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PAVANA COME ETEROGLOSSIA INTERNA

Lo studioso Tullio Telmon nel suo libro "Le minoranze linguistiche in Italia" (Edizioni dell'orso, Alessandria, 1992) si occupa alle pagine 145 - 147 delle cosiddette "eteroglossie interne" nel territorio della Repubblica Italiana (1). Secondo lo studioso piemontese l'eteroglossie interne sono da intendersi come un "codice linguistico estraneo" ad un certo territorio, un codice dipendente "direttamente dalla mobilità e dai fatti di migrazione". Ogni eteroglossia è dunque interpretabile come una colonia (cfr. p. 145). Il Telmon cita tra le eteroglossie del crinale appenninico:

1) Gombitelli (LU);

2) Sillano (LU);

3) Pavana (PT).

Tutte e tre le eteroglossie sarebbero di tipo emiliano.

Il dato di Gombitelli appare il più chiaro (si tratta in effetti di una eteroglassia), più difficile è la situazione di Sillano dato che lo studioso bolognese Daniele Vitali lo ascrive non ai dialetti emiliani, ma ai dialetti garfagnini. Il caso di Pavana, infine, appare completamente errato:

Pavana non risulta essere un avamposto emiliano isolato in terra toscana, ma s'inserisce all'interno di una fascia dialettale (sarebbe meglio dire linguistica) che presenta caratteristiche intermedie tra la Romania Orientale e la Romania Occidentale. Chiunque conosca il dialetto di Pavana (che Guccini considera un "dialetto di tipo toscano ma profondamente segnato da caratteristiche emiliane") e gli altri dialetti della zona (es: lustrolese e badese in Emilia, lagaccese e sambucano in Toscana), non potrà che rimanere stupito nell'apprendere che a livello scientifico il pavanese viene presentato come una eteroglossia.

Di eteroglossia in Alto Reno si può parlare con certezza solamente per l'antico dialetto di Torri (frazione di Sambuca Pistoiese nella Limentra Orientale) che doveva risultare un misto di reggiano e modenese con apporti toscani e bolognesi (2). Per quanto attiene il dialetto di Treppio è stata proposta l'ipotesi della colonia garfagnina, ma la questione è ancora oggetto di discussione (3).

Rimanendo in terra pistoiese si può ipotizzare la presenza in passato di eteroglossie altoitaliane nella Valle dell'Ombrone Pistoiese (4), eteroglossie tuttavia che non sono riuscite a sopravvivere (5).

NOTA:

(1) con esclusione delle eteroglossie galloitaliane in Sardegna, Sicilia e Basilicata a cui dedica l'intero capitolo I dell'opera (pp. 8 - 18).(2) attualmente il comprensorio di Torri appare, al contrario, il più 'toscano' dell'Alto Reno assieme a Pracchia (si nota la presenza della gorgia toscana in k). Per saperne di più vedi la pagina dedicata all'antico dialetto di Torri in questo stesso sito.

(3) si rimanda alle numerose pagine dedicate in questo sito all'origine del dialetto treppiese.

(4) L'origine di queste colonie sarebbe da attribuire ai lavori per la realizzazione della Ferrovia Porretta - Pistoia come c'illustra questo brano tratto dal numero 7 della rivista pistoiese "Microstoria": "Per un'opera tanto ciclopica venne richiesta manodopera specializzata che il solo territorio attraversato dalla costruenda ferrovia non era in grado di fornire; per questo, molti canavesani e veneti si trasferirono nelle nostre zone assunti in qualità di scalpellini e muratori; a testimonianza di ciò, in alcuni piccoli paesi dell'Appennino, come a Villa di Piteccio, si possono ancora trovare famiglie dai nomi veneti o di chiara provenienza piemontese" (Microstoria, anno II, n. 7, 2000, p. 20).

(5) citando il caso di altre eteroglossie venete in Toscane scrive il Telmon: "è stato pure osservato, almeno in Toscana e in Sardegna, che il veneto tende a scomparire con il succedersi delle generazioni e con il crescere delle possibilità - negate in forma coercitiva all'inizio dello stanziamento - di uscire dall'ambito paesano sia per motivi di studio che di lavoro" (T. TELMON, Op. cit., p. 147).


dal sito www.griseldaonline.it/zuccari_casina.pdf

Qualche notizia sul dialetto pavanese.

(RAFFAELLA ZUCCARI - RICERCATRICE UNIVERSITA' DI BOLOGNA)

Il dialetto pavanese si situa, geograficamente e morfologicamente, in una stretta fascia

dialettale inserita fra l.Emilia e la Toscana; questa fascia di territorio diparte all.incirca dalla

Romagna . Toscana e, attraverso i crinali, passando per lembi di provincia di Firenze, Prato,

Pistoia, Bologna, Modena, Lucca e Massa Carrara, raggiunge la Liguria. Naturalmente ogni

singolo dialetto parlato nelle zone appena citate possiede caratteristiche sue proprie ma si può

dire, mutuando la classificazione dalle scienze biologiche, che esso appartiene ad una stessa

famiglia, suddivisa però in particolari genere e specie. Si può aggiungere per sommi capi, che

si tratta di dialetti che, su una base toscana o toscaneggiante, hanno inserito una, più o meno

forte, componente emiliana.

Pàvana è, da secoli, in territorio pistoiese (un documento del 998 di Ottone III conferma, al

vescovo di Pistoia, Antonino, .omnia res et proprietates sibi pertinentes.; fra queste, la

seconda di un elenco di numerose località, è .villam de Pavana.). Pur non essendo Comune,

ma frazione di Sambuca Pistoiese, Pàvana ha sempre mantenuto una propria forte identità,

viva fra tutti coloro che ne riconoscevano i confini, grosso modo, all. interno del territorio della

parrocchia (la pieve) identità che si è manifestata in molte occasioni del passato medievale,

nel ripetuto tentativo dei pavanesi di passare sotto l.amministrazione bolognese.

Il fatto è che Pàvana è situata all.estremo nord del territorio di un Comune che è molto vasto e

molto suddiviso, per cui ogni singola comunità si è sempre sentita isolata rispetto alle altre.

Questa situazione, per Pàvana, ha condotto ad una maggiore emilianizzazione del dialetto

enfatizzando caratteristiche quali, ad esempio, la sonorizzazione delle consonanti sorde

intervocaliche (ad es. ortica che diventa ortiga); la tendenza alla scomparsa, nel corpo della

parola, delle vocali atone (stomaco che diventa stómgo); la non dittongazione della e ed o

brevi latine, toniche, (si hanno piètra e fuòco nel toscano e préda e fógo nel pavanese); il

fenomeno del troncamento, nei participi passati dei verbi e nelle parole terminanti in -ato, -

eto, -ito, -uto, (ad es. manghia. per mangiato, avu. per avuto, parti. per partito, sagra. per

sagrato, a.ge. per aceto, mari. per marito); lo scadimento del pronome soggetto che, nelle

forme toniche (io, tu, egli) viene sostituito dalle forme oblique (mì, tì, lu.). Il pavanese è

quindi un dialetto su base toscana ma con tratti fortemente emiliani, presenti in maggior

numero rispetto agli altri dialetti del comune.

Non esiste né in emiliano né in toscano questa particolarità fonetica: si osserva la

trasformazione del suono delle affricate palatali ce, ci, ge, gi, le quali, solo all.interno di parola,

diventano sibilanti sonore, pronunciate come la j del francese jambon, e come la x del ligure

Bixio, bruxiare; questo suono Guccini lo scrive, per convenzione, .g: avremo quindi pa.ge per

pace, ba.gio per bacio, ecc. Anche lo scempiamento delle consonanti doppie, che solitamente

avviene nell.emiliano, si attua soltanto in parole che hanno più di due sillabe e dove la doppia

consonante precede la vocale tonica, come appunto in galìna, fosétto, capèllo. Tipicamente

pavanese anche il fenomeno del raddoppiamento della m che si trovi fra due vocali, come in

ommo, fiumme, lumme, ecc.

