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I MAGGI
I "Maggi" (o "Cantamaggi") sono una delle tradizioni più antiche della nostra montagna. L'origine di questa manifestazione appare comune ad altre località dell'appennino tosco - emiliano, con le quali si festeggiava la primavera. Di queste feste del "maggio" rimangono nell'Alto Reno molte tracce, alcune ridotte a gioco e altre che s'intrecciano a feste cristiane.
I due principali "Maggi" di questa zona sono quelli di Sambuca e quelli di Treppio, ma essi erano diffusi anche nell'Alto Reno bolognese (Camugnano, Granaglione, Castel di Casio).
Durante i "Maggi" - che si tenevano nella notte fra il 30 aprile e il 1° maggio - un gruppo di "maggianti" intonava dei canti con i quali si chiedeva al padrone di casa di fare una offerta, di solito in natura. A Granaglione i "Maggi" potevano essere "drammatici", e cioè consistere in una rappresentazione vera e propria cantata in versi, di solito in ottava rima.

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The `Mays` (or "Cantamaggi") are one of the oldest traditions of our mountains.The orgins of this manifestation appear common to other locations of the Tuscan- Emilian Appennines ,thats how they had festivals of spring.Of these festivals "Mays" there are many traces.Although they are reduced to games or cristian festivals.The two principal "Mays" of the zone are those of Sambuca and those of Treppio,but others in Alto Reno bolognese are Camugnano,Granaglione and Castel di Casio.During the "Mays" that they held on the nights between April 30 and May 1,a group of "Maggianti" harmonized some songs and asked owners of the houses to make an offering as usual.At Granaglione the "Mays" were able to be dramatic and made a true and actual representation cantata in verses as usual in eight rhyme.

Nella foto l'abitato di Fossato (Comune di Cantagallo)

Quando il merlo canta

Da Microstoria Anno IV n. 26 (novembre / dicembre 2002) pp. 26 - 27

MUSA CHE SORGI DA QUELL'ARIA FINE

Musa che sorgi da quell'aria fine

Dall'acqua fresca e molto frequentata

Dove fanno i poranci e le scarline

Dove ne sta la neve riservata

Dove pasce le pecore e caprine

Dove Teresa ne fu abitata

'N vetta i' Bucciana tutto l'Appennino

(Là che) si scopre Cantagallo

e (tutto) il Monachino

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"... Ci sono canzoni e musiche del nostro patrimonio folkloristico, oggi recuperate con registrazioni di testimonianze orali (anziani che ripetevano quei canti a memoria - da qui l'abbondanza delle versioni) che raccontano gli aspetti della vita toscana di quel modo di vivere tra la fine dell'Ottocento e la seconda metà del Novecento quando gli italiani (possiamo ancora vederli nelle foto d'epoca) vestivano i calzoni e le maglie di lana sulla pelle, con i visi arricciati, le mani incallite dal lavoro della terra e l'aria di chi non ha mai visto niente se non il bosco, il gregge e il campo.

Poco tempo fa è uscito su cd "Quando il merlo canta", un interessante raccolta di canti e suoni delle migrazioni stagionali in Toscana tra Appennino, Corsica e Maremma, tre terre lontane tra loro ma unite dal filo di tutte quelle persone (nonni, bisnonni di molti di noi) che si spostavano dall'una all'altra o per la transumanza delle greggi, o per fare il carbone. Da questi pezzi di tradizione musicale toscana è facile quindi ricostruire, come dicevamo, un pezzo della nostra microstoria. Da alcuni versi per esempio di Musa che sorgi da quell'aria fine (ottava rima), canto di una pastora nata a Castello (Cantagallo) nel 1861, si può intuire infatti il paesaggio alpestre di pastura fra l'Alta Val del Bisenzio e l'Alta Val del Reno, nel bel mezzo dello spartiacque appenninico.

