"Sono nato a Pianaccio tanto tempo fa, il 9 agosto 1920" (Enzo Biagi)

ENZO BIAGI PARTIGIANO DA PIANACCIO

(LIZZANO IN BELVEDERE)
Da: http://www.articolo21.com


In quel 25 aprile del 1945 tutti pensarono che il mondo non sarebbe più stato attraversato da guerre, razzismi, olocausti e invece, dopo cinquantanove anni, dobbiamo assistere ancora a guerre sparse per il mondo, tante dimenticate e una invece impronunciabile, definita addirittura intervento umanitario o di pace, quella in Iraq che usa i media per nascondere alla gente la verità.  Una guerra che fa dimenticare tutte le altre e milioni di morti taciuti, civili, donne e bambini. 
Dalle parti di Bologna sull’Appennino, c’è un luogo dedicato alla memoria e alla pace si chiama Monte Sole attorno ci sono paesi che portano nomi incancellabili: Marzabotto, Pioppe, Vergato, Ronchidosso, Ca’ Berna  alcuni dei tanti luoghi dove, durante la seconda guerra mondiale, sono stati  compiuti efferati eccidi dai nazifascisti per punire un popolo che voleva la libertà.
Da quelle parti, su quei monti e in mezzo a quei boschi  per quattordici mesi ha fatto il partigiano Enzo Biagi.   Abbiamo un po’ parlato di quel periodo che ha segnato la sua vita per sempre.

L’8 settembre del ‘43 Radio Londra, alle sei aveva dato l’attesa notizia che l’Italia aveva firmato l’armistizio, ma dal giorno dopo i tedeschi cominciarono in tutto il paese a rastrellare gli uomini per poi deportarli in Germania.  A Bologna li mettevano prima al Littoriale, così si chiamava allora lo stadio di calcio.  In via Sant’Isaia, il ventitreenne Biagi, incontrò una colonna di camion con duecento bolognesi e i tedeschi con i mitra puntati su di loro, la città era sottosopra.  Cominciarono i bandi di chiamata alle armi firmati da Rodolfo Graziani, che minacciavano la fucilazione per i renitenti e la confisca dei beni e il carcere per i familiari.  La Repubblica sociale italiana voleva costituire il suo esercito.  Chi non rispondeva alla chiamata veniva considerato un bandito e un ribelle.

Enzo Biagi partì di mattina in bicicletta aveva una meta: la Segavecchia, l’abetaia, da lì sarebbe passata la Brigata partigiana Giustizia Libertà.   Ricorda che lungo la strada provinciale passavano camion carichi di munizioni, c’erano cartelli inchiodati ai pali del telegrafo con la scritta: “Achtung! Banditen!”.  Si sentì sicuro solo quando entrò nei castagneti e più in alto nel bosco. Fu trovato dai suoi futuri compagni, circa un centinaio, erano stati informati del suo arrivo da una staffetta.

“Tra noi partigiani erano rappresentate tutte le classi sociali, molti operai qualche intellettuale, come il capitano Toni, Toni Giuriolo, medaglia d’oro, che per andare a salvare uno di noi rimasto ferito, muore colpito da un tedesco.   Aveva tradotto alcuni autori francesi era un uomo di grande cultura e di grande apertura. 
Eravamo uniti, ci sentivamo tutti uguali, avevamo la stessa visione delle cose. Ricordo quei quattordici mesi come il momento della fratellanza, affrontavamo gli stessi problemi, gli stessi rischi perché se ci prendevano eravamo considerati disertori.
Dormivamo dove si poteva, spesso nei fienili.  Mi ricordo che uno di noi fumando una sigaretta aveva dato fuoco a della paglia, un certo Campanelli e allora io avevo creato una canzoncina che tutti cantavamo: Siamo forti siamo belli, siamo come Campanelli combiniamo tanti guai incendiando dei pagliai.  C’era anche la spensieratezza dell’età.

Cosa ricordi della liberazione?
Quando siamo arrivati a Bologna, il 21 aprile fu liberata la nostra città, eravamo aggregati al Gruppo di combattimento Legnano, gli americani ci avevano rivestiti tutti.   Io indossavo la divisa di sottotenente avevamo il tricolore su una spalla, io non ho partecipato alla sfilata sono andato direttamente a casa.  La mattina dopo sono sceso in città da via dell’Osservanza e sotto i portici, in piazza, una ragazza mi ha fermato e mi ha detto: Have you chocolate?, hai della cioccolata?  Io le ho risposto in italiano che non ne avevo, ho visto disegnarsi sul volto della fanciulla la delusione e probabilmente avrà pensato: Ma guarda con tutti gli americani che ci sono vado ad inzuccarmi in un mio compatriota.
Quei quattordici mesi mi sono serviti, me li sono portati dietro per tutta la vita e spero che i miei quattro nipoti siano contenti di questo nonno, tu li conosci, sono stati cresciuti in un certo modo, casa mia sembra l’Onu: una è ebrea e due sono stati adottati.