Guccini ha pubblicato nel 1998, in occasione dei mille anni .ufficiali. di Pàvana (si ricordi il

documento ottoniano) il .Dizionario del dialetto di Pàvana. dal quale abbiamo tratto le preziose

informazioni che ci sono servite per questa sintetica descrizione.

Il dialetto pavanese non ha e non ha mai avuto una tradizione scritta: Guccini ha scelto il

sistema di trascrizione grafica proposto dalla Rivista Italiana di Dialettologia. Lo scopo del

Dizionario era purtroppo solo conservativo, in quanto il pavanese, ormai, non è più parlato:

non solo dai giovani ma anche dagli individui compresi in quella fascia di età che va dai

cinquanta a più di settant.anni. Ormai solo i molto anziani lo parlano, e solamente fra di loro, il

che porterà inevitabilmente, fra alcuni anni, all.estinzione di questo dialetto. La scomparsa dei

dialetti è ormai generalizzata, e neanche Pàvana si discosta da questa tendenza: la si deve al

forte spopolamento dovuto all.emigrazione, esterna ed interna, abbastanza incisiva fino al

1970 circa; al fatto che il paese ha raramente conosciuto il fenomeno, tipico di certe zone di

montagna, delle nozze endogamiche, ma che anzi ha visto spesso unioni con persone

provenienti da zone le più disparate d.Italia e anche dall.estero; in ultimo, all.estrema facilità

che i pavanesi hanno sempre avuto nel passare, essendo toscani (anche se particolari: essi

hanno sì il vocalismo tonico toscano, con le vocali giustamente accentate, -bène, pósto,

perché-, ma nessuno dei fonemi tipici toscani come, ad esempio, l.aspirazione della c) al

registro italiano. Oggi l.esodo si è arrestato e a Pàvana si assiste ad un modesto incremento

demografico. Favorita da condizioni particolari (l.estrema vicinanza al centro termale di

Porretta Terme, le relative possibilità di lavoro offerte dal contiguo territorio emiliano, la

Statale 64 Porrettana che l.attraversa, la comodità della ferrovia Bologna-Pistoia) Pàvana

conta oggi un migliaio di residenti, sui 1400 circa dell.intero Comune. Ma ciò non toglie che il

dialetto sia ormai un ricordo del passato.

Per compiacere un desiderio dell. autore l.articolo non è stato appesantito da note, faticose per

i non addetti ai lavori: chi fosse interessato alla spiegazione o alla verifica dei fenomeni

linguistici precedentemente illustrati è invitato a consultare il Dizionario del dialetto di Pàvana:

nell.indice bibliografico sono elencati tutti gli strumenti utilizzati: lessici, repertori, vocabolari,

studi specifici.

Bibliografia essenziale

F.Guccini, Dizionario del dialetto di Pàvana, una comunità fra Pistoiese e Bolognese, .Gruppo

di studi alta valle del Reno-Nuèter., 1998

F.Guccini, Cròniche Epafàniche, Feltrinelli, Milano 1989

Morte e rinascita del dialetto: da Zanzotto ai novissimi, .Autografo., anno XVII, n.43, luglio-

dicembre 2001

B.Homes, Tre viaggi lungo la Limentra occidentale, con scritti di Francesco Guccini, Raffaello

Gioffredi e Renzo Zagnoni; Gruppo di studi Alta valle del Reno, Porretta Terme 2002

F. Guccini, Le parole del mugnaio, Nuéter

S. Bettinelli, Francesco guccini e Pàvana, tra geopoetica e senso del luogo, Brp Editore,

Besnate (VA) 2002

.Nuèter . Noialtri., rivista semestrale edita dal Gruppo di Studi alta Valle del Reno, Porretta

Terme, 1986 - 1997

Grande dizionario della lingua italiana, a cura di S. Battaglia, Utet, Torino, 1961-2002

N. Tommaseo-B. Bellini, Dizionario della lingua italiana, Pomba, Torino, 1861- 1879

C. Battisti-G. Alessio, Dizionario etimologico italiano, Barbera, Firenze, 1950-1957

M. Cortellazzo-P.Zolli, Dizionario etimologico della lingua italiana, Zanichelli, Bologna, 1979-

G.Devoto, Il linguaggio d’Italia, Rizzoli, Milano, 1974

F.Bruni, L’italiano. Elementi di storia della lingua e della cultura, Utet, Torino, 1984

M.Durante, Dal latino all’italiano moderno, Zanichelli, Bologna, 1981

G.Rohlfs, Grammatica storica della lingua italiana e dei suoi dialetti, Torino, Einaudi, 1966, 3

voll.

G. Rohlfs, Studi e ricerche su lingua e dialetti d’Italia, Firenze, Sansoni, 1972

M.L. Altieri Biagi, Linguistica essenziale, Milano 1985

B.Migliorini, Storia della lingua italiana, Sansoni, Firenze, 1960

Nota sulla grafia

cfr. Autografo opp. Vocabolario


GUCCINI: «IMPARIAMO DAL DIALETTO A SCRIVERE IN ITALIANO»

Il cantautore interviene su Micromega. I gerghi regionali ci arricchiscono, ma sono destinati a perire

di Francesco Guccini

(Il Messaggero, 22 novembre 1996)

Conosco due dialetti: il pavanese paterno e il modenese materno. A dire il vero non ho mai parlato nessuno dei due. Li potrei usare, ma senza profondità, un po' come l'inglese. La mia passione per i dialetti è antica, ma solo dalla metà degli anni Ottanta ho cominciato a farne materia di studio. Mi sono addirittura imbarcato nell'impresa di un vocabolario (Guccini parla dell'ormai mitico dizionario pavanese-italiano, di cui ben sanno i suoi amici, ndr) che concluderò entro il '97. Il progetto iniziale era forse troppo ambizioso: di ogni voce pavanese volevo dare le varianti toscane ed emiliane. Ora, più modestamente, mi limito alla versione italiana. Continuo comunque a coltivare la fascia dei dialetti toscani, emiliani e liguri, vicini in qualche modo al dialetto pavanese. Questo interesse, che è etimologico e culturale, non ha mai imboccato la via della poesia. Non nego di aver scritto poesie in giovane età - come tutti del resto. Detto questo: non sono un poeta ma un autore di canzoni. La poesia è fatta di altro spirito, di altre tecniche. La canzone è una forma completamente diversa, vive anche del supporto musicale. Cosa che non esclude la ricerca intorno alle parole, alla parola. La parola: mi piace immaginarla come un nucleo atomico, con un significato centrale che può variare attraverso il tempo, con i suoi elettroni che girando ne deviano il senso. Mi piace capire come, quando e perché una parola cambia significato. Capire perché a Pavana, questo piccolo paese dell'Appennino toscoemiliano con forti tradizioni agricole, il dialetto è ricco di vocaboli legati alle coltivazioni che due Kilometri più a sud spariscono. (...) Comunque anche le forme dialettali decadono. Se cinquant'anni fa avessimo chiesto a un ragazzo il nome delle gustosissime bacche blu ci avrebbe risposto: «pignatini». Ora direbbe semplicemente «mirtilli». Tutto questo, però, non può entrare in una canzone. E io, infatti, ho scelto di cantare per altre ragioni. A un certo punto ho incominciato a maturare l'idea di scrivere un romanzo. Gli stimoli venivano da Gadda e soprattutto da Meneghello - che parla del suo paese Malo, che gli regalava pure quel titolo meraviglioso - Libera nos a Malo, appunto. Ho provato a seguire la stessa strada: raccontare il mio paese non in dialetto, ma in quel particolare impasto che chiamerei "italiano dialettale". Per capire la differenza tra italiano e italiano dialettale pensiamo ad esempio che un modenese non direbbe mai «non sono capace di suonare il pianoforte». Dirà invece «non sono micca buono». L'«italiano dialettale» dei miei romanzi non esclude certo il dialetto vero e proprio, soprattutto quelle espressioni che di solito venivano imbastite nella conversazione quotidiana. Le mie scelte, in generale, si fanno condurre dal filo del discorso come se si trattasse di un racconto fatto a tavola con gli amici (...). Il dialetto - o meglio: lo pseudodialetto dei miei romanzi mi consente di approfondire lo spirito di ambienti e memorie, ed è come usare una lingua diversa, più colorita dell'italiano corrente, che negli ultimi tempi si è consumato, sfilacciandosi in gerghi politichesi, giornalistesi, televisivi - senza congiuntivi, per esempio. L'«italiano dialettale», invece, è molto più ricco, e a volte frequentarlo aiuta persino a riscoprire la nostra lingua. È come dipingere con una tavolozza più ampia. A volte mi è capitato di imbattermi in una parola in uso nel dialetto, e poi di scoprirla legittima inquilina del vocabolario della lingua italiana, ma completamente dimenticata dai più (...). Si tratta dunque di fare riemergere anche un italiano più sostanzioso, senza accontentarci dello scarno e trito italiano di base (...). Il dialetto diventa strumento più che fine, i luoghi dell'azione si moltiplicano, i nessi e i milieu vanno a formare un mosaico. Siamo lontani dalla koiné del paesello, qui si fondono, in cerca di una espressività più ampia, lingue e memorie, gerghi e dialetti.