... L'ottava rima è un componimento poetico cantato, molto diffuso in Toscana, a schema metrico fisso e intonato su una linea melodica che pò mutare leggermente tra una zona e l'altra della regione. I primi esempi risalgono addirittura al Boccaccio e, anche se non sappiamo esattamente la data di quella improvvisata, possiamo immaginare che nella Toscana del trecento fosse anch'essa praticata da qualche cantastorie o menestrello. Con il modulo fisso dell'ottava, molti aspiranti "poeti" o "cantori" o più semplicemente gente comune, talvolta addirittura analfabeta, poteva cimentarsi in racconti di fatti, storie oppure fare a gara (a contrasto) con un altro "bernascante" su due soggetti contrastanti senza bisogno di conoscere la musica o di avere strumenti musicali, utilizzando solamente la propria inventiva e la voce. Era (ed è ancora) con una ottava che i "maggiaioli" chiedevano il permesso di cantare in un casale oppure per mandare accidenti a qualche padrone particolarmente avaro e inospitale..."


CANTAR MAGGIO DI ORSIGNA

(frazione di Pistoia nell'Alta Val del Reno)

Son tornato davanti a questa casa

sempre più anziano e con meno coraggio.

Il tempo passa cosa me ne importa,

son di nuovo qui per cantar maggio.

Ma prima di cantar chiedo licenza

che il permesso ci date di cantare

anche se non ci aprite e non ci date niente

si canta il nuovo maggio allegramente.

Siam venuti in questa sera

a cantare il nuovo maggio

che da aprile è un buon passaggio

nella vaga primavera,

siam venuti questa sera.

Siam venuti dalla Francia,

si è girata tutta quanta

dalle Ande agli Appennini

siamo in cento maggerini,

siamo in cento maggerini.

Anche l'usignol selvaggio

va cantando alla foresta

con quel canto di gran festa

par che dica evviva maggio,

anche l'usignol selvaggio.

Siamo qui venuti in tanti,

molti più di quell'altr'anno,

son venuti insieme a noi

quelli che cantar non sanno,

maper noi di vecchio stampo

questo non ci dà pensiero.

L'importante è averli accanto

perché imparino il sentiero.

La massaia già si sente

che l'è entrata nel pollaio

e dell' ova un centinaio

ce ne dà se non si pente,

la massaia già si sente.

Se dell'ova a noi ci date,

pregherem per le galline

che da volpi e da faine

siano tutte liberate,

se dell'ova a noi ci date.

Siam venuti a salutare

chi sta sotto a questo tetto,

siano al fuoco siano a letto

siano pur dove gli pare,

siam venuti a salutare.

Ragazzine che dormite,

dalle piume il capo alzate.

Vostro amor non è venuto

e per noi manli;ò un saluto,

ragazzine che dormite.

Quella vaga rondinella

che fa il nido sotto il tetto,

anche a voi ragazza bella

vi ci vuole un giovanetto,

quella vaga rondinella.

Ci fermiamo a questa casa,

dove c'è una donna sola,

con l'intento di portare

questo canto che consola,

ci fermiamo a questa casa.

Nella valle dell'Orsigna

questa sera c'è gran festa,

chi la vuoi godere tutta

lasci aperta la finestra,

nella valle dell'Orsigna. I

Chi il cantico di maggio

tutto intero vuoi sentire,

allafesta dell'Orsigna

voi dovete intervenire,

chi il cantico di maggio.

Per chi è nuovo della zona

una cosa ha da sapere:

siam venuti per cantare

e accettiamo anche da bere,

per chi è nuovo della zona.

Siam contenti di portare

un momento di allegria,

se qualcun ci può aiutare

lasci tutto e venga via,

siam contenti di portare.

Se ci date anche da bere

ci si mette anche a sedere,

se ci fate un complimento

ci sifa il pernottamento,

se ci date anche da bere.

Seci date una mezzana

vi si canta una settimana,

se ci date un buon prosciutto

vi si canta il maggio tutto,

se ci date una mezzana.

