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PREMESSA

Grazie all'opera di Francesco Guccini è ormai universalmente noto
che il dialetto parlato a Pavana (frazione di Sambuca Pistoiese in
Toscana) è un ibrido, fatto di contaminazioni tra il bolognese e il
pistoiese. Anche nel territorio dell'Alto Reno "emiliano", tuttavia,
è facile scorgere un certo grado di toscanità:

In certe zone del Comune di Granaglione è davvero difficile capire
se siamo ancora in Emilia o se siamo passati in Toscana;
A Porretta Terme sono di uso quotidiano glosse tipiche del
vernacolo toscano come "neccio", "brocciolo", "frugiata";
Guccini, nell'introduzione al suo Dizionario del Dialetto Pavanese
(pubblicato dal gruppo Nueter nel 1998), riconosce una
significativa influenza della parlata toscana nel dialetto di
Lizzano in Belvedere
Per quanto riguarda le zone di Badi, Bargi e Stagno si rimanda al
lavoro di Barbara Beneforti pubblicato su Nueter, XXIV, 1998 alle
pagine 357 - 388. In questa sede ci si limita a ricordare che la
studiosa ritiene estremamente difficile "verificare in che misura il
lessico dei dialetti parlati in questa zona [ovvero Badi, Bargi e
Stagno] sia più emiliano o più toscano", dato che "la componente
lessicale che rimanda al sistema dei dialetti toscani è notevole"


IL SISTEMA LINGUISTICO GALLOTOSCANO
Nel 1873 il glottologo Graziadio Isaia Ascoli individua un nuovo
gruppo linguistico definendolo col termine "francoprovenzale".
Questo gruppo linguistico presenta alcune caratteristiche fonetiche
della lingua occitana (provenzale) ed alcune caratteristiche
fonetiche del francese.
Nel 1937 Gerhard Rohlfs individua nella pensiola italiana due
confini linguistici meglio conosciuti come Linea La Spezia - Rimini
e Linea Roma - Ancona.

la Linea Rimini - La Spezia
Nel 1969 l'accademica delle Scienze dell'URSS M.A. Borodina pubblica
un libro sulla lingua ladina (una delle lingue neolatine parlate in
alcune zone del Nord Italia e della Svizzera). Secondo la studiosa
russa il ladino costituisce la lingua di transizione fra la Romania
Occidentale (Francia, Spagna, Portogallo) e la Romania Orientale
(Italia, Romania). Tale teoria viene condivisa dal celebre studioso
tedesco Gerhard Rohlfs.
Nel 1969 viene pubblicata, però, anche una monumentale opera sulle
lingue romanze scritta dall'altrettanto celebre studioso Heinrich
Lausberg. Secondo il Lausberg la Romania Orientale e la Romania
Occidentale sono separate dalla Linea Rimini - La Spezia (cfr. anche
Wartburg (1)).
Nel 1982 lo studioso australiano G. Hull individua una unità
linguistica tra i territori del Nord Italia e i territori ladini.
Per definire questa macroarea linguistica lo stesso Hull usa il
termine 'Padania' (da intendersi, ovviamente, come realtà
linguistica e non politica).
Intanto lo "UNESCO RED BOOK ON ENDANGERED LANGUAGES: EUROPE"
riconosce la lingua emiliana come distinta e separata dall'Italiano
(toscano).
Nelle pagine che seguono abbiamo inserito molti articoli che si
occupano delle parlate gallo-toscane usate nell'Alto Reno (tra le
province di Pistoia e Bologna). In queste pagine troverete così
piccoli dizionari, esempi di dialetto e alcune (sommarie)
indicazioni sul lessico, la morfologia e la fonetica di queste
parlate.
Chi avrà la pazienza di leggere queste pagine s'accorgerà che le
parlate dell'Alto Reno sono forme intermedie tra il sistema
linguistico toscano e il sistema linguistico dell'Alta Italia (e
segnatamente dell'Emiliano). In altre parole i dialetti dell'Alto
Reno non sono né dialetti emiliani, né dialetti toscani, ma l'unione
delle due forme linguistiche (allo stesso modo in cui il
francoprovenzale non è né francese, né occitano ma la sintesi delle
due lingue).
Infine si dovrà constatare che (laddove la Linea Rimini - La Spezia
funga effettivamente da divisione fra la Romania Orientale e la
Romania Occidentale(2)) le parlate dell'Alto Reno (e non solo
dell'Alto Reno (cfr. Fiumalbo)) costituiscono la lingua di
transizione fra le due famiglie neolatine (3).
Abbiamo usato il termine dialetti in senso sociologico, ma da un
punto di vista morfologico non ci troviamo di fronte a dei dialetti
ma a un vero sistema linguistico.
La constatazione che in Alto Reno si usi un sistema linguistico e
non dialettale è essenziale non solo perché scientificamente
corretta, ma perché rivendichiamo per le lingue tosco-emiliane lo
stesso trattamento del francoprovenzale.(4) E' fondamentale, infine,
che questo riconoscimento possa arrivare presto, prestissimo, poiché
il patrimonio linguistico gallotoscano sta per scomparire (5).
NOTA:
(1) Sul Wartburg ricordiamo il passo seguente: "Deve essere
considerato un tentativo in questa direzione la teoria di W. von
Wartburg che, dando importanza fondamentale alla frattura del mondo
linguistico romanzo lungo la linea La Spezia Rimini, oppone una
Romania occidentale che sarebbe stata romanizzata dall'alto (in
sostanza dalla scuola e dai ceti colti) e quindi avrebbe ricevuto
una lingua ligia alla grammatica, ad una Romania orientale,
romanizzata dal basso, da soldati e contadini che parlavano un
latino molto meno regolato. Più tardi, a questa bipartizione
fondamentale si sarebbe aggiunta e sovrapposta l'influenza dei
diversi superstrati germanici, responsabili ad esempio del
dittongamento, producendo risultati eterogenei perché diversi erano
i popoli germanici e differente la loro incidenza demografica" (A.
VARVARO, "Linguistica Romanza", Napoli, 2001, p. 218). Segnaliamo, a
titolo di curiosità, la singolare coincidenza della Romania
Occidentale che comprende, al suo interno, tutti i territori
neolatini abitati, in passato, da popolazioni celtiche: "Intorno al
iv secolo avanti Cristo una vasta porzione del territorio europeo
era occupato da tribù celtiche. Tale area comprendeva la penisola
iberica, l'Europa occidentale (attuali Francia, Belgio, Germania,
Austria, Italia Settentrionale), le isole britanniche e parte
dell'Europa Orientale (attuali Cechia, Ungheria e Ucraina
sudoccidentale)" (P. MILIZIA, "Le lingue indeuropee", Roma, 2002, p.
94).
(2) posizione, peraltro, ben accolta dagli specialisti come dimostra
il passo seguente: "Romania è la denominazione che i linguisti
utilizzano per designare il complesso del mondo neolatino o romanzo
(in cui si parlano lingue che continuano, cioè, il latino), ed è
divisa in una sezione orientale e una sezione occidentale (il
confine attraversa l'Italia, le parlate settentrionali stanno con la
sezione occidentale che arriva al portoghese, le parlate meridionali
stanno con quella orientale che comprende anche il rumeno)" (C.
MARCATO, "Dialetto, dialetti e italiano", Il Mulino, Bologna, 2002,
p. 187).
(3) Tra le caratteristiche tipiche della Romania Orientale in uso
nei dei dialetti dell'Alto Reno segnaliamo la realizzazione per i
plurali maschili di -i finale (al contrario in Romania Occidentale
si usa -s finale oppure la metafonia (-s finale in Ladino, Francese,
Spagnolo, Portoghese, Occitano e metafonia nel Nord Italia)). Altra
caratteristica tipica dei dialetti dell'Alto Reno, dovuta ad
influenze "Romano-orientali", è un indebolimento della
sonorizzazione in "p" (già a partire da Lagacci la sonorizzazione di
p risulta del tutto assente). Tra le caratteristiche della Romania
Orientale in uso in gran parte dell'Alto Reno (vedi anche il
pavanese) c'è anche la trasformazione dei nessi latini gl e cl in ch
e gh (vedi l'italiano e vedi il romeno) mentre nella Romania
Occidentale c'è la conservazione di questi nessi oppure la loro
riconduzione ad altra forma (vedi il francese oeil e glace).
(4) Ovviamente la storia di una lingua (o di un sistema linguistico)
è anche la storia di fattori extralinguistici. Citiamo, in
proposito, questo passo tratto da una pubblicazione del Gruppo di
Studi Alta Val del Reno (Nueter): "Un confine [quello fra Toscana ed
Emilia in Alto Reno] però, come dicevamo all'inizio, che è più luogo
d'incontro e di passaggio piuttosto che di divisione. Gli elementi
che ci spingono ad affermare tale fatto sono molteplici e riguardano
molti ambiti. Basterebbe aver presenti le tradizioni della valle,
dove usanze tipiche della Toscana come il maggio lirico, quello che
si cantava nella notte fra il 30 aprile e il primo di maggio, o
quello delle anime purganti, che rappresenta il tentativo della
Chiesa di cristianizzare una tradizione sentita come potenzialmente
pagana, sono ugualmente distribuite da Treppio a Badi ed in altri
centri del Bolognese" (B.HOMES, Gli insediamenti della bassa
Limentra Orientale, Porretta Terme, 1999, p. 17).
(5) A proposito del dialetto pavanese (una parlata gallo toscana in
uso nel comune di Sambuca Pistoiese) scrive la ricercatrice
Raffaella Zuccari: "Il dialetto pavanese non ha e non ha mai avuto
una tradizione scritta: Guccini ha scelto il sistema di trascrizione
grafica proposto dalla Rivista Italiana di Dialettologia. Lo scopo
del Dizionario era purtroppo solo conservativo, in quanto il
pavanese, ormai, non è più parlato: non solo dai giovani ma anche
dagli individui compresi in quella fascia di età che va dai
cinquanta a più di settant.anni. Ormai solo i molto anziani lo
parlano, e solamente fra di loro, il che porterà inevitabilmente,
fra alcuni anni, all.estinzione di questo dialetto". E la situazione
pavanese non è neppure delle peggiori... La parlata "gallotoscana"
di Treppio, ad esempio, è scomparsa negli anni '70 del XX secolo!!
La classificazione delle lingue neolatine cliccando qui
Per tornare alle pagine dedicate ai singoli dialetti dell'Alto Reno
(ripetiamo che il termine dialetto va inteso nella sua formulazione
sociologica e non linguistica)


