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LA QUESTIONE DEL VOCALISMO E DEL CONSONATISMO LUNGO E BREVE

con un importante riferimento alla gorgia toscana

In italiano (e in toscano) si ha una conservazione dello sviluppo latino delle serie di vocali lunghe e brevi, ad esempio se osserviamo la coppia "cane" "canna" ci accorgiamo che "cane" ha la "a" lunga e la "n" breve, mentre "canna" ha la "a" breve e la "n" lunga. Analogamente si comporta il bolognese: dopo vocale breve si ha sempre consonante lunga e dopo vocale lunga si ha sempre consonante breve: "sacc" > (secco) vs "saac" (sacco). Tale tipo di opposizione non trova nessun fenomeno analogo nel rimanente mondo romanzo (1)

In italiano, peraltro, la lunghezza vocalica non è distintiva, mentre in bolognese sí: sacc vs saac e > raggn vs raagn, ecc. ecc. e questo costituisce una importante differenza tra toscano e bolognese. Tuttavia è da considerare anche il fatto che in italiano è la lunghezza consonantica ad essere distintiva: fato / fatto, pala / palla, bruto / > brutto (e così anche i dialetti dell'Alto Reno che seguono il modello toscano). A questo punto bolognese e toscano sono per questa opposizione a tal punto speculari da lasciare sospettare che l'opposizione vocalico / consonantica del bolognese e dell'italiano (toscano) non è il frutto di due fenomeni distinti, ma dello stesso fenomeno semplicemente "invertito". E qui salta fuori (ma "a parti inverse") il fenomeno della gorgia toscana: nord italia K, T, P sono sonorizzate in G, D, V e in fiorentino sono spirantizzate in H, TH, PH... Perché non immaginare la presenza di una analogia? Perché non ipotizzare > delle "lingue che parlano"?

E come non vedere nelle parlate altorenane un importante terreno di ricerca che dimostra sia la sua arcaicità che la sua, almeno relativa, "imperturbabilità" (in Alto Reno, come in altre località poste sulla Linea La Spezia - Rimini le sonorizzazioni sono accolte senza modifiche e le qualità vocalico - consonantiche sono quelle del toscano).

NOTA:

(1) esiste un caso residuale di vocalismo lungo / breve con carattere distintivo nella Svizzera Romanda, ma di natura assai diversa da quella che si presenta nei dialetti Nord Italiani (come il bolognese) e nella Toscana (si veda l'opposizione tra "adopté" (adottato) e "adoptée" (adottata)).


NOTA SUI DIALETTI DEL COMUNE DI MONTESE (PROVINCIA DI MODENA)

Uno dei dati più interessanti nei dialetti del Comune di Montese è la presenza per alcune località delle forme c e g tipiche dell'Alto Reno, mentre per altre località si ha l'uso di della forma emiliana z. Gli esempi che seguono possono essere un buon esempio di ciò che intendiamo:

"I fiò tant e giovnot che la Serena i fon tant content e sodisfat"

E gh'era tanta zénta, dìmondi gnò da via,
e per tòt l'è stà un dé pìen d'alegria.

L'estensione della forma con "c" e "g" in luogo della "z" è limitata non alla sola frazione di Maserno, ma si estende anche a Montespecchio, Iola e Castelluccio, praticamente la parte piu a nord-est del Comune. Le restanti parti del Comune di Montese, invece, usano z in luogo di e g.

Le realtà montesine in cui si assiste al mancato sviluppo di c e g in luogo di z costituiscono un continuum con il gaggese e anche il vocalismo in questi dialetti è del tutto assimilabile al gaggese.

Questo dato appare di enorme interesse perché dimostra un fenomeno di conservazione dell'antico emiliano derivato dalla pressione dei dialetti gallo - toscani dell'Alto Reno. A tale proposito ci ha scritto il prof. Luciano Giannelli dell'Università di Siena (e mail del 11 maggio 2004):

"quese conservazioni delle affricate palatali a me sembrano moto eloquenti di
quello che è stato il processo antico che chiamerei di lombardizzazione, qui
parziale.
Se parliamo della stessa cosa: affricate palatali là dove il toscano ha
affricate palatali."