Ci scusiam per l'ora tarda,

prima non si può venire,

noi perdiamo tanto tempo

da chi non ci vuole aprire,

ci scusiam per l'ora tarda.

Ci fermiamo a questa porta

per portare l'allegria,

una breve serenata,

un salto e si va via,

ci fermiamo a questa porta.

Al padron di questa casa

se a noi niente vuoI dare,

tanti sassi c'è in quel muro

tanti frignoli nel culo,

al padron di questa casa.

Noi di qui si fa partenza,

in altre parti s'ha da andare

e con molta riverenza

vi si deve salutare,

in altre parti s'ha da andare.

(in R. BECHERUCCI CORRIERI, "Val d'Orsigna", CRT, Pistoia, 2000, pp. 29 - 32)


Maggio di questua

(Castel di Casio, Bologna)

Viene di maggio che fiori' la liova

le vostre galline facesser tante uova.

E benevenga maggio!

Viene di maggio che fiori' l'ortica

se avete figli Gesu' li benedica.

E benevenga maggio!

Siamo i primi primi e vi vogliamo dire

Santa Maria lodare e benedire.

E benevenga maggio!

Siamo i primi primi e vi vogliamo fare

Santa Maria lodare e ringraziare

E benevenga maggio!

Signor curato con quelle calze nere

vada in cantina e ci porti da bere!

E benevenga maggio!

Viene di maggio che fiori' la liova

le vostre galline facesser tante uova.

E benevenga maggio

Viene di maggio che fiorisce l'erba

le vostre galline facesser tanta merda!

E benevenga maggio

Viene di maggio se non ci date niente

alle vostre galline ci venga un accidente!

E benevenga maggio

Viene di maggio veniamo col tamburo

se non ci date l'ove vi venga il bruciaculo!

E benevenga maggio


STORNELLI

una tradizione toscana

Silvestro Lega: il canto dello stornello

Dal "Vocabolario della lingua italiana" dello Zingarelli (Zanichelli Editore):

"STORNELLO: Canto popolare, spec. dell'Italia centrale, composto di due endecasillabi preceduti da un quinario, nel quale c'è spesso l'invocazione di un fiore".

Di stornelli in Alto Reno se ne cantavano tanti: da Case Calistri (Nueter, n. 1, 1975, pp. 33 - 36) a Monte Acuto (La Musola, n. 30, 1981, p. 202).

L'occasione preferita per cantare stornelli era rappresentata dalle "veglie", una occasione per bere, mangiare e fare conoscenza, ma anche per lanciare sfide: "Io di stornelli ne so tanti ... che ne sa più di me si faccia avanti".

"La derivazione degli stornelli è certamente toscana, anche se variata, avendo ad esempio perso la caratteristica del verso pentasillabo (quinario)" (Nueter, 1 (1975), p. 36).

Ma donde viene questa tradizione?

Secondo "La Musola" (n. 30 (1981), p. 202) la tradizione è stata importata dalla Maremma Toscana, tuttavia la presenza nell'appennino lucchese, pistoiese, fiorentino, pratese di questa tradizione lascia supporre una origine più prossima.

"O fior di pesca / Sei vinto in gentilezza da Maresca / ricca di belle donne e d'acqua fresca"

(stornello di Maresca: San Marcello Pistoiese)

In ogni caso lo stornello, uno degli eventi caratteristici della cultura altorenana, è toscano, a conferma del fatto che senza il contributo della Toscana la nostra cultura sarebbe un'altra cosa e che "noi non saremmo noi".


GLI STORNELLI di Casa Calistri (Granaglione)

Nueter n. 1, anno I, 1975, p. 34

lo di stornelli ne so tanti

ne so per caricar tre bastimenti (r) I

chi ne sa più di me si faccia avanti.

lo di stornelli ne so uno

lo metto in cima a un corno e poi lo suono (r)

chi dice mal di me è un bel cretino.