GUCCINI E IL "GALLO TOSCANO"

Guccini:' Ragazzi, imparate il dialetto'

dal sito
http://ilrestodelcarlino.quotidiano.net/chan/29/11:941043:/2000/05/21

PIEVEPELAGO - "Io, cresciuto fra i saggi ignoranti di montagna che sapevano Dante a memoria e improvvisavano di poesia..." è un brano dall'ultimo disco di Francesco Guccini (nella foto) che ha fatto da introduzione ai due incontri tenuti dallo scrittore-compositore a Pievepelago venerdì e sabato sull'importanza del dialetto. Se venerdì si è trattato di un convegno ufficiale, ieri l'incontro è stato molto familiare con gli studenti della locale scuola media Pedrazzoli e degli istituti "Barbieri". Per l'occasione Guccini ha presentato il "Dizionario del dialetto di Pàvana" che evidenzia numerose analogie con quello dell'alto Appennino modenese. In Emilia dicono che la gente di questa zona parla toscano, in Toscana dicono che parla emiliano, evidente c'è un particolarità che accomuna molte comunità del crinale . Guccini, innanzitutto perché un vocabolario dialettale? "Mi sono dedicato a questo lungo lavoro perché sono convinto che oggi merita realizzare un documento di indiscutibile utilità linguistica, in una situazione diametralmente opposta da quanto -dopo l'unità d'Italia- ci fu un fiorire di vocabolari dialettali. Allora i Savoia re d'Italia e lo stesso Alessandro Manzoni palavano dialetto e francese, poiché l'italiano lo conoscevano in pochi. Oggi un vocabolario dialettale ha, purtroppo, il solo scopo di fermare il tempo in qualcosa che ormai non si usa più." Ora però tutti parlano solo l'italiano, il dialetto è allora morto? "Di certo pare destinato a scomparire in quanto non ha più una sua funzione, ma non è che l'italiano stia meglio...In televisione, ad esempio, non si usano più i congiuntivi e vengono erroneamente tradotte in inglese anche parole latine (media pronunciato midia) o greche (nike pronuncia naik)..." E' quindi auspicabile quindi il potenziamento di iniziative per salvare il dialetto quale preziosa testimonianza di una cultura destinata a scomparire."


LE PATERLENGHE

E’ uscito sul numero 24 della rivista “Savena Setta e Sambro” [1] un articolo sulle paterlenghe (il frutto della rosa canina). E’ un articolo assai interessante non solo perché riporta l’aerale del termine ‘paterlenghe’, ma anche una ipotesi sull’origine del nome:

il nome ‘paterlenghe’ secondo l’articolista è in disuso nella provincia di Bologna tranne nella montagna occidentale. Lo stesso nome risulta presente anche nel Frignano, nell’Appennino Modenese e nella Valle del Reno Pistoiese (si fa riferimento ai termini peterlinga e petrolinga che indicano la drupa di questa pianta presso le sorgenti del Reno (tra i comuni di Pistoia e Piteglio))[2].

Il nome paterlenga potrebbe ricondursi, sempre per l’articolista, alla radice latina ‘pater’ inteso come divinità (il latino Iuppiter Penninus ovvero l’etrusco Tin Affnin di uguale significato). La rosa, infatti, avrebbe un valore magico sacrale(dalle nostre parti il Sole delle Alpi è conosciuto col nome di Rosa della Montagna ed è un simbolo ampiamente diffuso nell’appennino pistoiese (compresa la stessa Pistoia) e bolognese). Altra ipotesi proposta fa riferimento, invece, alle lingue germaniche ed è dedotta dalla presenza delle radice pa/po (da cui l’inglese moderno hipo per la rosa canina) nonché dal suffisso –ingo / -enga [3].

Si segnala, come parentesi, l’uso del termine raggia (in luogo di rovo) in tutta l’Alta Montagna Pistoiese [4].

nota

[1] Savena Setta e Sambro, n. 24, giugno 2003, pp. 13 ss.

[2] altre varianti di paterlenga le troviamo, ovviamente anche a Treppio, Sambuca, Pavana, etc. nonché in Garfagnana. Secondo Remo Bracchi (cfr. Nueter, n. 57, giugno 2003, p. 132) varianti di paterlenga le troviamo nel cremonese, nel mantovano, a Solferino, nel piacentino, nel lunigiano, nel pistoiese (Prunetta e Piteglio), nel veneziano.

[3] una diversa teoria sull'origine del nome paterlenga è in Nueter n. 57 (XXIX - 2003) pp. 132 - 136.

[4] il Rohlfs ad esempio cita raggia a Pracchia (cfr. G. ROHLFS, "Studi e ricerche su lingua e dialetti d'Italia", Firenze, 1997, p. 175). E' evidente che il 'raggia' pistoiese e il 'raaza' bolognese sono la stessa parola come confermano le equivalenze fonetiche regolari.


IL FRUSTONE

– una parola toscana in viaggio verso nord-

Il termine “frustone” indica in Alto Reno un particolare tipo di biscia di colore nero o verde nero. Secondo la voce popolare il nome “frustone” deriva dal suo peculiare sistema di difesa: usare il corpo come una frusta(per saperne di più clicca su http://groups.msn.com/ALTORENOTOSCANO/ilfrustone.msnw)

Il termine “frustone” è presente nel vernacolo pistoiese e in tutto l’Alto Reno (da Porretta a Granaglione, a Lizzano, a Sambuca, Pavana, Lagacci (1), etc.), raggiungendo alcune zone della media montagna bolognese (Vergato).

Da informazioni ricevute dallo studioso bolognese Daniele Vitali il termine “frustone” dovrebbe avere una origine toscana o, comunque, centroitaliana:


“Aggiungerei altre zone: io la parola l'ho imparata da grossetani e
piombinesi, che dicono "gira come un frustone" per riferirsi a uno che è
sempre in giro” (e – mail di D. Vitali ricevuta il 4/8/03)

E, in effetti, il termine “frustone” (“fruston”) è totalmente ignoto a Bologna e dintorni (2).

Evidentemente se questa parola è ignota a Bologna, ma è presente a Vergato, bisogna dedurne che essa sta "viaggiando" da sud verso nord (come il termine frugiata che, partendo dalla Toscana, è arrivato a Zocca, Savigno, Castello di Serravalle e Monteveglio).

Parole toscane in viaggio … attraverso l’Alto Reno e le altre località gallotoscane (Fiumalbo, Pievepelago, etc.)!

NOTE:

(1) informazione ricevuta per e – mail successivamente alla nostra ricognizione del 19/06/2003 su dialetto di Lagacci

(2) una nostra informatrice di Sant’Agata Bolognese (Cinzia Bevini) alla domanda “cosa è un frustone ("FRUSTON") ?” ha risposto “non saprei… forse una grossa frusta?”