LA ROMANIA ORIENTALE E LA ROMANIA OCCIDENTALE
Sprachliche (vorwiegend lautliche) Klassifikation nach Heinrich
Lausberg (1969) und Walther von Wartburg (1950)
Westromania Ostromania
Französisch Rumänisch [1] Sardisch
[2]
Okzitanisch Dalmatisch [3]
Katalanisch Mittel- und
Spanisch Süditalienisch
Portugiesisch
Rätoromanisch [4]
Norditalienisch [5]
Grenze zwischen West- und Ostromania: Apenninenkamm (La
Spezia-Rimini)
Literatur:
Lausberg, Heinrich (21969): Romanische Sprachwissenschaft. Bd. I.,
Berlin.
Wartburg, Walther von (1950): Die Ausgliederung der romanischen
Sprachräume, Bern.
[1] oltre al romeno appartengono al sistema linguistico balcano
romanzo (Romania Orientale) altre parlate (megleno - romeno,
aromeno, etc.) diffuse tra Albania, ex Yugoslavia e Grecia.
[2] la lingua sarda, per le proprie specificità, non può essere
ricompresa né nella Romania Orientale né in quella Occidentale.
[3] la lingua dalmata è una lingua ufficialmente estinta dal 1898.
Il Padre Nostro in questa lingua appariva così:
Tuota nuester, che te sante intel sil: sait santificuot el naun to.
Vigna el raigno to. Sait fuot la voluntuot toa, coisa in in sil,
coisa in tiara. Duota costa dai el pun nuester cotidiun. E remetiaj
le nustre debete, coisa nojiltri remetiaime a i nuestri debetuar. E
naun ne menur in tentatiaun, mui deliberiajne dal mal. Amen
Tra le lingue neolatine estinte vale la pena ricordare anche il
mozarabico (parlato nei territori spagnoli prima della
"Reconquista") e l'afroromanzo (parlato attorno alla città di Gafsa
in Tunisia fino al 1450 (cfr. A. VARVARO, "Linguistica romanza",
Napoli, 2001, p. 103)).
[4] si tratta del ladino, detto anche retoromanzo.
[5] l'istrioto e la lingua veneta tuttavia appaiono lingue anomale
rispetto al quadro generale delle lingue nord italiane. A titolo
d'esempio la lingua veneta presenta i plurali maschili in -i
(caratteristica della Romania Orientale). Anche il modo in cui
vengono realizzate le frasi appare differente:
Mi i son nen Padan ...(Piemontese) - Mi no so Padan .... (Veneto)
Queste differenze tuttavia non sono così rilevanti come appaiono a
prima vista. Il veneto, ad esempio, oltre alla -i finale usa anche
la metafonia per realizzare i plurali (es: toso / tusi, cavelo
/cavili, pera / piri) secondo l'uso Nord Italiano e, quindi, romanzo
occidentale (cfr. C. MARCATO, Dialetto, dialetti e italiano, Il
Mulino, Bologna, 2002, pp. 176, 181). Il caso istrioto appare un po'
più complesso dato che, ad esempio, la sonorizzazione delle
consonanti k, t, p non è un fenomeno originario della lingua
istriota.
Usando i criteri classificatori di Lausberg e Wartburg riteniamo,
quindi, che il sistema linguistico gallo toscano costituisca una
sorta di microscopica "Romania Centrale" (o, meglio ancora, la
mitica 'lingua ponte' fra i due sistemi linguistici)