Fior di lupino e poi fior di lupino

noi siamo in due innamorati di uno (r)

ognuno tiri l'acqua al suo mulino.

Fior di ginestra e poi fior di ginestra

se vuoi il marito fattelo di pasta (r)

e mettilo a seccare alla finestra.

Fiorin di mela e poi fiorin di mela

la mela è dolce e la buccia amara (r)

le donne non mantengon la parola.

Ho seminato un campo di lupini

e sono nati tutti a sette rami (r)

cos'han da dir di me questi arlecchini.

Ho seminato un campo di accidenti

se la stagione me li tira avanti (r)

ne ho per te e per tutti i tuoi parenti.

lo me ne voglio andare me ne voglio

a pascer l'erba come fa il coniglio (r)

il ben che ti ho voluto lo rivoglio.

lo me ne voglio andar verso Faenza

dove una volta avevo la speranza (r)

ora non ce l'ho più, ci vuol pazienza.

M'affaccio alla finestra e vedo il mare

e vedo le barchette a me venire (r)

ma quella del mio amor fa un gran tardare.


BALLI TRADIZIONALI

Sull’unica cultura appenninica dell’Alto Reno Bolognese e Pistoiese

Da "Microstoria", n. 10, anno II (2000), p. 19

"I balli tradizionali dell’Appennino toscano sono oggi scomparsi, ma di essi rimane una testimonianza indiretta nella presenza nella montagna del canto che lo accompagnava, sostituendo, in mancanza di musicisti, la versione strumentale.

Il ballo e il canto sono quelli della "Veneziana", descritta alla fine dell’ottocento dall’Ungarelli come ballo del versante bolognese dell’Appennino, dal Giannini come canto ballato della montagna lucchese e dal Tigri come ballo della montagna pistoiese. Nonostante il nome del ballo, infatti, l’ipotesi della sua lontana origine veneta è appesa al tenue filo della proliferazione in età rinascimentale di una serie di arie cosiddette "alla veneziana"…

Nella prima parte [del ballo], le coppie eseguono una passeggiata (lo "spasso"), in cui gli uomini procedono in avanti, mentre le donne avanzano in cerchio e mantenendo l’indice della mano sinistra sotto la palma della mano destra piegata e alta dell’uomo. Nella seconda parte, ogni coppia si dispone in posizione frontale, e descrive un piccolo cerchio, che ciascuno esegue sul posto, in accordo col moto dell’altro, in modo che quando uno dei due avanza l’altro indietreggi, e viceversa ("balletto"). Al termine del balletto ogni donna fa alcuni passi in avanti, lungo il cerchio, portandosi a lato dell’uomo successivo, e il ballo rincomincia con le nuove coppie. Questa alternanza di passeggiata e balletto dura finché i musicisti decidono di suonare la parte conclusiva del ballo, la "tresca" , nel quale si rompe la struttura circolare ed ogni coppia danza per proprio conto, con la donna che indietreggia a piccoli passi e l’uomo che le resta davnti, incalzandola con un passo più saltato e le braccia protese e rigide, come per tentare di afferrarla, con una esplicita logica di corteggiamento".

Sempre sul numero 10 di Microstoria (pag. 23) viene ricordato un altro tipo di ballo (chiamato "lanterna magica") simile alla giga che era diffuso nella Alta Valle del Reno bolognese e pistoiese.

Ascolta la "lanterna magica": http://it.geocities.com/kenoms3/altorenotoscano/tradizioni/lanterna.mid

Ascolta la "veneziana": http://it.geocities.com/kenoms3/altorenotoscano/tradizioni/veneziana.mid

http://it.geocities.com/kenoms3/altorenotoscano/tradizioni/maggioapavana.html Il maggio a Pavana Pistoiese

http://it.geocities.com/kenoms3/altorenotoscano/tradizioni/maggiodrammatico.html (il Maggio Drammatico di Granaglione)