NINNE NANNE TRA BADI, BARGI E STAGNO

da Nueter, XXIV, 1998, p. 378

dirindina, dirindinna, sost.f. = 'ninna nanna', gioco che si fa facendo saltare i bambini sulle ginocchia' . Esistono molte filastrocche legate al gioco della dirindina, ad esempio:dirindina pan gratà/ méttim a lètto che san malà/ e pp6 màzzame na galinna/ per doménica matinna, oppure: dirindina còrpo sòdo/ èrano in sètt a bere un òvo/ e 'na vecchia d6ppo al'uscio/ stav'a dir bùttami il guscio/ dirindina pan gratà/ portam'a lètto che s6n malà/ e pp6 màzzame na galinna/ na galinna l'è 'n p6 pòca/ mazzarén il collo a un'òca/ un'òca l'è 'n p6 tròppa/ dà del òssa a cla patòzza".


L'ALTO RENO E LA ROMANIA OCCIDENTALE:

il caso delle labiovelari latine

Ancora un caso che conferma che le parlate gallo toscane non possono essere assimilate alla Romania Occidentale

"Ricordiamo, a proposito della sorte delle labiovelari latine nelle lingue romanze, che il gruppo occidentale, comprendente sia il galloromanzo che l'iberoromanzo, presenta una tendenza, opposta a quella testé osservato, a far emergere l'elemento velare: francese cinq, castigliano cinco, occitano sinc, ecc." (C. GRASSI, A. SOBRERO, T. TELMON, "Fondamenti di dialettologia italiana", Laterza, Bari, 2001, p. 118)

Vale la pena ricordare che (a parte alcune zone della Lombadia) il Nord Italia si comporta esattamente come il resto della Romania Occidentale (1) come prova, ad esempio, il bolognese zenc.

All'opposto in Alto Reno (in tutto l'Alto Reno) risulta assente la tendenza a far emergere l'elemento velare:

frassignonese: cinque, lustrolese: cinque, gaggese: cinq (in tutti e tre i casi la pronuncia di "c" è "alla toscana")

Le parlate dell'Alto Reno si pongono, per questo fenomeno, sul versante della Romania Orientale.

Si conferma ulteriormente quindi la tendenza dei dialetti dell'Alto Reno (e, nel complesso, dei dialetti gallo - toscani) a costituire una sorta di lingua ponte fra Romània Orientale e Romània Occidentale.

nota:

(1) all'opposto troviamo in alcune zone della Calabria e della Basilicata (Romania Orientale) la presenza di plurali maschili realizzati con -s finale anziché con -i (C. GRASSI, A. SOBRERO, T. TELMON, Op. Cit, p. 59).


SOPRAVVIVENZE GRECHE NEL TERRITORIO COMPRESO FRA PISTOIA E L'ALTO RENO

PREMESSA

Dopo esserci occupati delle sopravvivenze longobarde in Alto Reno e nel Pistoiese (clicca qui e anche qui) ci è parso interessante verificare le sopravvivenze greche nel medesimo territorio. Riportiamo di seguito i risultati di questa piccola ricerca.

LESSICO

Tra i possibili prestiti lessicali di origine greco - bizantina abbiamo rintracciato i seguenti:

1) aschero e la sua variante ascaro in uso in gran parte dell'Alto Reno e dell'Appennino Pistoiese, nonché nella stessa città di Pistoia (cfr. G. GIACOMELLI, "Vocabolario Pistoiese", Pistoia, 2000, p. 42). Il suo significato è di dolore, rammarico, ma anche nostalgia e voglia acuta / capriccio. Dal greco "eschairon" bracere, piaga purulenta. Per saperne di più clicca anche su "un vocabolo greco in Alto Reno"

2) scareggio (Alta Montagna Pistoiese) col significato di cosa brutta / ripugnante (cfr. G. JORI, "Alta Montagna Pistoiese", Firenze, Diple, 2001, p. 19)

3) "calcédre" / calcedro (col significato di secchio di rame) da cutros (pentola) e calcos (rame). In uso tra Pavana, Badi etc. (cfr. Nueter, XXIV, 1998, p. 376 e F. GUCCINI, "Dizionario del dialetto di Pavana", Pavana Pistoiese, 1998, p. 40);

Per la zona di Camugnano si registra anche (Paolo Guidotti) l' "ebi" (ebios) da "lébes" (abbeveratoio).

SANTI

Le numerose dedicazioni di Chiese a Santi cari alla popolazione longobarda (ad esempio i 'Santi Guerrieri' Michele e Giorgio) sono da attribuire all'azione dei missionari orientali di lingua greca. Anche il culto dei Santi orientali attestato dai vari San Mommè (che non deriva da Tommaso, come pensava il Rohlfs, ma da San Mamante di Cesarea), San Salvatore a Fontana Taona, Sant'Andrea, San Tommaso di Costozza si spiega facilmente attraverso l'azione dei missionari orientali nelle terre longobarde (vedi N. Rauty, op. cit, pp. 84 ss.). Il Santo Orientale Mamante di Cesarea è ancora oggi il patrono di Lizzano in Belvedere (Bologna).

TOPOGRAFIA

Pochi gli esempi di toponomastica da attribuire ad una presenza greco - bizantina. Alcuni Castello, Castellina, Castellare, Castiglione che non possono essere riferiti all'età feudale o a quella comunale (cfr. N. RAUTY, "Storia di Pistoia", vol. I, Firenze, Le Monnier, 1988, p. 47) e alcuni "Filetta", "Filettole" (N. RAUTY, Op. cit., p. 47). Al tipo "Filetta" appartiene un antico toponimo (oggi scomparso) riportato in un estimo del 1586 nel territorio dell'attuale Comune di Granaglione (cfr. AA.VV., "Torri: Storia, tradizioni, cultura", Società Pistoiese di Storia Patria, Pistoia, 2003, p. 172).

Tra i toponimi di origine greca lo Jori ricomprende anche Sambuca che, a suo avviso, deriva non dal latino "sambucus" (la pianta del sambuco), ma dal greco "Sambyke" (una specie di cetra) a indicare (per analogia) un sistema difensivo "a graticcio" (G. Jori, Op. cit., p. 134 - 135).

ORIGINE DEI GRECISMI DELL'ALTO RENO

Come possiamo constatare l'ambito dei grecismi in Alto Reno appare molto limitato: qualche vocabolo, qualche toponimo e, soprattutto, il culto dei Santi.

Questa situazione lascia intendere, assieme alla constatazione storica che, sia nel Pistoiese che nell'Alto Reno, la dominazione bizantina fu di breve durata, che i grecismi in Alto Reno non devono essere attribuiti (tranne il caso dei toponimi) direttamente alla dominazione bizantina (e qui correggiamo il tiro rispetto al precedente articolo dal titolo "un vocabolo greco in Alto Reno"), ma all'azione dei missionari orientali di lingua greca nei territori longobardi. Esemplare, in proposito, ci pare proprio la parola "aschero" coi suoi complessi significati. Per Guccini "aschero" può derivare sia dal greco "eschairon", col significato di bracere / piaga purulenta che dal longobardo "eiskon" col significato di domanda. La forma eiskon, tuttavia, non pare semanticamente rispondere ai molteplici significati della parola "aschero" nel pistoiese e nell'Alto Reno, al contrario un certo uso religioso della parola greca "eschairon" (il bruciore per l'inferno, il bruciante desiderio del paradiso) sembra meglio riferirsi alla sfera semantica del nostro ascaro / aschero.