IL CONFINE LINGUISTICO: I DIALETTI "ALTI" DELL'AREA APPENNINICA

Stralci dell'intervento di Barbara Beneforti al Convegno tenuto a
Capugnano il 09/09/2000 e promosso da
Nueter - Porretta Terme
Società Pistoiese di Storia Patria - Pistoia

"L'Appennino tosco - emiliano riveste un interesse particolare non
solo dal punto di vista storico, ma anche dal punto di vista
linguistico- Si tratta indubbiamente di un territorio peculiare:
rappresenta da sempre il confine "naturale" tra continente e
penisola e, in un certo senso, ne costituisce il punto di
contatto...
Detto questo, consideriamo, che è stato da più parti osservato come
i dialetti parlati dalle popolazioni che abitano la dorsale
appenninica, più o meno dalla Lunigiana fino alla cosidetta Romagna
Toscana, presentino delle similitudini fra loro ...
il territorio di cui ci occupiamo si trova su uno dei confini
dialettali tradizionalmente più importanti, cioè sulla cosiddetta
linea La Spezia - Rimini. Questa linea è sempre stata considerata un
confine dialettale molto netto... In realtà nelle zone di contatto
linguistico ci sono delle aree (o delle micro - aree) miste e di
complessa classificazione. Comunque questa linea La - Spezia Rimini
è definita da diverse isoglosse (cioè linee che segnano il confine
di determinati fatti linguistici). Le più importanti riguardano la
sonorizzazione delle consonanti occlusive sorde intervocaliche e lo
scempiamento delle consonanti doppie. Semplificando si tratta di
questi fenomeni:
le consonanti c,t,o quando sono fra due vocali diventano
rispettivamente g,d,v. Infatti in Toscana si dice "fico", al Nord
"fig".
Le consonanti doppie sono conservate in Toscana e in tutta l'Italia
meridionale, ma si scempiano nell'Italia settentrionale.
Sulla base di questi e di altri fatti fonetici è stato tracciato il
confine fra dialetti settentrionali e dialetti toscani, ma i
dialetti che si trovano lungo la fascia appenninica si comportano in
una maniera un po' particolare, vale a dire che non sempre viene
rispettata la regola che ci si aspetterebbe e questo avviene in
tutta la fascia appenninica. Per esempio è vero che in molti casi le
consonanti occlusive sorde si sonorizzano quando sono in posizione
intervocalica, ma spesso invece non cade la vocale finale delle
parole: per intenderci in Toscana si dice "fico", al Nord "fig", in
molte zone della fascia intermedia si dice "figo" (con la consonante
"g" come al Nord ma con la coale finale "o" come in Toscana).
Anche per quanto riguarda altri suoni la situazione è complessa ...
Un altro problema riguarda una serie di parole che sono state
rintracciate soltanto nei dialetti di questa area. Molti di questi
particolarismi lessicali sono legati all'ambiente rurale e
famigliare... Questi tipi lessicali trovano riscontro soltanto in
questa area appenninica. Il caso di "iara". Se andiamo a vedere le
zone in cui questa parola è tradizionale del dialetto troviamo
queste attestazioni:
Pontremoli: iara "greto del fiume, fiume"
Pieve Fosciana, San Pellegrino in Alpe: aiara "greto del fiume"
Pavana: iara "greto del fiume"
Bacino di Suviana: iara "greto del fiume"
Orsigna: iaia - iara "ghiaia"
Ricapitolando, vediamo che la zona di diffusione di questa parola
(dalla Lunigiana alla Versiglia, alla Garfagnana, alla Valle della
Limentra, a Sambuca Pistoiese al Casentino) è la fascia appenninica.
... Si può dunque parlare di un'area appenninica periferica, dove si
incontrano e si sovrappongono due tradizioni linguistiche diverse
creando una zona cuscinetto, come la definisce Guccini o una area
cerniera come preferiscono altri"


SCEMPIAMENTI E ISOGLOSSE
il nucleo di questo articolo è: dove inzia la Toscana? dove finisce
l'Emilia?

