dovrebbe aiutarci a
comprendere: quella ragione siamo noi stessi, l'Alto Reno, la sua
strada. Non è un caso che durante il XVIII secolo si continuò a
preferire per i collegamenti con la pianura padana l'antica via
bolognese anziché la modernissima via per Modena (Storia di Pistoia,
III, p. 172)


UN ESEMPIO DEL DIALETTO PISTOIESE
PREMESSA

In merito al dialetto pistoiese registriamo un passo di una
graditissima lettera del prof. Tapani Salminen (redattore, per la
sezione Europa, del "Unesco Red Book on endagered languages")
"The Pistoia dialect seems highly
interesting and undoubtedly endangered"
ovvero:
"Il dialetto di Pistoia appare estremamente interessante ed
indubbiamente in pericolo di estinzione"

Pubblichiamo dunque un esempio di questo dialetto, non solo al fine
di poterlo paragonare ai dialetti gallo - toscani dell'Alto Reno, ma
anche come testimonianza di un mondo che sta scomparendo

L'ESEMPIO
La Madonna voltata di dreto
A un parroo di 'ampagna gli vienze 'n idea di fà fà
una bella Madonna tutta nova perchè quella 'he ciavevano
'n coresto paese da tanto 'he era vecchia era
tutta rotta eppò 'un zi vedea più nulla. Fa vienì uno di
fori apposta e tutti i giorni 'un gli dea altro 'he cipolle;
la mattina a culizione pan' e cipolle, a desinare
pan' e cipolle, e a cena pan' e cipolle, e 'un zi mutaa
mai. Fa lu': O che questo prete 'u' mmangia altro 'he
cipolle?", ma 'un gli disse ma' nulla, tirò a fà '1
zu' lavoro e fece la su' Madonna per bene hom' avea
fissato, altro 'he 'nvece di fagli la testa voltata davanti
glie la fece voltata di dreto.
Quande l'ebbe finita 'l parroco la volze vedè come
era vienuta, appena la vedde, dice: " O come ma' ha la
testa voltata di dreto? ". Dice 'l pittore: Che vòle,
gli dea noia 'l puzzo delle cipolle, e le' s'è voltata 'n
là " .
Tratto da "Racconti popolari pistoiesi in Vernacolo Pistoiese"
a cura di Rodolfo Nerucci - Pistoia 1901 - ristampa anastatica per
le Edizioni Can Bianco - Niccolai Tipografia - Pistoia 1984


