RICCHEZZA NATURALISTICA E RICCHEZZA LINGUISTICA

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RICCHEZZA NATURALISTICA E RICCHEZZA LINGUISTICA

(E IL PROBLEMA DELL’ESTINZIONE DI MASSA)

 

Nel libro “Voci del silenzio” (pubblicato dalla casa editrice romana Carocci) gli autori Daniel Nettle e Suzanne Romanine provano che esiste una stretta correlazione tra ricchezza linguistica e ricchezza naturalistica di un dato territorio e che questa reciproca ricchezza è attualmente a rischio:

 

“Nelle isole Hawaii, per esempio, la maggioranza delle piante e degli animali locali, proprio come la lingua hawaiana, non si trovano in nessun altro posto sulla terra e devono affrontare il rischio dell’estinzione. Sebbene lo stato delle Hawaii rappresenti meno dell’1% dell’intero territorio degli Stati Uniti, esso contiene più del 30% (363 su 1104) delle specie riconosciute a livello federale come minacciate o vicine all’estinzione, compreso l’ibisco giallo, il fiore simbolo dello stato, e l’anatra hawaiana (nene), l’uccello tipico dello stato. Non è una coincidenza che il rischio di estinzione per la lingua sia andato di pari passo con il rischio di estinzione per le specie viventi. Le lingue sono come il canarino per i minatori: una condizione di pericolo per una lingua segnala un problema ambientale” (p. 28)

 

E ancora:

 

“Le aree che presentano la maggiore diversità biologica hanno anche la maggiore diversità linguistica e culturale. Queste correlazioni richiedono un’analisi attenta e devono essere spiegate. L’estinzione, che sia di una lingua o di una specie, fa parte di un processo più generale nel quale le attività umane contribuiscono a creare una radicale alterazione del nostro ecosistema. Nel passato queste estinzioni ebbero luogo in gran parte indipendentemente dall’intervento umano, ma ora si stanno verificando su una scala senza precedenti a seguito del nostro intervento, e in particolare della nostra alterazione dell’ambiente. L’estinzione delle lingue può essere vista come una parte della più ampia rappresentazione del collasso dell’ecosistema su scala planetaria. Dietro quella che chiameremo l’attuale crisi di diversità biolinguistica sta la nostra incapacità di riconoscere la stretta relazione che ci lega all’ecosistema globale” (P. 31).

 

Ed infine:

 

“Le grandi fasce di alta densità linguistica messe in evidenza dalla fig. 2 – il cuore dell’Africa, il Sudest asiatico fino al pacifico, più il Brasile, l’America centrale e parti dell’Australia – sono anche le aree dove si trovano le foreste tropicali che ospitano molte tra le specie esistenti sulla terra. Queste foreste offrono un rifugio a una quantità di specie terresti che va dal 50 al 90%, così come alla maggioranza delle lingue del mondo. Crediamo che questa correlazione non sia accidentale, e più avanti … torneremo sull’idea che la diversità linguistica e quella biologica abbiano aree comuni, cause comuni e si trovino ad affrontare minacce comuni” (p. 51)

 

Quello che in scala mondiale hanno cercato di provare Daniel Nettle e Suzanne Romanine noi, più modestamente, cercheremo di dimostrarlo per il nostro Alto Reno.

 

Come ha avuto modo di verificare chiunque abbia consultato il nostro sito l’Alto Reno si trova lungo la cosiddetta linea linguistica La Spezia – Rimini (cioè la linea di demarcazione tra le lausberghiane “Romània Occidentale” e “Romània Orientale”) e questa situazione ha portato alla formazione di un'innumerevole quantità di dialetti tanto che, in alcuni comuni altorenani, ogni frazione ha sviluppato un proprio specifico dialetto anche molto diverso dagli altri (si veda nel Comune di Sambuca Pistoiese il lagaccese, il sambucano, il treppiese, il carpinetese, il pavanese, il posolante, etc.). Tale ricchezza linguistica ha un riflesso speculare anche nella ricchezza ecologica…

 

In un documento dell’Azienda USL Bologna Sud pubblicato nel 2003 (“Il profilo di salute della popolazione di Bologna Sud”) è presente un paragrafo dedicato alla biodiversità della flora (§ 1.1.1) leggendo questo paragrafo apprendiamo che i Comuni dell’Alto Reno sono in assoluto i più ricchi di specie pteridofife e protette (ai sensi Legge Regionale dell’Emilia Romagna n. 2/1977):

 

“I comuni più ricchi di specie corrispondono generalmente a quelli alto – montani (con aree situate al di sopra dei 900 m di quota), in particolare:

-         LIZZANO IN BELVEDERE con ben 117 specie (34 pteridofite e 83 specie protette)

-         CAMUGNANO [Bargi, Stagno e Costozza fanno sicuramente parte dell’Alto Reno] con 67 specie (19 pteridofite e 48 specie protette)

-         PORRETTA TERME con 58 specie (28 pteridofite e 30 specie protette)

-         GRANAGLIONE con 56 specie (26 pteridofite e 30 specie protette)

Ciò è facilmente comprensibile se si pensa che in aree spazialmente vicine a questi territori possono essere presenti condizioni ambientali molto diverse che notoriamente si associano alla biodiversità (si pensi ai versanti nord e sud di un monte o al fondo di una forra ed ai prati assolati che la sovrastono).