Per affrontare questo argomento occorre partire da un altro confine,
quello fra Emilia e Romagna.
Secondo Dante i confini della Romagna sono descritti "fra il Po, il
monte, la marina e il Reno", ma secondo lo scrittore Antonio Baldini
questo confine è dettato dal liquido che viene offerto ai viandanti:
finché vi daranno dell'acqua siamo ancora in Emilia, quando vi
offriranno vino, allora, siamo in Romagna.
Per quanto riguarda il confine linguistico fra Emilia e Toscana ci
troviamo di fronte a una situazione simile a quella descritta dal
Baldini: il confine è tracciato da isoglosse, cioè da una serie di
fenomeni linguistici che separano il Nord dal Centro Italia. Queste
isoglosse si concentrano in una stretta fascia geografica definita
"linea Rimini - La Spezia".
A partire dagli studi di Rohlfs i principali elementi che separano i
dialetti toscani da quelli settentrionali sono la sonorizzazione
delle consonanti intervocaliche occlusive (es: ortiga anziché
ortica) e lo scempiamento delle consonanti doppie (es: gata anziché
gatta). A questi elementi il Rohlfs aggiunge la palatizzazione di
"a" davanti a "l" (es: elto anziché alto), la trasformazione di "e
aperta" in "e chiusa" (es: il sambucano "cego"), la trasformazione
di "uo" in "o chiusa", etc.
L'esito di questa interpretazione porta a spingere verso sud il
confine dei dialetti settentrionali, offrendo della linea Rimini -
la Spezia una visione unilaterale. A nostro avviso, quindi, occorre
ribaltare il modo in cui i nostri dialetti dell'Alto Reno sono posti
all'interno della linea di separazione La Spezia - Rimini.
All'interno di questa linea infatti si affievoliscono fino a
scomparire del tutto alcuni elementi che caratterizzano i dialetti
emiliani e/o settentrionali in genere, ovvero (il che è lo stesso)
si manifestano caratteristiche dei dialetti toscani, ad esempio:
1) caduta del fenomeno delle vocali lunghe: è incredibile che
nessuno si sia accorto che ben all'interno del confine emiliano
(porrettano aldam oppure badese bur) avviene lo scempiamento delle
vocali geminate (bolognese aldaam e buur), questo fenomeno si oppone
a quello dello scempiamento consonantico osservato da Rohlfs [1];
2) trasformazione della forma emiliana di "o aperta" nella forma
toscana di "o chiusa" in parole come il porrettano "codga" e dello
emiliano "e chiusa" nel toscano "e aperta" in parole come il
porrettano "perdga";
3) mantenimento in molti dialetti dell'Alto Reno bolognese delle
vocali "a", "e", "i" postoniche di parola proparossitona (es: il
badese "cendere") che nei dialetti settentrionali tendono
generalmente a cadere;
4) mantenimento in buona parte dell'Alto Reno delle "e" e "o"
finali se non precedute da "n" (es: il lizzanese "brocciolo"),
fenomeno sconosciuto nei dialetti emiliani che tendono
sistematicamente a eliminare le "e" ed "o" finali;
5) lambdacizzazione della geminata "rr" in "ll" in parole come il
badese "ramallo", fenomeno sconosciuto nei dialetti settentrionali,
ma ben noto in realtà come Pistoia (pistoiese "ramallo" per
"ramarro");
6) sonorizzazione in "c" della "z" in parole come il porrettano
"sdac" a fronte della forma settentrionale "sdaaz";
7) il passaggio di "m" postonica di parola proparossitona > "mb"
(es: il treppiese "cocombero") [2];
8) caduta delle vocali d'uso settentrionali o emiliane e
sostituzione con vocali di tipo toscano (es: il pavanese "grostin"
al posto del bolognese "grusten");
9) diversamente da quanto avviene nel settentrione mantenimento
(vedi Pavana, Granaglione, Lizzano) delle consonanti doppie, tranne
nel caso che la parola non abbia più di due sillabe con la doppia
consonante che precede la vocale accentata (es: pavanese "gallo" e
bolognese "gal");
10) l'assenza generale (es: pavanese, lagaccese, badese, lustrolese)
di metafonia (caratteristica esclusiva del toscano [3])
11) etc. (es: la metatesi di "r" nel pavanese "dredo" (vedi
pistoiese "dreto" per "dietro").
E questo per non parlare della realizzazione dei plurali maschili in
-i anziché in -s o in metafonia o, ancora, la realizzazione dei
nessi latini "cl" e "gl" con "ch" e "gh".
Come si vede, focalizzando diversamente gli oggetti della ricerca,
si ottiene che la linea La Spezia - Rimini non risulta più la punta
massima di espansione a sud dei fenomeni linguistici settentrionali,
ma la punta massima di espansione a nord dei fenomeni linguistici
toscani.
In altre parole la linea di confine Rimini - La Spezia non è una
linea a senso unico di penetrazione (nord - sud), ma una linea a
doppio senso di penetrazione (nord - sud / sud - nord).
Riteniamo perciò corretta la definizione per i dialetti della nostra
zona di dialetti "gallo toscani" o "tosco - gallici" a testimonianza
dell'osmosi reciproca fra Nord e Toscana!
nota:
[1] analoga opposizione si presenta in Alto Reno fra il
settentrionale "sg" (reso anche "j") e il toscano "sc". Il primo si
presenta in varie zone del Comune di Sambuca Pistoiese, il secondo è
variamente attestato nell'Alto Reno bolognese. E' tuttavia possibile
che "sg" sia evoluzione della stessa "sc" toscana.
[2] "Riconducibili a caratteristiche toscane sono invece ... il
passaggio di m postonica di parola proparossitona > mb
caratteristica pistoiese e lucchese" (L. Bonzi, 'Piccolo DIzionario
del Dialetto di Treppio", in Nueter, XXVI, 2000, p. 154). Vedi anche
G. Rohlfs, "Grammatica Storica della Lingua Italiana e dei suoi
dialetti", Torino, 1999, p. 334.
[3] cfr. (a titolo d'esempio) C.GRASSI, A.A.SOBRERO, T.TELMON,
"Introduzione alla dialettologia italiana", Laterza, Bari, 2003, p.
59).
Sopra: lo studioso tedesco Gerhard Rohlfs, autore della "Grammatica
Storica della lingua italiana e dei suoi dialetti"