Hai fatto il partigiano dalle parti dove sei nato, da Pianaccio a Gaggio Montano c’è poco, questo ti ha aiutato nel muoverti di giorno di notte…
Sapevo muovermi benissimo e questo in certi momenti sicuramente ci è servito.  Sai che, se oggi non ci vedessi più, in quei luoghi potrei determinare ancora le ore dai profumi e dall’aria attraverso il loro cambiamento nell’arco della giornata.
Sono stato perseguitato dall’odore del panno delle divise dei tedeschi.  I loro pastrani sapevano di terra, foglie di bosco, di bagnato, di grasso di maiale e di cuoio, mi rendevo conto del loro passaggio prima del nostro arrivo.

Esattamente qual era la zona della tua Brigata?
Da Gaggio Montano fino su a Monte Castello.  Ricordo che feci i primi manifesti, non ho mai smesso di scrivere, quando entravamo nei paesi per far sapere che lì non comandavano più i repubblichini, scrivevo: In nome del popolo italiano, Brigata Giustizia Libertà, occupa questo paese.

Qualche anno fa il Presidente Carlo Azeglio Ciampi ha scoperto proprio a Gaggio una lapide in memoria del capitano Toni.
Di quel luogo mi porto un ricordo che non dimentichero’ mai.   Vicino a Gaggio a Ronchidosso e a Ca’ Berna verso Madonna dell’Acero, i tedeschi avevano fatto una strage, avevano ammazzato piu’ di cento civili, noi avevamo sette di loro prigionieri. Il nostro comandante decise, in risposta per quelle innocenti vittime, la fucilazione di questi sette. Uno dei miei compagni, Sandro gli disse che noi non eravamo come loro, il comandante rispose che neppure quei civili lo erano. 
Io facevo un po’ da interprete, conoscevo il tedesco: buongiorno, buonasera, per andare a mangiare, mi arrangiavo.  Mi ricordo il momento piu’ umiliante e anche quello piu’ disumano, quando dissi ai prigionieri, prego le scarpe, cavatevele
Non dimentichero’ mai quei soldati con i piedi lividi coperti da calze rotte immersi nel fango e i figli dei contadini con le loro scarpe  che saltavano felici, perche’ a quei tempi le scarpe erano una cosa abbastanza rara.  Mentre li portavano in fondo al bosco uno di questi urlava: Chiamate quello che sa mia lingua , io camerata, io niente fatto.   Subito dopo i prigionieri furono fucilati.
L’ho anche scritto, con Checco abbiamo, alla sera, poi bevuto vino cattivo fino a vomitare.  Quante volte ho rivisto i loro occhi spiritati.
Checco oggi fa l’avvocato, si chiama Francesco Berti Arnoaldi, dice che noi non avevamo capito come stavano le cose.  Noi volevamo salvare delle vite quando tutti volevano ammazzare. 
Noi volevamo consegnare quei prigionieri agli americani. 
Le crudelta’ di quel mondo, di quel tempo, sono infinite.
Capisco di fronte alla morte anche il revisionismo, perche’ si puo’ paragonare un morto ad un altro morto, e’ ovvio questo.    Pero’, ci sono delle ragioni che non vanno dimenticate: come e’ accaduto, perche’ e’ accaduto, che cosa era successo prima e cosa e’ successo dopo.   Non si puo’ isolare solo quel fatto, bisogna comprendere tutta la storia.  E tornando al ricordo di quella particolare atmosfera rimane soltanto la crudelta’ orrenda della morte”.

La piazza del tuo paese, Pianaccio, e’ intitolata ad un’altra medaglia d’oro  Don Giovanni Fornasini.
Don Fornasini, sua nonna Caterina era la domestica del mio, faceva il parroco in una frazione di Marzabotto, Sperticano.   Quando venne a sapere che i tedeschi avevano cominciato a fare stragi, lui che era libero torno’ dai suoi parrocchiani per morire con loro.  Appena gli aguzzini cominciarono a sparare, fece il segno della croce per assolvere nello stesso tempo chi uccideva e chi moriva.

Difficile dimenticare quello che e’ accaduto allora.
La risposta degli italiani, quelli che dopo l’8 settembre non andarono a Salo’ e fecero la resistenza, ha portato alla conquista di un mondo civile e della liberta’ per cui oggi vedi quello che vuoi, leggi quello che vuoi e scrivi quello che vuoi. 
Tutto ciò non lo poi cancellare anche se qualcuno quel periodo lo vuole relegare in un capitoletto di storia o addirittura vuole abolire la festa per ragioni di produttività del paese.”

Cosa rappresenta il 25 aprile?
Rappresenta un’apertura della testa, un’apertura verso la vita, verso gli altri, la speranza di un mondo giusto e libero, questo nessuno ce lo può toglierte.