CITTANOVA BLUES

Qualche riflessione in libertà sul dizionarietto che accompagna l'ultima fatica di GucciniFONTE: FRANCESCO GUCCINI "Cittanova Blues", Mondadori, Milano, 2003, pp. 187 - 215)ARLIA In primo luogo riportiamo il signifcato di un termine altorenano presente in questo dizionario: "ARLIA (dial.): 1) sfortuna o malessere generale; 2) malocchio; 3) noia. DEI: "ubbia, superstizione, voce lucchese e toscana settentrionale, dal latino 'religare' raccogliere, legare di nuovo". Ma in Musola n. 9: "lat. hariolus, indovino (...) da cui (h)ariolia, arte magica". Come al solito ci troviamo in imbarazzo nell'assegnare l'altorenano Arlia alla sfera linguistica toscana o emiliana. E' vero che arlia è usato nella toscana settentrionale, ma è anche vero che in bolognese la sfortuna / malessere è detta 'arlii'.RENA Per Guccini "'aver della rena' significa non essere economicamente opulenti. Misterioso il passaggio di significato dall'anfibio alla scarsità di mezzi economici". A nostro avviso il passaggio dall'anfibio alla scarsità di mezzi economici non è poi tanto misterioso... gli uccelli hanno le penne, i cani hanno il pelo, i serpenti hanno le squame... le rane non hanno vestito ma solo la pelle nuda... quale altra metafora può essere più azzeccata della rana per indicare chi non ha più i mezzi neppure per comprare un vestito?SPRUCAGLINO Ecco il testo di Guccini: "(dial. sprucaien): viene da 'sproch', ramoscello, rametto. Per gentile metafora, si così chiama una giovinetta in fiore, gratiosa et bella". Eppure le nostre madri altorenane erano use chiamare "il mio bel sprucaglino" anche i bimbetti maschi. A questo punto proponiamo un'ipotesi sull'origine della parola (ovvero "scienza etimologica"): lo sproch, in realtà, significa anche sterpo corto e appuntito, rimanenza di una pianta tagliata e germoglio... Poiché la famiglia può essere vista anche come un albero (il famoso albero genealogico) è chiaro che i figli giovani sono solo un germoglio di questa pianta o, peggio, semplicemente una sua appendice: quindi i figli sono uno sprocco, uno sprocco piccino, piccino e quindi "uno sprucaglino". A Bologna, col tempo, è passato poi ad indicare le donne giovani e snelle per metafora delle metafora: da sprucglino = bambino a sprucaglino = bella ragazza. Anche oggi, con un pizzico, di malizia si dice di una bella donna giovane ..."ma che bella fanciulla" oppure "ma che bella bambina!"... Dimenticavamo: sprocco è voce germanica (una delle tante in Alto Reno).UCELINI Concludiamo con una voce del dialetto pavanese: "(dial. pavanese 'uslini'): intenso formicolio che prende alle dita rimaste troppo a contatto col freddo e con la neve, come fossero state beccate da miriadi di piccoli uccelli". Una metafora semplice ed efficace, non è vero?


Addio vérde

(Da "La Musola" n. 41 (1987) pp. 125 - 126)

"Voglio salutare il vérde prima che scompaia del tutto!

Sia chiaro che non intendo parlare del vérde dell'erba (...) Intendo, invece, parlare della parola vérde. O, per dire meglio, del modo di pronunciare la parola vérde. Perché ormai noi montanari del Belvedere stiamo scivolando dal vérde al vèrde (...)

Una volta costruire una casa era una grande impresa. Quando si arrivava a coprirla con il tetto tutti erano contenti e si faceva una grande bencotta per mangiare e brindare insieme (...) Ma questa festa oggi si chiama bandiga, all'uso dei bolognesi, perché bandiga è parola del dialetto bolognese (...)

Si, lo so, c'è la libertà di parola; però ...