aggiornamento del 21/06/2003. Abbiamo letto in una mailing list
della Associazione Lingusitica Padana un riferimento a questa
pagina. Secondo l'estensore della nota 'padanista' tutte le
caratteristiche da noi elencate come toscane non sarebbero toscane,
ma padane. Infatti: 1) l'assenza del vocalismo lungo si può trovare
in Piemonte, in Lombardia, nell'Istria e (bontà sua) in Romagna! 2)
nel ligure, nel veneto e nell'istrioto si mantengono le vocali
finali (vale la pena ribadirlo: ligure, veneto, istrioto!); 3) il
passaggio di a in e (grusten anziché grostin) è solo dei dialetti
emiliani (emiliani!); 4) forme simili a "dreto" le troviamo in
Piemonte, in Liguria, in Lombardia (!!!). Lasciamo a chi legge le
considerazioni relative alla serietà di un simile intervento... al
massimo serve a correggere il tiro, a parlare di Emilia e Toscana
anziché di Settentrione tout court e Toscana, ma la sostanza non
cambia: La Linea Rimini - La Spezia non passa mica né in Lombardia
né in Veneto (lì c'è il Po e il Piave, ma quella è altra
storia...!). L'Alto Reno inoltre non ha nulla a che fare né con la
Romagna, né con la Liguria (e si vede). Storicamente... poi ...basta
leggere l'articolo sull'origine dei nostri dialetti! (1)
Riportiamo comunque il testo di una lettera che abbiamo inviato a
questa "Associazione Linguistica Padana":
"Cari signori, voi potete anche credere che a Lagacci (che non
sapete neppure dove sia) si parla un dialetto simile toscano al
perché a Lagacci (o a Pavana) ci sono influenze Romagnole, Liguri o
Venete!!!! (sic!!!!!), tuttavia v'informo:
1) che il lessico di Badi (provincia di Bologna) ha per 6
coincidenze col bolognese ben 7 coincidenze col pistoiese!!!);
2) che la Toscana confina con l'Alto Reno e interi pezzi dell'Alto
Reno sono in Toscana;
3) che Pavana, Sambuca, Treppio, Torri, Lagacci, Fossato sono
TOSCANA da 14 secoli! Porretta, Granaglione, Badi etc. lo sono stati
per 6 secoli (pensate che 14 secoli o 6 secoli di storia toscana non
abbiano influenzato i nostri dialetti? O credete davvero che sia
stata la Serenissima Repubblica Veneta???!!!);
4) che Pistoia dista 30 Km da Porretta mentre Bologna dista 60 Km da
Porretta!!!
V'informo peraltro che esiste il RASOIO DI OCCAM (entia non sunt
multiplicanda praeter necessitatem!). Se un dato fenomeno
linguistico si trova a Pistoia (30 km da Porretta) e non si trova a
Bologna voi non dovreste collegarlo a quanto avviene in Veneto, in
Liguria o a Rimini!! Altrimenti mi dovete spiegare anche perché un
fenomeno veneto o istriano è presente in Alto Reno e non a
Bologna!!!"
E' evidente che ciascuno è libero di pensare nel modo che ritiene
più opportuno! Vale la pena ricordare tuttavia che il criterio
veneto o ligure per spiegare caratteristiche non felsinee dei
dialetti dell'Alto Reno è, da un punto di vista strettamente
linguistico, paragonabile ai tentativi di spiegare l'etrusco col
sanscrito o con l'ucraino moderno, ovvero il bolognese con il
punico... Queste teorie hanno avuto tutte la dignità di stampa, ma
basta poco a comprenderne la serietà!(2)
NOTA:
(1) Oppure dobbiamo pensare che in Alto Reno si parla il 'Padanese
Puro' e che tutte le lingue della 'Padania' sono aberrazioni
dell'archetipo altorenano (che riassume in se stesso tutte le
caratteristiche delle lingue padane)? Per saperne di più clicca
anche su ladino e lingue gallo - toscane.
(2) lo stesso interlocutore 'padanista' in altra pagina della
mailing list di ALP scrive una lettera al prof. Hull: "Te mande una
descrizion de les caraterìstiches specìfiches, comunes con lo
padaneis, con lo dialèt de les Grafagnaunes o con lo toscaun de la
parlada d'est païs [Treppio] ... - m depuoi de la vocal acentuada
ent les paraules proparossìtones (come en luccheis e pistoieis) >
mb, p.ex: càmbera 'room'...". Per il nostro m > mb evidentemente è
toscano!