Riteniamo, così, che le sopravvivenze greche nel pistoiese e nell'Alto Reno si devono attribuire principalmente all'azione dei missionari nella longobardia tuscia (1).

nota:

(1) l'azione dei missionari greci, tuttavia, non ebbe effetti sulla odiosa pratica longobarda delle angherie che è sopravvissuta in Toscana e in Alto Reno fino alla prima metà del secolo scorso (cfr. A. GRAMSCI, "Passato e Presente", Editori Riuniti, Roma, 1979, pp. 254 - 255 e G. SIRGI, "Montagna, terra di emigrazione", Nueter, Porretta Terme, 2002, p. 96). In Alto Reno il vocabolo "ANGARIA" (col significato di angheria) è attestato ancora nel dialetto di Treppio (cfr. Nueter, XXVI, 2000, p. 158).


SCRANNA PER SEGGIOLA (è davvero emiliano?)

L'Alto Renano "scranna" viene attribuito alla sfera linguistica emiliana e, segnatamente, bolognese, ma si rileva la presenza di scranna per seggiola anche a Montale Pistoiese

Il Nerucci scrive: "seggiolone di legno o panca che ha la spalliera alta" (G.NERUCCI, "Cincelle da bambini in nella stietta parlatura rustica di Montale Pistoiese", Pistoia, Tipografia Rossetti, 1880, p. 99). Esiste anche il termine ciscranna che il Nerucci riporta come "scranna con spalliera" (ibid. p. 63). Come è possibile constatare leggendo il Vocabolario Pistoiese della Gabrielli anche a Pistoia esiste una voce "scranna" (adottata anche in Alto Reno) per indicare la donna sgraziata specie per le gambe (quindi per analogia a una sedia): ci pare evidente così che lo scranna della città di Pistoia sia un relitto di un lemma (quello di scranna per sedia) che era tipicamente pistoiese e che era tale perché lascito diretto dei longobardi. Pertanto non è per nulla detto che lo scranna dell'Alto Reno sia in effetti un lascito del bolognese. Potrebbe essere una sopravvivenza pistoiese - arcaica negli antichi e isolati territori montani (applicando la prima e la seconda legge del Matteo Bartoli). Può darsi che la vicinanza con Bologna abbia solo contribuito a mantenere e rafforzare l'antico scranna longobardo - pistoiese.


ASCHERO (ma è davvero solo toscano?)

Si riporta di seguito il testo di una e - mail inviata allo studioso bolognese Daniele Vitali.

"ASCHERIA!" Ho sentito ieri questa esclamazione da una donna di Sant'Agata Bolognese (santagatese con nonno modense (Bevini)).

La cosa mi ha lasciato stupefatto. Non tanto per l'esclamazione in quanto tale (vale per "accidenti"), ma per il termine usato (così simile ai nostri (altorenani e pistoiesi) aschero, ascaro). Ovviamente non ho saputo resistere alla curiosità è ho consultato il Coronedi Berti che riporta ... "ASCHER"! Per la Coronedi Berti il termine è più della campagna che della città e offre tutta una serie di significati raccolti nel modenese, nel pistoiese, nel lucchese, etc. tutti riconducibili al nostro aschero.

Il Vocabolario Modenese - Italiano di E. Maranesi (pubblicato nel 1997 a Modena da Mucchi Editore) riporta "ASCHER" con il significato di "estremo desiderio". Sia la Coronedi Berti che il Maranesi lo riconducono al greco come lo Jori (vedi il suo "Alta Montagna Pistoiese"), il Guccini (che però lo collega anche al longobardo) e io stesso.

L'ipotesi greca è ovviamente consona al lascito bizantino per Bologna, ma non per Modena (che fu terra longobarda). Tuttavia anche per Modena si può ipotizzare, come per Pistoia e Lucca, l'azione dei missionari orientali (di lingua greca) nei territori longobardi.

Il problema a questo punto è:

siamo noi che abbiamo preso aschero da Bologna? O è Bologna che lo ha preso da noi (frugiata, ad esempio, è arrivato fino alla Valle del Samoggia)? Oppure noi lo abbiamo preso da Pistoia e Bologna lo ha preso da Modena?

Bel quesito!

In ogni caso la linguistica è una ben strana scienza: un termine assegnato all'aria lessicale toscana si trova in Emilia e potrebbe essere autoctono (ascher) e un termine assegnato all'area lessicale emiliana (scranna) si trova in toscana (Montale Pistoiese) ed è quasi sicuramente un lascito autoctono (lo si capisce anche dal residuale "scranna" in uso a Pistoia)".


IL GERGO DEI BOSCAIOLI

"Io canterò la vita strapazzata
di chi alla macchia va per lavorare,
vita tremenda, vita tribolata,
chi non la prova non può immaginare.
Credo all'inferno, un'anima dannata
Non possa così tanto tribolare,
né possa avere tanto spasimo e dolore,
quanto ne ha un carbonaio e un tagliatore"

(Jacopo Lorenzi di Carpineta di Sambuca Pistoiese (1922))

Tra le molte note di vita grama e infame dei nostri montanari un capitolo speciale è offerto dai boascioli: Uomini dell'Appennino Pistoiese, Pratese, Bolognese, Lucchese, Modense che erano costretti per sopravvivere a recarsi in luoghi lontani (principalmente Maremma Toscana, Calabria, Sardegna, Corsica, ma anche Lazio, Abruzzo, Basilicata, Francia, Algeria) a fare "campagna". Sentiamo così la necessità di dedicare un capitolo speciale delle nostre pagine sui dialetti gallotoscani riportando un piccolo glossario (che riprende per sommi capi quello pubblicato in "Il boscaiolo" di Giorgio Sirgi (Centro Editoriale Castel di Casio, Bologna 1991)):

ABBOCCO: è il sistema attraverso il quale venivano legati i sacchi di carbone
BACCHIARELLE: costituiscono il rudimentale molleggio delle "rapazzole"
BALLE: i sacchi di juta ove stipare il carbone prodotto dalle carbonaie
BARLETTA E BARLETTO: recipienti di legno di dimensioni diverse per il trasporto di acqua o vino
BIETTA: si tratta di un cuneo di ferro usato per spaccare i grossi tronchi di legno
BRASCHETTINO: il carbone più fino
CAMPAGNA: il periodo passato in macchia a svolgere l'attività. Le campagne duravano molti mesi ed erano fatte durante il periodo passante tra il tardo autunno e l'inizio primavera
CARBONAIE: realizzato da mucchi di legname accatastato e ricoperto con terra e foglie. Bruciano lentamente si riusciva ad ottenere la legna dal carbone
CAROLANTI: era il nome con cui venivano indicati gli uomini (mai tosco - emiliani, ma sempre gente del luogo) che trasportavano il carbone prodotto dalle carbonaie fino al posto di carico (nave, camion o quant'altro). Per la loro attività i carolanti facevano affidamento su dei carri trainati da grossi buoi (**)
CIAUU: era l'urlo di richiamo dei vetturini per fare accorrere i boscaioli e i carbonai
FASCINE: erano rami di quercia o di pioppo tagliati ed essicati. Erano usati per l'alimentazione invernale degli animali.
FORNELLI: pericolosi buchi che si possono aprire sulle carbonaie. Se non chiusi per tempo la carbonaia può bruciare e incenerirsi.
IMBASTATA: fila di animali da soma (generalmente muli) usata dal vetturino
MACCHIA: il bosco
MATRICINE: le piante di media età che non dovevano essere tagliate per consentire la riproduzione del bosco
MATTARELLA: si tratta di un bastone di legno usato per mescolare la polenta sul fuoco
MEO: il ragazzino apprendista che doveva cuocere per tutti la polenta, procurare l'acqua andare a fare la spesa, svolgere alcune attività "leggere" dei boscaioli
PIOTA: Poiché le campagne venivano fatte in macchia i boscaioli vivevano in baracche di legno da loro costruite. La piotta era una zolla con manto erboso o muschio utilizzata per ricoprire il coperto della baracca.
RAPAZZOLA: il giaciglio del boascaiolo fatto di legname, rami e foglie. E' voce maremmana entrata a fare parte di tutti i dialetti dell'appennino bolognese e pistoiese
RASTELLO: si tratta di un attrezzo usato per tirare via il carbone dalle carbonaie
RAZOLA: si tratta di un rovo con lunghe spine rovesciate. Il termine riveste un notevole interesse perché noto anche ai boscaioli pistoiesi a sud della linea La Spezia - Rimini (es: i boscaioli San Mommè che pure non lo usavano nel loro paese di origine) nonostante sia chiaramente un termine gallo - italico (cfr. bolognese: raaza). Ciò conferma che la terminologia dei boscaioli è veramente una sorta di lingua franca che accomunava tutti questi sfortunati montanini.
SCULETTINI: erano gli uomini che si caricavano di pesanti sacchi di carbone per il trasporto nei luoghi più impervi
TANCA: i pascolo controllato dove venivano lasciati i muli in consegna alla fine di una "campagna"
VALLO: lo strumento usato per raccogliere da terra e insaccare il carbone
VETTURINO: conduttore e caricatore di muli per il trasporto di legna o carbone
ZOCCOLO: era una specia di scarpa di legno usata per lavorare attorno alle carbonaie senza bruciarsi i piedi fra le braci sparse.