La Fiaba della Volpe e del Lupo nel Dialetto di Montale Pistoiese
dalle "Cencelle da bambini nella stietta parlatura rùstica di
Montale Pistoiese"
raccolte da Gherardo Nerucci (Pistoia, Tipografia Rossetti, 1880)
La favoletta è interessante non solo perché abbastanza simile alla
fiaba porrettana della
volpe, del cane e del lupo, ma anche perché è in un dialetto rustico
pistoiese che risente
già del fiorentino / pratese. Inoltre il dialetto di Montale ha
contribuito ad alcuni eventi fonetico
linguistici del dialetto di Treppio, come il particolare ghi (vedi
il treppiese "ghi aveva l'ascaro de
la su mamma")
La Gorpe e r Lupo.
La gorpe segaa un campo di grano, e facea un cardo
un cardo da nun si dire; la gorpe sudaa filo filo e 'ghi
aea molle tutt' i' pelo. Deccoti a un tratto apparisce i'
lupo. Dice:-- « Gorpe, i' che zazzichi '?>> - Dice la
Gorpe: - « Tu 'un lo 'edì I' sego i' grano; e se tene
m' aiti, i' te lo doe mezzo, ~ - r lupo s-ubbito si mettiede
a opra, , cuando la gorpe scrama: - « Lupo, e'
roina cuella cuercia, e se cuarcuno nun vae a fagghi
da puntello, e' la ci stiaccia diviato. Vo' ire tene, che
se' piue tògo e forzoluto?>>- Arrispond' i' lupo, che
'ghi ène un' animalaccio baiocco a i' paragone della
gorpe~ -- « Noe. I' sego piue volenchieri, e tene arreggila
la cuercia ~ - Sicchene la gorpe andette sotto
la cuercia, e doppo sdraia a i' pie' d'i' pedale, e' dor-
mie un bèr sonno, e 'n cuer mentre i' lupo s' arrapinaa
co' i' farciolo 'ntra le: ranfie' e concredea che la gorpe
ghi facessi i' servizio di chienello a i' siùro da ugni
ristio. Poi i' grano e' lo battenno assieme e lo tiranno
pe' ripulillo, e la gorpe furba, de' du'monti diede sortanto
a i' lupo la loppa. A casa la gorpe e i' lupò,
ognuno della su' robba, e' ci reciano i' maccheroni; ma
nun ghi si voleano 'mpastare a i' lupo, e nun ci fue
versi che ghi rinuscissan mangiarecci. Dice lui in n'i'
riscontrassi co' la gorpe: -« Ch' eran bolli e' tu'. maccheroni1
E' mia e' ghi hoe butti 'nzenza toccagghi,
tant' enno cattii e sciapiti. » - « Gua' ! » - dice .la
gorpe:- « 'Ghi ène segno che nun sia' stato brao n'i'
condimento. »- Dic'i' lupo:- « Com' ha' fatto tene? »
E la gorpe: - « Cuando la cardaja 'ghi sbolloraa, i' ci
hoe fitto dientro la coda, e accosie i' glIi ebbi co' i' brodo
fresco.» - I' lupo, allocco, arritorna 'n casa, accend' i'
foco e giue! tufa 'n molle la coda dientro la cardaja a
bollore. Ma e' fue lesto a ritiralla fora, e 'n 'ugni mo'
e' se la cocette da rimettecci tutt' i' pelame. 'Ghi ugnolaa
i' lupo da i' male, e vienuta la gorpe a troallo, dice
lui: - « Pe' datti ascorto decco cueI' che m' ène successo.
« - Dice la gorpe: - « Lo 'rédo! Ma io io e la
'ntinsi subbito n'i' diaccio la mi' coda, e i' fu'bell' e
guarita in n'i' vero mumento. » ~ Anco i' lupo e' corse
'ntrafinefatta a 'na di acciaia, ma 'ghi andette 'n sn
l'undici unce che lui nun isbasì dallo scasimo lì pe' lie.,
Basta! e' rinsannichi propio perchene: 'ghi aeà la su' dispensa
c'ene ugni ben di Dio. E s'hae da ire a mangiagghi tutto l'ap-
parecchio>> Arrispond' i' lupo, che già e' si sentia la scialiva
dello 'ngordo sotto la lingua: <<'Gnamo pure.>> - Donche e' si
messano
'n viaggio la gorpe e i' lupo, e furno presto alla dispensa d' i'
Rene, e
da un finestrino bu-
conno 'n cuer logo tutto pienato di pietanze ghiotte.
Ne feciano 'na strippata smenza: ma la gorpe ugni po'
po' e' badaa a misurassi n'i' finestrino pe' cognòsce' se
lei e' ci potea ripassar' alla libbera, e cuando s' accorgette
ch' i' su' corpo ci stava pe' l'appunto, dibandona
i' lupo e si rimpiatta 'ntra l'erba a aspettallo co' tutt' i'
su' comido. l' lupo 'n scambio e' s' era abbutto 'nzenza
mitidio a marimétte' la rotta, e cuando vorse sortire,
pe' la troppa gonfiezza nun ghi rinuscette ritraessàllo
i' finestrino, sicchene e' si svaccoe lie pe' le tère, e 'ghi
strofiaa che parea un mantrice. Deccoti a un tratto
viensano i servitori e aprinno la dispensa, e a male
brighe loro veddano lo sciupinìo e cuella beschiaccia
rimpizza, comincionno a tambussallo i' lupo co' de' randoli,
'nzino a tanto che, concredendo d'aello bell' e
morto pe' via d' i' sangue che lui verciava da ugni
parlea verga fero, l'agguantonno pe' le zampe e di romano
lo scaraventonno fòra n'i' campo. La gorpe che
ti fa! E' c'era un fragolaio, e dapprima e' ci si rimbotoloe
ben bene, sicchène anco lei 'ghi apparta come se
'ghi nessi' i' pelame rosso sanguinante, e po' ghi dicette
a i' lupo: - « Lupo, che t' èn' egghi 'ntavvienuto? »
Arrispose i' lupo: -« E' m' han pago a son di legnate.
E tene? " - « Oh! " - scrama la gorpe -» M' ènno
tocche le mia anco a menè. I' so' fracascia a tono, e
'un mi reggo 'n piedi. 'N t' ugni mo' bigna fuggi' via,
'nzennonoe. e' ci ammazzano addirittura. » -:- Abbenechè
co' isforzo, i' lupo s' arrizzoe da diacere e camminaa
barcolloni, cuasimente che lui fussi stato imbriaco,
e cuando 'ghi arrionno a una ripita, cuella traditora
della go1'pe, lamicando, e' principioe a lamentassi
alla 'nfinta: - « Lupo, i' 'un ne posso piue. Pigghiami
a birigiotto, perchene a casa nun mi ci condusco' accosie.
" l' lupo e' nun volea, ma da utimo i' babbaleo
e' se la lassoe rampicà' su i' groppone la gorpe, e lei
pe' isbeffallo si mettiede a canticchiare 'ntra le zanne:
>>Me ne voe piano piano.
Che j' malato port' j' sano. ,.<<
Dic' i' lupo co' l' anzlma e allacco da i' male e da i'
peso: - « Gorpe, i' che barbotti 1 Ascendi ch' i' nun
t' arreggo. » - E la gorpe lo strignea piue megghio
'n su le lonze pe' nun fassi iscaricà' :da i' lupo, e po'
seguita sgricciando:
« l' ti dìo 'na canzonetta,
Che la coda ti rimetta. »
Ma i' lupo nun andiede piue 'nnanzi; bensì cascoe di
scoppio'n tèra, e doppo aére annaspo co' le ci anche
all' aria, til'oe l' utimo fiato e sbasì; sicchene la gorpe
trionfante ghi facette i' funerale co' i' dagghi seportura
dientro alle su' propie budella.