Inoltre le aree montane hanno avuto un impatto antropico generalmente meno accentuato e ciò che ha contribuito a mantenere una buona diversità floristica per i gruppi presi in considerazione” (p. 14)

 

E’ interessante osservare che le ragioni che spiegano la ricchezza della diversità biologica in Alto Reno è la stessa che giustifica la ricchezza di diversità linguistica nell’Alto Reno stesso. Ma c’è di più dato che la ricchezza della diversità biologica dell’Alto Reno è giustificata anche dal fatto che questa valle rappresenta il limite settentrionale (o meridionale) della presenza di molte specie, ad esempio:

 

-         limite settentrionale di Linaria purpurea (AA.VV., “Parco Regionale del Corno alle Scale”, Giunti, Firenze, p. 66 - 67)

-          limite meridionale di Aquilegia Alpina (p. 72)

-         limite meridionale di Gentiana kokiana (ibid)

-         limite meridionale di Sempervivum montanum (ibid.)

-         limite meridionale di Homogyne alpina (ibid)

-         limite meridionale di Aconitum variegatum (AA.VV., Le Valli della Sambuca”, Comune di Sambuca Pistoiese, Sambuca Pistoiese, p. 58)

 

Si torni a considerare che il nostro Alto Reno, oltre ad essere il limite aerale settentrionale o meridionale di diffusione di molte specie, è anche una delle vallate poste sulla linea linguistica che divide la Romània Occidentale e la Romània Orientale (si tratta di una corrispondenza sicuramente significativa).

 

Nel documento dell’Azienda ASL Bologna Sud abbiamo anche visto come il Comune di Lizzano in Belvedere sia particolarmente ricco di specie protette e a tale ricchezza naturalistica corrisponde un’altrettanto ricca varietà dialettale:

 

“si noterà che, a seconda del paese di provenienza del narratore, la stessa parola ha forma diversa: per esempio ‘mangiare’ a Lizzano è ‘magnare’ a Vidiciatico è ‘mangdiare’ e a Montacuto è ‘magnâ’, con prolungamento del suono della ‘a’ finale reso con accento circonfleso… Il dialetto di Farne’ e dell’alta Val Dardagna è molto più duro degli altri, più denso di troncamenti, così che anche l’articolo determinativo ‘il’ diventa ‘e’’: ‘il muro’ sarà ‘e’ muro’; ‘il miele’ sarà ‘e’ mélo’, da non confondersi con il pronome detto sopra, pur presente anche a Farne’” (AA.VV., “T’a da stare a savére”, Rugletto dei Belvederiani, Lizzano in Belvedere, 2006, pp. 11, 12).

 

E dopo avere dimostrato che anche in Alto Reno alla ricchezza naturalistica corrisponde una ricchezza linguistica passiamo al compito più ingrato…. dimostare che la scomparsa dei dialetti altorenani ha come contraltare la scomparsa della biodiversità in Alto Reno….

 

Per la scomparsa della diversità dialettale in Alto Reno ci pare ci sia poco da aggiungere per chi ha consultato questo sito… faremo solo pochi esempi in area sambucana:

 

a)     il dialetto treppiese è scomparso negli anni ’70 del XX secolo;

b)     il dialetto campedese  è oggi parlato solo da alcune persone anziane nessuna delle quali risiede più a Campeda;

c)     il dialetto lagaccese è parlato da poco più di una manciata di persone

d)     il dialetto pavanese (il più conosciuto e parlato) è usato solo da persone anziane.

 

Anche la biodiversità della flora altorenana è a grave rischio, come dimostrato da questo passo del già citato lavoro dell’Azienda USL Bologna Sud:

 

“Le ricerche, ancora in corso, hanno evidenziato la scomparsa di alcune specie e la notevole rarefazione di altre, in gran parte ragionevolmente dipendenti dalle mutate condizioni ambientali.

Le maggiori ‘perdite floristiche’ corrispondono a piante legate a zone umide più o meno alterate o addirittura scomparse (come avvenuto in alcuni tratti di terreno lungo il Rio Maggiore nel Porrettano) e a piante artiche che sono quasi certamente scomparse alle quote più basse (zone di Monte Cavallo Monte Granaglione e Monte Cocomero) a causa dei cambiamenti climatici in atto (aumento delle temperature estive, minore innevamento invernale che espone le piante ai danni del vento e del gelo, irregolarità degli apporti meteorici nella stagione estiva” (p. 14)

 

L’argomento per la sua importanza e tragicità meriterebbe maggiori studi ed approfondimenti, ma per il momento ci accontentiamo di avere fatto una prima luce…

 

ALTO RENO TOSCANO

9 dicembre 2006