nota:

(**) Dal libro di Sirgi (Op. cit., p. 117): "Mi è pure rimasta impressa la vitra tribolata dei buoi dei carolanti che trasportavano il carbone. Avevano il giogo appiccicato e legato strettamente alla corna in squadro, per cui erano obbligati a camminare sempre pari. Venivano guidati con un cordino alle orecchie e pungolati con bastoni di leccio secco, fortemente appuntiti. Si lamentavano come dei disperati, sotto il traino di carri pesantissimi, lungo strade inacessibili, nei boschi".


ZAMPANELLE E BORLENGHI

I Borlenghi (o Zampanelle, Burlenghi, Berlenghi a seconda delle località), squisito piatto montanaro e ai più sconosciuto, ha sempre rallegrato la tavola di consumatori locali e di turisti curiosi delle sue qualità culinarie. Sono ottenuti da un impasto fluido di farina, acqua e sale: vengono cotti in un tegame di rame stagnato da cui si ottiene una sottile sfoglia croccante ripiegata su se stessa e ripiena di un tipico condimento fatto con lardo, aglio, rosmarino e parmigiano

Come è noto i borlenghi in Alto Reno sono conosciuti più che altro con il nome di "zampanelle". Il termine "zampanelle" è tuttavia un termine toscano:

"ZAMPANELLA: s.f. des. - Pane arrostito, agliato e condito con olio, fettunta" (G. GABRIELLI, Vocabolario Pistoiese, Società Pistoiese di Storia Patria, Pistoia, 2000, p. 190).

Ovviamente la zampanella pistoiese e la zampanella montanara sono molto diverse (la zampanella pistoiese non è altro che la bruschetta). E' tuttavia interessante notare come in appennino il borlengo abbia adottato un altro nome e, per giunta, un nome toscano!

DA MACIA A MAZERA

Ovviamente parliamo del cumulo di sassi che possiamo trovare ai margini dei campi dissodati

MACIA > Pistoiese, MACEGLIA > Orsigna Pistoiese, MACERA > teorico, MASGERA > Alto Reno, tipo MAZERA > bolognese


UN COMMENTO DEL PROFESSOR LUCIANO GIANNELLI* SULLA “BOMBA” DEL DIALETTO DI BARAGAZZA – FRAZIONE DI CASTIGLION DEI PEPOLI

“E' tutto interessante a Baragazza (e a Bruscoli un tempo) ma la 'bomba' consiste 'SOLO' in ciò che segue Bruscoli-Baragazza: sonorizzazione di tipo appenninico di tipo centro-meridionale.
Non ci credevo.
Ma non è TANTO strano: Castagno d'Andrea non è poi remoto (insomma...)
Niente del genere in area firenzolina (quella 'toscana').
Treppio, nulla, classica lenizione settentrionale.
Ma che ci fa la sonorizzazione romanesca a Baragazza-Bruscoli? Quella stessa
che si 'sospetta' per Firenze, un tempo, QUELLA DA CUI PUO' ESSERSI
SVILUPPATA PER RIAGGIUSTAMENTO LA LENIZIONE ROMANZO-OCCIDENTALE 'CELTICA'?
Parlo della sonorizzazione. Quella che si attribuirebbe al basso latino.
Baragazza 'fossile' del fiorentino-bolognese?
Per questo tratto, sia chiaro”

E’ interessante osservare in proposito che “solo” nel secolo XI si assiste ad una annessione bolognese della Pieve di Baragazza (frazione di Castiglion dei Pepoli), fino a quel momento appartenente alla Diocesi di Firenze.

*Università di Siena (e mail ricevuta in ottobre 2003)

______________

La bibliografia, a nostra conoscenza, sui dialetti di Baragazza e Castiglion dei Pepoli si limita a questi tioli

E. Bruzzi Tantucci, "Il dialetto di Castiglione dei Pepoli nella
provincia di Bologna", Bologna, Poseidonia, 1962

Luciano Giannelli, "Baragazza e la Montagnola senese: situazioni di
cambiamento e dati per la ricostruzione", in AAVV, "Linguistica storica e
cambiamento linguistico", Roma, 1985, pp. 51-77.


I DIALETTI GALLO TOSCANI SECONDO CARLO TAGLIAVINI

"Se dall'Italia settentrionale scendiamo ora verso il sud seguendo la costa tirrenica, troviamo dei dialetti di transizione fra il Ligure (gallo - italico) e il Toscano nella parte della Lunigiana inferiore fra la Magra, il mare e il Frigido. I caratteri toscani si fanno sempre più decisi man mano che si discende verso Sud.

Un po' più a oriente si trovano anche i dialetti di transizione fra l'Emiliano e il Toscano. Anche qui dunque, come sulla costa adriatica, fra i dialetti gallo - italici e i dialetti immediatamente a Sud non abbiamo bruschi salti, come nella zona zona centrale dove lo spartiacque appenninico segna il confine fra il Gallo-italico e il Toscano". (C. TAGLIAVINI, "Le origini delle lingue neolatine", Patron Editore, Bologna, 1999, pp. 410 - 411)


LA QUESTIONE PADANA E TOSCANA DEI DIALETTI DELL'ALTO RENO

Nel mese di maggio 2003 abbiamo ricevuto un paio di gradite e - mail di Davide Sivero, webmaster di un assai interessante sito sui dialetti delle regioni padane http://www.geocities.com/Athens/Thebes/8042/ . Riteniamo opportuno pubblicarlo per chiarire la questione se i nostri dialetti sono Padani, Toscani o "tertium quid".

SIVERO

Comunque saprà meglio di me che, per molti, i vostri dialetti sono ancora
galloitalici...

NOI

In merito alla questione sul gallo - italico dell'Alto Reno, so anche quale è la posizione di molti (ad esempio ho ricevuto diverse e - mail da Daniele Vitali) tuttavia ciò non è (di fatto) credibile:

A Treppio la grammatica è principlamente toscana
Esiste l'apocope dell'infintio come in Toscano
il rapporto fra vocaboli toscani e vocaboli emiliani è almeno di 4:1 a favore dei vocaboli toscani, etc.

A Stagno e Badi (Provincia di Bologna da 7 secoli) il rapporto fra vocaboli toscani e bolognesi è di almeno 7:6 a favore dei toscani, ed è perfino presente il fenomeno dell'affricazione pistoiese

Inoltre la fonetica è profondamente toscana (assenza di vocale lunghe, presenza delle vocali finali, presenza del vocalismo atono, parziale mantenimento delle consonanti doppie mentre in tutto il nord si assiste allo scempiamento consonantico, etc.)

Tenga, infine, presente che l'Alto Reno fu Toscana nei secoli che vanno dal VI al XIII e, quindi, durante il periodo in cui il Devoto afferma esserci stata la divisione fra Romania e Toscana (e la Romania comprendeva oltre la Romagna anche Bologna), ovvero (nella prospettiva del Devoto) fra Nord e resto della pensiola Italiana.