LE LINGUE GALLO TOSCANE E IL LADINO
Il gentile interlocutore padanista (che riportava tutte le
caratteristiche non felsinee dei dialetti altorenani comunque al
sostrato padano anziché al toscano(1)) non ha mai, tuttavia, fatto
riferimento al ladino. La cosa ci è apparsa subito strana:
l'interlocutore padanista (come tutti i membri della Associazione
Linguistica Padana), infatti, sostiene che il ladino non sia una
lingua separata indipendente, ma appartenga al ceppo 'padano' come
il veneto, l'istrioto, il ligure, l'emiliano, il piemontese, etc.
Tale interpretazione trova riscontro negli studi di Hull e, in
passato, di Tagliavini (anche il Rohlfs registrava affinità tra il
ladino e i dialetti della "Italia Padana" (cfr. p.126 di "Studi e
ricerche su lingue e dialetti d'Italia" (Firenze, 1997)).
Date simili premesse (e applicate le leggi geolinguistiche di Matteo
Bartoli) al fine di dimostrare, comunque, la 'padanità' delle
caratteristiche non emiliane dei dialetti gallo - toscani l'unico
confronto valido era solo quello col ladino (2).
Riportiamo, per una più agevole comprensione, le prime due leggi del
Bartoli:
1) l'area culturalmente isolata (ad esempio un isola o una montagna)
conserva di solito la fase più antica;
2) di due fatti linguistici, dei quali uno è documentato in un'area
centrale, l'altro nelle due aree laterali, quest'ultimo è il più
antico.
Nel nostro caso i dialetti gallo - toscani sono la punta estrema
meridionale della 'Padania' (penetrando profondamente nel territorio
toscano), mentre il ladino costituisce la punta settentrionale
estrema del sistema linguistico 'padano'. Inoltre sia il ladino che
il sistema linguistico gallo-toscano sono parlati in zone montagnose
(Alpi ed Appennini).
Evidentemente una situazione ideale per stabilire ciò che
costituisce il sostrato linguistico padano. Pertanto anziché
ricorrere al Veneto o Lombardo ci pare buona cosa utilizzare il
ladino.
A tal fine abbiamo utilizzato il testo di Rohlfs citato sopra e
abbiamo confrontato le caratteristiche tipiche del ladino con ciò
che riteniamo toscano nei nostri dialetti. Se l'esito di questo
confronto dovesse dimostrare che le caratteristiche definite
'toscane' dei nostri dialetti fossero comuni in gran parte con il
ladino ecco che ci troveremmo difronte a un forte indizio a favore
di un comune sostrato celtico o padano, diversamente ci troveremmo
di fronte (come sospettiamo) a un sistema linguistico non padano ma
'gallotoscano'.
Il ladino presenta la metafonia, le vocali turbate, la conservazione
di -s finale, la tendenza (molto più spiccata che nei dialetti gallo
toscani) a degimare le consonanti. Al contrario nei dialetti gallo -
toscani è assente la metafonia (come in toscano), le vocali turbate
sono sconosciute (come in toscano), le parole terminano con vocale
o, al massimo, con -n (caso toscano, in determinate situazioni
(specialmente poetiche) anche il toscano prevede la caduta della
vocale finale se preceduta da -n), la degeminazione consonantica non è
sistematica (caso intermedio tra le forme toscane e quelle 'alto
italiane'). E ciò tralasciando il rotacismo (lambdacismo) della
geminata -rr- > -ll come in ramallo, etc.
E' dunque chiaro che ci troviamo difronte a un sistema linguistico
non padano, ma intermedio tra l'Italia Cisalpina (Romania
Occidentale) e la Toscana (Romania orientale) (3).
nota:
(1) e principalmente al veneto, all'istrioto e al ligure. Per il
veneto vale il giudizio del Rohlfs secondo il quale "E' nota
l'espansione del toscanesimo sulla regione veneta. Già nel medioevo
essa aveva portato a una trasformazione profonda dei dialetti
locali" (G. Rohlfs, "Studi e ricerche su lingua e dialetti
d'Italia", Firenze 1997, pp. 11 ss.), non si dimentichi inoltre che
Pietro Bembo era Veneto e che intellettuali toscani (in primis il
Petrarca) passarono una parte rilevante della loro esistenza in
Veneto. Per l'istrioto, a parte gli influssi veneti (e quindi,
indirettamente, toscani) vale la pena ricordare che lo storico
Berardo Benussi (nel suo saggio del 1924 L'Istria nei suoi due
millenni di storia) riteneva che la lingua istriota fosse
influenzata dall'abruzzese (il linguista Matteo Bartoli (Due parole
sul neo latino indigeno di Dalmazia, Zara, 1900) sosteneva, invece,
che l' abbruzzese aveva influenzato l'antica lingua Dalmata). Per
quanto riguarda il ligure, invece, bisogna ricordare che il ligure
non era una lingua gallo-italiana, ma ha subito gli influssi di
correnti e influenze esterne provenienti dalla valle padana
(G.Devoto, G. Giacomelli, I dialetti delle regioni d'Italia, Milano
2002, p. 10). E' poi risaputo che almeno la parte orientale della
Liguria ha subito e subisce pressioni toscane (cfr. G. Devoto, G.
Giacomelli, op. cit., p.14). Al contrario non si registrano nella
storia secolare dell'Alto Reno né coloni lombardi o liguri, né
raffinati intellettuali veneti, né frotte di mercanti istriani,
mentre si sa che in Alto Reno la stessa Porretta (la terra più
emilianizzata dopo Gaggio Montano) aveva fino alla metà del XV
secolo più rapporti col sud toscano che col nord emiliano (G.
Boldri, P. Guidotti, Storia di Porretta I, Bologna 1992, p. 76).
Peraltro i rapporti tra Alto Reno e Toscana si sono mantenuti
vivissimi fino ai nostri giorni come si può facilmente constatare
non solo dai libri o da siti come questo, ma vivendo in Alto Reno.
(2) e anche questo genere di confronto, anche se dovesse offrire
risultati positivi, non costituisce ancora una prova. Le seconda
regola del Bartoli, ad esempio, è clamorosamente smentita dal
fenomeno linguistico "centum - satem" che caratterizza le lingue
indeuropee (tipo 'centum' ad occidente e ad oriente (lingua tocaria)
e tipo 'satem' al centro); il tocario (una lingua morta che era in
uso nel Turkestan cinese che usava il tipo centum come le lingue
indeuropee occidentali) sarebbe l'esito di una migrazione di
popolazioni dell'estremo occidente indeuropeo verso l'estremo
oriente indeuropeo (cfr.P. MILIZIA, "Le lingue indeuropee", Roma,
2002, pp. 137 - 138). Diverso, invece, è il caso di due aree
linguistiche contermini che sovente (specie nell'area di contatto)
si influenzano reciprocamente (nel nostro caso l'Alto Reno è l'area
di contatto fra toscano ed emiliano).
(3) la studiosa russa Borodina (Accademica delle Scienze dell'URSS)
scriveva nel 1969: "Le rhétoroman [il ladino]occupe une position
transitoire entre la Romanie de l'Est et la Romanie de l'Ouest"
(M.A. BORODINA, La langue rhéthoromane, Leningrado 1969, p. 177).
Tale giudizio pare condiviso dal Rohlfs (G. ROHLFS, Studi e ricerche
su lingue e dialetti d'Italia, Firenze 1997, p. 131). Tuttavia se le
teorie del Lausberg e dello Hull dovessero essere corrette pare
evidente che il sistema linguistico di transizione fra Romania
Orientale e Romania Occidentale debba essere considerato non il
ladino, ma il gallotoscano.



cultura dialettale

La leggenda - o la storia - narra che nel nostro Appennino si
parlava un italiano puro, bello e pieno di arcaismi e toscanismi
(cfr. "La Musola" n. 41 (1987) pp. 125 - 126). Parlando di sua nonna
Guccini ci racconta che:
"Con me non parlava dialetto, solo un bell'italiano pulito e
prezioso, pieno di toscanismi earcaismi; anche se ha fatto solo la
terza elementare ce l'ha dentro d'istinto e di cultura" (Croniche
Epafaniche, p. 129).
E la nostra montagna, invero, era da ricordare per la sua lingua
vivacissima, piena di toscanismi e arcaismi (ricordo ancora una
vecchia signora di Porretta che diceva: "quello è un vago tipo",
dove il "vago" stava per bello, come in Dante), una lingua che fece
innamorare studiosi inglesi e italiani.
In quel di Cutigliano, fra boschi ombrosi e prati dove pascolavano
le pecore, lì era il rwgno di Beatrice Pian degli Ontani, la
poetessa analfabeta e pastora. Le sue rime, non scritte e non
declamate, erano cantate e accompagnate da una nota di violino:
"Non vi meravigliate o giovanotti
se non sapessi troppo ben cantare
in casa mia non c'è stato maestro
e neanco a scuola sono ita a imparare
Se voi volete intender la mia scuola
su questi poggi all'acqua e alla gragnola
Volete intender voi il mio imparare?
Andar per legna e starmene a zappare"
Allora i poeti in ottava rima si sfidavano per vedere chi era il più
veloce e il più bravo, allora si cantavano i maggi e gli stornelli,
poi, col tempo, questo mondo è scomparso, scomparso insieme al
"verdé" e insieme allo "sdac".
In fondo anche questo è un genocidio: un genocidio dolce, senza
morti, quasi una eutanasia di una identità sepolta dal bolognese
prima, dall'inglese poi e - per il futuro - dall'arabo infine...


SULL’ORIGINE DELLA CONSONANTE SIBILANTE POSTPALATALE SONORA
(clicca anche su fricativa prepalatale sorda )
Si tratta di un suono tipico del nostro Appennino, molto simile
alla “j” francese di “jardin”, e usato al posto di “ci”, “ce” purché
non iniziali (es: braje al posto di brace) o al posto di “gi”, “ge”
purché anche essi non inziaili (es: ciliejia al posto di ciliegia).
Secondo Gerhard Rohlfs la consonante sibiliante postpalatale sonora
potrebbe essere un esito di tipo settentrionale penetrato fino a
zone marginali dell’appennino toscano (G. Rohlfs, “Grammatica
storica della lingua italiana e dei suoi dialetti”, Einaudi,Torino
1999, p. 291).
Questa interpretazione potrebbe essere non corretta, se si
riesaminano le ragioni per cui questo evento fonetico è penetrato
fino ad aree marginali della Toscana.
In un altro articolo (clicca su lucertola) abbiamo rilevato una
forte toscanità di fondo di questo suono, tale grado di toscanità è
avvertito anche da Rohlfs (“simile a “g” di stagione nella pronuncia
toscana; cfr. il francese ‘journal’” (op. cit. p. XXXVI)).
Considerato che a Bologna si usa solo la “s sonora” o la “s
alveolare” (con la punta della lingua fra “s” e “sc” italiani), che
risultano foneticamente distanti dalla sibilante postpalatale
sonora, non è da escludere che il suono “j” sia stato adottato nel
nostro appennino perché assimilabile ad una pronuncia di tipo
toscano (1). Ovvero, il che è lo stesso, il fenomeno non è penetrato
dal nord emiliano (dove è sconosciuto), ma dal sud toscano.
Proponiamo un paio di esempi che possono aiutarci a comprendere il
meccanismo:

ITALIANO PISTOIESEPAVANESE BOLOGNESE
LUCERTOLAUGERTOLA (1) LUJERTOLA LUSEERTA (3)
BACIOBAGIO (2) BAJIO BES

(1) voce raccolta a Pistoia (cfr. G. Rohlfs, “Grammatica Storica”,
pp. 478 – 479).
(2) voce raccolta a Torri (cfr. il “Dizionario Toponomastico del
Comune di Sambuca Pistoiese”, Pistoia 1993, pp. 41 – 42);
(3) la “s” è sonora, come in "sbarco"


nota:
(1) è lo stesso Rohlfs a ipotizzare, in altra pagina della sua
celebre grammatica, una origine (in certe zone o in certe
situazioni) di "j" da "sc":
"Talvolta si è avuta una forma di palatizzazione della s (> sc),
sotto l'influsso di una i seguente: Cecco Angiolieri caratterizza in
uno dei suoi sonetti la pronuncia del dialetto pistoiese mediante
l'esempio ascina 'asina' ... per l'antico lucchese è attestata la
forma ascino (AGI 16,430), forma non ignota a certi dialetti moderni
lucchesi (Nieri 18), mentre per altre zone della provincia di Lucca
è attestata la variante sonora "ajino" (AGI 16, 430); allo stesso
modo si spiegano kujì "così" e kuaji 'quasi', forme che si trovano
ad Apiro in provincia di Macerata (SR 3, 131). Mediante il processo
di palatizzazione potrà trovare la sua spiegazione anche la "j" che
si trova in luogo di "s" in molte parola importate dal francese:
cfr, per esempio, il toscano rugiada (piemontese rujà, emiliano
rujè, lombardo rujada a fianco della forma più frequente rusada)".
(G. ROHLFS, "Grammatica Storica - Fonetica", Torino, Einaudi, 1999,
pp. 283 - 284).
Tale impostazione la troviamo, peraltro, già in Giulio Bertoni:
"[nel toscano] il c fra vocali perde l'elemento dentale riducendosi
a fricativa palatale sorda (sc), da paragonarsi alla fricativa
espressa in francese da ch e il g in uguale condizione si semplifica
parallelamente in fricativa palatale sonora (sg da paragonarsi col
francese j), per esempio vosce, rasgione (scritto negli antichi
testi sgi). E qui va anche il riflesso sj, per esempio prisgione. La
sc e la sg non hanno [in toscano] l'energia e la durata delle
corrispondenti consonanti francesi rappresentate da ch e f e sono da
considerarsi antichi, sebbene non siano entrati nella pronuncia
dotta o letteraria" (G. BERTONI, "Italia dialettale, Milano,
Cisalpino Goliardica, 1986, p. 127).

sempre sulla sibilante postpalatale sonora "sg" (anche indicata come
"fricativa prepalatale sonora") clicca su origine della gorgia
toscana


SULLA FRICATIVA PREPALATALE SORDA
Abbiamo visto che la consonante sibilante postpalatale sonora
(detta anche fricativa prepalatale sonora) è risultato di una
evoluzione in chiave settentrionale dei toscani "sc" e "(s)g", ma in
Alto Reno oltre a questo suono è presente anche la fricativa
prepalatale sorda.
La fricativa prepalatale sorda rappresenta il caso opposto rispetto
alla consonante sibilante postpalatale sonora che suona "j" (sg").
Nel caso della fricativa prepalatale sorda infatti il suono è "sc"
come nel toscano "scena".
Secondo Gerhard Rohlfs il suono "sc" è infatti di "schietta
toscanità" ("Grammatica Storica - Fonetica", Torino, Einaudi,1999,
p. 406), e, in effetti, non lo troviamo a Bologna. Lo troviamo, al
contrario, in Alto Reno (cfr. "Dizionario Toponomastico del Comune
di Sambuca Pistoiese" (1993), p. 27 e "Dizionario Toponomastico del
Comune di Granaglione" (2001), p. 53).
Si confronti, in proposito, il toponimo di "Pisciarona" nel dialetto
locale di Granaglione con il vocabolo "pisciare nel dialetto
bolognese:
GRANAGLIONE BOLOGNA
Pisciarona Pisèr
A Bologna si usa la forma "s sorda", mentre a Granaglione si usa la
forma "sc".
La fricativa prepalatale sorda è quindi un evento sonoro di grande
importanza per due ragioni:
1) si oppone alla consonante sibilante postpalatale sonora in
maniera analoga all'opposizione fra scempiamento delle consonanti
geminate e scempiamento delle vocali lunghe;
2) testimonia l'estensione oltre il crinale appenninico, e il
confine regionale, del "parlar toscano". Ciò a ulteriore conferma
dell'idea che la linea Rimini - La Spezia è una linea a doppio senso
di penetrazione (Nord - Sud / Sud - Nord)