Questi sono appunti molto veloci ma, se avrà la pazienza di leggere con attenzione il mio sito, potrà osservare da solo quanto dico.

Peraltro credo che l'esistenza di dialetti gallo - toscani in una parte dell'Appennino (anziché di dialetti gallo - italici e basta) sia una ricchezza in più sia per l'Italia che per la 'Padania'.

La ringrazio ancora per la sua graditissima nota

SIVERO

Ella mi scrive che:

> > A Stagno e Badi (Provincia di Bologna da 7 secoli) il rapporto fra
vocaboli toscani e bolognesi è di almeno 7:6 a favore dei toscani, ed è perfinopresente il fenomeno dell'affricazione pistoiese. Inoltre la fonetica è profondamente toscana (assenza di vocale lunghe, presenza delle vocali finali, presenza del vocalismo atono, parziale mantenimento delle consonanti doppie mentre in tutto il nord si assiste allo scempiamento consonantico, etc.) >>

Però c'è la lenizione delle occlusive intervocaliche, un po' di apocope vocalica (tipo "cavdoni") e qualche -n finale ("mlon"), unica consonante dopo cui si trova la sincope vocalica sia in questi dialetti che in quelli veneti di terraferma e nello spezzino.
Per il pavanese, persino Geoffrey Hull, che "sposta il galloitalico ancora più lontano dall'Italia" includendovi i dialetti retoromanzi, lo considera padano.

>>Peraltro credo che l'esistenza di dialetti gallo - toscani in una parte dell'Appennino (anziché di dialetti gallo - italici e basta) sia una ricchezza in più sia per l'Italia che per la 'Padania'>>

Questo è sicuro!

NOI

Quello che scrive non contraddice quello che io scrivo!

Parlo, infatti, di dialetti gallo - toscani e NON di dialetti toscani (se preferisce possiamo chiamarli anche tosco - padani). E' forse proprio questo che caratterizza la ricchezza di questa terra: l'essere congiunzione fra la cosiddetta 'romania orientale' e la cosiddetta 'romania occidentale'.

Peraltro, mentre Ella giustamente mi ricordava che Geoffrey Hull sosteneva che il dialetto pavanese è un dialetto padano (grazie dell’informazione, non sapevo che Hull si fosse occupato anche del pavanese), tuttavia altri importanti studiosi sostengono l’esatto opposto anche per i dialetti parlati nell’Alto Reno emiliano (e non solo):

1) il filologo Carlo Battisti classifica il lizzanese e il badese tra i dialetti di tipo toscano (sia pure atipici)
2) il Meyer Lubke sostiene che il dialetto di Fiumalbo (e qui non siamo in Alto Reno, ma nell’Alto Frignano) è un dialetto della Toscana, anche se pieno di emilianismi;
3) Tito Zanardelli (nel suo rinomato saggio sul dialetto e la cultura di Badi (pubblicato da Zanichelli a Bologna nel 1911)) ritiene che, nonostante alcune rilevanti caratteristiche emiliane, il badese sia un dialetto di tipo toscano.

Per quanto,poi, riguarda il caso specifico del Pavanese è degno di nota il fatto che Guccini (quando si occupa scientificamente del dialetto di Pavana) riconosca che “Pavana … parla un dialetto di tipo toscano ma profondamente segnato da caratteristiche emiliane” (F. Guccini, “Dizionario del Dialetto di Pavana, Pro Loco Pavana – Gruppo Studi Alta Val del Reno, 1998, p. 9). La base dunque è quella della lingua toscana, a cui si affianca (e bisogna riconoscerlo) profondamente l’emiliano.

Di fatto i dialetti della nostra zona sono dialetti tocani – emilianeggianti (vedi Treppio o Sambuca) oppure emiliani – toscaneggianti (vedi il lizzanese o l’antico porrettano).

La classificazione di toscani o padani è dunque (credo di parlare oggettivamente) una definizione troppo stretta per i dialetti dell’Alto Appennino, che non tiene conto dei dati di fatto. Per questo ritengo più opportuno parlare di dialetti “gallo – toscani”… diversamente rischiamo di rompere una unità per assegnare (col bisturi) Treppio alla Toscana nonostante gli emilianismi e Stagno alla 'Padania' misconoscendo il contributo toscano.

La definizione di “gallo – toscani” (naturalmente parlo dei dialetti che conosco, che vanno da Fiumalbo a Castiglione dei Pepoli, e nulla posso dire del carrarese) mi sembra dunque la più corretta e mi sembra possa rispondere al concetto di un appennino tosco – emiliano che rappresenta un “chiasmo” fra continente e penisola (non solo la lingua, ma l’intera cultura dell’Alto Reno (come cerco modestamente di illustrare nel sito) è debitrice della Toscana: dai maggi, alle ottavine, dagli stornelli ai balli, etc.

E poi, almeno per l’Alto Reno, anche la storia (quindici secoli di storia per Lagacci, Sambuca, Treppio, Pavana, e sette secoli di storia per Porretta, Castel di Casio, Camugnano, etc.) ci legano a questa regione transpadana (la Toscana).


AI PAVANESI NON PIACE L'USCITA CONSONANTICA

Da una e - mail spedita nei giorni scorsi...

...all'uso dei pavanesi (di una volta) di terminare ogni parola con vocale
("alla Toscana") anche nei casi in cui l'italiano prevede l'uscita
consonantica (ad esempio "Estere" per "Ester" o "filme" per "film"). Se
vuole saperne di più (ma immagino che la notizia le fosse già nota) può
trovarla anche in Guccini (Croniche Epafaniche, p. 89)... spero però di
metterla in rete quanto prima!


NOTA SUL DIALETTO DI FALDO

Frazione di Castel di Casio

Ripotiamo di seguito alcuni brevi stralci di un articolo pubblicato sul numero 58 (anno XXIX - dicembre 2003) di Nueter (pp. 225 - 229)

VOCABOLI

"verme della ciliegia" = batésta, lòl

"verme del formaggio" = batstéin, lòl

"verme dei funghi" = nonò, lòl

"verme della carne" = bigàt

"verme delle pere, delle mele e delle noci" = bigàt, lòl

mele = mél

pere = pér

pera bacata = pér bagà

"bég" = baco, ma anche fastidio, preoccupazione, noia, grattacapo

ESPRESSIONI

"Làsa sté, perché enca lu l'à i su bigàt"

"Dòp che al ciles a gliè ciapà l'àqua e vent, al fèn i batésta"

NOTA

Si ricorda che la località Faldo è a nord di Castel di Casio, Porretta Terme e Silla


UN RACCONTO NEL DIALETTO DELLA PIEVE DI CASIO

"vers mèzdè i cap-faméja as portéven a cà un componént dla banda a magnéé, per artorne dop, tót insém, a e vesper e a sòne. Durent e vesper as portéva la Madonéjna in portisiòò, acompagnà da quater ragaz prior vistè ed biench, fin'à e sbdalejn poc lontèè per po' finii la cerimonia int'la ceséina a e sòòn dla banda.

Dop as ferméven tót: i cini i ruzeven in tond a la ceséjna con i giuglejn apena comprà, i grand i giughéven a e tir de pizòò".

(tratto da p. 60 del n. 51 di Nueter, giugno 2000).

29.02.04


Aggiungiamo questa pagina nella consapevolezza che anche il patrimonio linguistico gallotoscano sta scomparendo insieme agli ultimi "vecchi" della montagna...


Scompaiono le lingue del mondo

Giuseppina Giuffrida

Sappiamo che la diversità delle specie si riduce ogni giorno nel mondo.