ORBETTINI, LUCERTOLE E RAMARRI
Piccoli e simpatici abitatori delle nostre montagne sono gli
orbettini e le lucertole. Della lucertola, a cui pure è dedicata una
costellazione (Lacerta, tra Pegaso e Andromeda), si narra ogni bene:
è lei che anticipa la primavera (a Bologna dicono che "PAR
SANT'AGNEIS CORR LA LUSERTA PR AL PAIEIS"), ed è lei che ha
abbreviato i dolori di Cristo durante la passione secondo una pia
tradizione popolare.
E questo bene è del tutto meritato se si pensa che essa si nutre di
insetti, molti dei quali sono nocivi per l'agricoltura: per questo è
un animale molto utile.
Molto utile è pure l'orbettino, perché anche questo innocuo
serpentello (in effetti molto più parente delle lucertole che non di
bisce e di vipere) si nutre di animali dannosi alle coltivazioni.
Cambiando discorso spendiamo qualche parola sul modo in cui la
lucertola è chiamata a Treppio: Dugertola, dove la "D" è una "L"
modificata per cacuminalità e la "g" va letta come la "j" del
francese "jardin", secondo una variante fonetica tipica delle forme
dialettali gallo - toscane dell'Alto Reno (1).
Rimanendo in tema di lucertole, e affini, val la pena ricordare che
in diverse zone dell'Alto Reno il ramarro è chiamato "ramallo",
proprio come a Pistoia (cfr. il vocabolario di pistoiese pubblicato
nel 1984 e ristampato nel 2000 dalla Società Pistoiese di Storia
Patria (2)).

note:
(1) Il Rohlfs (pag. 479 della sua Fonetica della "Grammatica
storica della Lingua Italiana") c'informa che a Pistoia era in uso
la forma "ugertola" per lucertola. Considerato che la "g" viene
pronunciata in forma leggermente sibilante si può ritenere che
l'assibilazione che si nota nel treppiese "dujertola" (e quindi più
in generale in tutte le forme "j") sia derivata da una esasperazione
del fenomeno toscano.
(2) sulla leggenda del ramarro clicca su: la leggenda del ramarro


LA LEGGENDA DEL RAMARRO A PISTOIA E IN ALTO RENO
"RAMMALLO (variante "ramarlo") s.m. pop. - Ramarro. Secondo una
credenza popolare il rettile, se sis attacca alle vesti o al corpo
di una persona, può essere allontonato solo col fuoco" (G.
GIACOMELLI, Vocabolario Pistoiese, Società Pistoiese di Storia
Patria, Pistoia, 2000, p. 142).
Questa tradizione è presente anche in Alto Reno, come ci informa la
testimonianza raccolta da Bartoletti Beatrice di Porretta (morta nel
1994).


PICCOLO DIZIONARIO

esempi di treppiese, pavanese, dialetti parlati nella zona bolognese attorno a Suviana

TERMINE PAVANESE BADI BARGI STAGNO TREPPIO ORIGINE
ARCOBALENO ARCOPEDAGGNA ARCOPEDAGNO ARCOPEDAGNO EMILIANA
DESIDERIO - NOSTALGIA ASCARO ASCARO ASCARO TOSCANA
BALLOTTI BALOTTI BALOTTI BADOTTI TOSCANA (1)
MENTO PROMINENTE BAZZA BAZZA BAZZA TOSCANA
SENZA COMPANATICO BIOSCIO BIOSCIO BIOSCIO

TOSCANO "BIOSCIA"

EMILIANO
"BIOS"

ROSPO BOTTA BOTTA BOTTA TOSCANA
SCAZZONE BROCCIOLO BROCCIOLO BROCCIOLO TOSCANA
CASA CA' CA' CA' EMILIANA
TEMPESTA DI NEVE FOGNARE FOGNARE FOGNO TOSCANA
FRUGIATE FRUSGIA' FRUGIA' - FRUGIADE FRUGIADE TOSCANA
DIRUPO GROTTO GROTTO GROTO TOSCANA
TALPA MSURAGGNOLA MUSARANGOLA MUSARAGNOLA EMILIANA (2)
FRITTELLA DI CASTAGNA COTTA FRA I TESTI NECCIO NECCIO NECCIO (3) TOSCANA
OGGI OGGI OGGI OGGI TOSCANA
FANGO PACCHIARA PACCHIARA PACCHIARA EMILIANA TOSCANA
INSIPIDO SCIOCCO SCIOCCO SCIOCCO TOSCANA
STREGA STROLGA STROLGA STROLAGA EMILIANA TOSCANA (4)
TROGOLO TROGO TROGO TROGO TOSCANA
BUCCIA INTERNA DELLA CASTAGNA ZANZA ZANZA ZANZA TOSCANA

(1) la voce è presente anche a Bologna, ma è assai diversa dal pistoiese "ballotto" e dai rispettivi vocaboli altorenani (a Bologna si dice "baluus").

(2) Guccini e altri ritengono che la voce sia "paracadutata", e cioè appartenga a un gruppo linguistico né toscano, né emiliano. Tuttavia noi riteniamo che l'origine di questa parola sia effettivamente "paracadutata", ma da Modena ... A Modena infatti la talpa viene designata come "musàon" e anche come "tópa rugàgna ". Da queste parole ai nostri "musaragnola" (et similia) il passo è breve (ad esempio si può essere passati per un "musarugagna" e poi, per affinità con il nome del ragno, a "musaraggnola"). Per saperne di più clicca sotto:

http://www.regione.emilia-romagna.it/agricoltura/pubblicazioni/bestiario/frame.htm

Non è da escludere, tuttavia, una origine del termine ancora più semplice: uno dei nomi italiani del sorex araneus (il comune toporagno) è "musoragno", tale nome è attestato per il toporagno proprio a Porretta (D. Lorenzini, "Guida dei Bagni della Porretta e Dintorini, Zanichelli, Bologna, 1910, p. 154). Può essere, così, che il nome "musoragno" sia semplicemente spostato da una specie all'altra (dal "sorex araneus" alla "talpa eurpaea")

(3) A Treppio il vocabolo "neccio" è usato di rado e deve essere considerato importato recentemente. Nel suo dizionario sul Dialetto di Treppio Lia Bonzi scrive: "Non è presente a Treppio il tipo lessicale "neccio" tipico dell'Appennino toscano nord - occidentale e documentato in una zona che comprende l'area pisana e l'Alta Versilia, oltre che la Lucchesia, l'area pistoiese e parte di quella bolognese" (Nueter,XXVI, 2000, p. 164).

(4) La voce "strolaga" è presente a Montale Pistoiese col significato di strega / maga. A Pistoia la voce è presente, ma col significato di "zingara". Si ricordi, tuttavia, che è proprio la zingara colei che legge le mani o può fare il malocchio.