L'allarme è stato lanciato da tempo. Meno nota è invece l'erosione velocissima delle lingue. "La nostra vita dipende da un ecosistema, un tessuto vitale del quale piante e animali sono una parte importante. Ma siamo davvero certi che le nostre 6000 lingue non siano una parte essenziale di un sistema intellettuale e sociale dal quale dipende la nostra umanità?". La domanda è del professor Michael Krauss, dell'Alaska Native Language Center, creato vent'anni fa dall'Università di Alaska Fairbanks per sostenere le lingue in pericolo di estinzione. Krauss, intervistato da Alexandra Rinaldi per la sezione esperantista di Radio radicale, sostiene che il 90 delle nostre lingue, forse il 95, saranno estinte entro i primi cento anni del duemila. Sopravviverà un 5 riferito al massimo a 20 famiglie genetiche, e piú della metà delle lingue salvate apparterrano a due sole famiglie, la indoeuropea e la Niger Congo. "La diversità delle lingue è un elemento essenziale per la nostra sopravvivenza come esseri umani", afferma il professor Krauss. Le lingue sono tesori e ogni volta che una singola lingua va perduta l'umanità si impoverisce da tutti i punti di vista: estetico, spirituale, culturale, intellettuale, storico. "Stiamo perdendo il 95 della nostra ricchezza intellettuale, della nostra diversità, della nostra abilità, della nostra libertà di pensare in modi differenti". Tipi diversi di esperienze umane, differenti capacità di comprendere, avere idee vengono codificati e preservati nella lingua. Le lingue hanno in sè conoscenza del mondo. Le sud americane indigene ad esempio contengono la conoscenza di piante medicinali. Un sapere scientifico della natura o della storia umana reperibile nei nomi delle persone e dei luoghi. Ogni volta che perdiamo una lingua perdiamo anche modi diversi di guardare il mondo.

Un sintomo certo di una prossima estinzione è quando una lingua non viene piú parlata dai bambini, evento negativo che interessa già oggi tra il 20 e il 50 delle 6000 lingue esistenti nel mondo. Un esempio di erosione: delle lingue indigene del nord america - Stati uniti e Canada - 180 vengono ancora parlate ma solo 30 ancora dai bambini. Di fatto i cinque sesti stanno morendo.

Avremo dunque meno lingue, ma quali resteranno?
Non certo le migliori, afferma ancora Krauss, piuttosto la lingua di chi avrà le armi piú potenti. I regimi che impongono una lingua nazionale e vietano di parlare lingue indigene, ad esempio. Per cui va riaffermato con forza il diritto umano di usare la propria lingua. Problemi vengono anche dalla lingua di scambio. La famosa lingua universale oggi non è l'esperanto ma l'inglese. Il professore Krauss, statunitense, non crede che l'adozione dell'inglese contribuisca ad estinguere lingue locali. Ritiene invece possibile che l'inglese si distrugga espandendosi e creando nuove lingue, gli "inglesi di scambio".

Una lingua ha quindi piú probabilità di sopravvivere se un governo la protegge e i bambini la parlano. I linguisti a differenza dei biologi non se ne preoccupano, "impegnati in questioni accademiche di vario tipo", denuncia il professor Krauss. Solo negli ultimi cinque anni qualcosa si è mosso. Una sessione plenaria del Lsa ha costituito nel 1991 un comitato sulle lingue in pericolo e agli inizi del 1992 anche la società linguistica tedesca ha creato un comitato simile. Nel '92 si è coinvolto l'Unesco. Cosa fare? Alcuni pensano di creare "zoo" dove studiare le lingue in estinzione. I movimenti che difendono le lingue in pericolo propongono invece la raccolta di informazioni sullo stato delle lingue, dando la precedenza alle lingue morenti; la conservazione di grammatiche, dizionari e corpora linguistici; registrazioni su cassetta archiviate. Ma soprattutto raccomandano il sostegno ai popoli che le parlano.

(Da "il Manifesto" del 7 Novembre 1995)

PICCOLA POLEMICA CON DIALETTANDO.COM

Riportiamo una nostra lettera, la risposta di dialettando.com e qualche nostra osservazione

nostra e- mail a dialettando.com

SE PUO' ESSERE DI QUALCHE INTERESSE LE TRASMETTO UN INDIRIZZO WEB SUI
DIALETTI DELL'ALTO RENO FRA LE PROVINCE DI PISTOIA E BOLOGNA

http://groups.msn.com/ALTORENOTOSCANO/dialettipistoiesi.msnw


FACCIO PRESENTE CHE QUESTO SITO E' STATO CITATO DA

"European Minority Languages":
http://www.smo.uhi.ac.uk/saoghal/mion-chanain/en/#Italiano

dall'Università di Leeds

http://www.leeds.ac.uk/sis/resources/internet/languag.htm


ENTRAMBI COL TITOLO DI "DIALETTI PISTOIESI NEL BOLOGNESE"


E NELLA SEZIONE ITALIA DELLA ASSOCIAZIONE DEI POPOLI MINACCIATI

http://www.gfbv.it/3dossier/linkgfbv.html#Italia

trattasi di dialetti di tipo gallo - toscani, in buona parte in
estinzione

Andrea

08.06.03

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risposta del signor Luciano Simonelli di Dialettando.com

La Solita Italia o la Nostra Italia?

Gentile Andrea,
grazie della segnalazione. Sono lieto che la tua iniziativa abbia ricevuto già tanti apprezzamenti.
Anche noi come Dialetti d'Italia, che ora si è evoluto in Dialettando.com, abbiamo ricevuto le nostre piccole soddisfazioni essendo seguiti costantemente da università spagnole e australiane (cosa che dialettando.com non manca di citare in più sedi).
Ma il tema non è chi è più bravo: lo siamo tutti (mai scritto il contrario).
Il tema è: anziché correre sparpagliati, trovare un nucleo comune, un punto di riferimento comune.
Un'esigenza che senti anche tu visto che sei venuto a promuovere qui il tuo sito (vedi sotto).
Allora, perché non riflettiamo un attimo tutti insieme per evitare di fare la solita altra Italia suddivisa in tante piccole repubbliche anziché costruire insieme La Nostra Italia in cui componenti diverse trovano quel filo comune che permetta a tutti di crescere raccogliendo ciascuno le proprie soddisfazioni? (vedi sotto)
A me pare una prospettiva ragionevole che butto sul piatto della tua intelligenza e della realtà che Dialettando.com ha certamente un grande bacino di utenti attenti e interessati a tutte le Altre Lingue Italiane. (vedi sotto)
A te la prossima parola e anche a chiunque abbia qualcosa da dire.

09-06-2003

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CONCLUSIONI

Qualche osservazione ci pare a questo punto doverosa:

I) non riusciamo sinceramente a capire l'accusa di primi della classe. Se ci sentissimo i primi della classe potremmo vivere della nostra autosufficienza (dal 15 agosto al 9 novembre abbiamo avuto oltre 4100 visite) e dei siti universitari e non (che sono numerosissimi) che ci citano. Il nostro contatto al sito del Signor Simonelli, al contrario, è nato dal riconoscimento di altre realtà che desideriamo non ignorare;

II) il sito di Alto Reno Toscano è il nostro contributo alla vita della nostra comunità e fa parte di un progetto molto complesso che comprende canti, tradizioni, ma anche storia e problemi dell'oggi. E' evidente, così, che anche la nostra ricerca sui dialetti dell'Alto Reno non può confluire con quella del sito di Dialettando.com (che essendo dedicata ai soli dialetti, trascurando il resto della vita di una comunità, è settoriale)

III) inoltre il sito del signor Simonelli è un sito in cui tutti i testi passano a "proprietà riservata" dell'editore, pertanto tutti i diritti dei vari contributi diventano proprietà esclusiva dell'editore Simonelli (mentre noi vogliamo mantenere l'identità e la libertà dei nostri contributi);

IV) non capiamo cosa c'entri la retorica dell'Italia unita contro la semplice, concreta, denuncia di una comunità che sta muorendo? Perché si deve sempre pensare che dietro alla ricerca di una identità locale c'è sempre un sentimento anti - italiano? E se fosse propria questa retorica dell'italianità a tutti i costi (anche quando nessuno la mette in dubbio) a danneggiare l'Italia?