Prima di tutto, questo abbandono della nostra parlata mi pare poco riguardoso verso gli antenati. poi mi sembra inutile, se non dannoso (...) Siamo soltanto copioni (...) mentre la nostra parlata è bella. E se non lo fosse sarebbe pur sempre la nostra (...) Il parlare dei bolognesi, poi, è molto più lontano dal bello italiano di quanto non sia il nostro. Che è vicinissimo. Il nostro parlare in lingua italiana (senza scimiottare i bolognesi) non ha caratteristiche regionali. Chi ci ascolta difficilmente sa dire da dove veniamo. Forse perché il nostro linguaggio è antichissimo (...) Però sono ottimista (...) Ho fiducia che questa nostra umile e cara parlata montanara possa ancora uscire, pur mutata, ma riconoscibile, dalla bocca dei figli dei figli dei nostri figli. E via andare".

B.H. Jòn (Giorgio Filippi)


IL BORDIGONE DALLE ALI D'ORO

A Bologna il bordigone è lo scarafaggio e noi da bravi "bolognesi" chiamiamo "bordigone", anziché gli scarafaggi, gli insetti volanti di una certa dimensione.

In particolare per noi il bordigone è quello "dalle ali d'oro". Il suo nome scientifico è Cetonia Aurata, ma a Treppio è più confidenzialmente chiamato "cagaloro".

Tra i vecchi di Alto Reno era diffusa la voce che il "bordigone dalle ali d'oro" porti fortuna. Se ne vedete uno, dunque, non trattatelo male.


MUTI COME PESCI?

"BROCCIOLANDO BROCCIOLANDO ..."

"BROCIOLARE = 1) parlare confusamente 2) brontolare fra i denti 3) dire sciocchezze" (F. GUCCINI, Dizionario del dialetto di Pavana, Nueter - Pro Loco Pavana, Pavana Pistoiese, 1998)

"BROCCIOLARE = 1) parlare senza scandire chiaramente le parole 2) balbettare 3) brontolare fra i denti" (G. GIACOMELLI, Vocabolario Pistoiese, Società Pistoiese di Storia Patria, Pistoia 1984 e 2000)

Chi "brocciola", dunque, esprime discorsi confusi oppure, più semplicemente, brontola fra i denti.

L'origine di questo vocabolo risiede tuttavia in un pesce: il brocciolo.

Come mai?

Il silenzio dei pesci è persiono proverbiale ("muto come un pesce") e, quindi, appare quantomeno insolito che un vocabolo così "sonoro", come "brocciolare", possa discendere da muti animali che vivono sul fondale dei nostri torrenti più puliti.

Il mutismo del brocciolo, tuttavia, è solo apparente. E' noto che il ghiozzo di fiume (una specie affine al brocciolo) possa in certe occasioni "mugolare", emettendo sordi borbottj(1). Non ci pare quindi da scartare l'ipotesi che queste "qualità vocali" dei ghiozzi di fiume possano essere anche dei broccioli. In alternativa si può sempre pensare che qualcuno - vista la somiglianza - li abbia confusi e abbia attribuito ai broccioli il rumore dei ghiozzi o, ancora, che la qualità "canora" del ghiozzo di fiume sia passata ai broccioli per "proprietà transitiva".

Qualunque sia l'origine del termine "brocciolare", risulta, comunque, indissolubilmente legato al nostro simpatico amico e sono, dunque, da escludere eventuali altre astruse etimologie.


CRODARE, GRUCCHIO E GOGE

Con "crodare" s'intende il cadere delle castagne quando i ricci si schiudono sugli alberi.

Con "grucchio" (variante "gucchio" s'intende la castagna atrofizzata;

con "goge" (var. "gosge") s'intende indifferentemente lo scoiattolo o il ghiro.

A tutte e tre le voci, presenti nell'Appennino fra Prato, Bologna e Pistoia, pare si debba attribuire una origine preindeuropea:

A favore dell'origine preindeuropea di "crodare" testimonierebbe la voce alpina "croda" col significato di "dirupo" (F. Guccini, "Dizionario del dialetto di Pavana", p. 49 - E. Ferrari, "tracce si isoglasse e sostrato dei dialetti pavanese sambucano", p. 15).

Per l'origine preindeuropea di "gucchio" ("grucchio") testimonia lo Jori (G. Jori, "Alta Montagna Pistoiese", Pistoia 2001, p. 19).

Per l'origine preindeuropea di "goge" testimonierebbe la particolare distribuzione geografica del vocabolo (Alpi e Appennino tosco - emiliano con esclusione della Pianura Padana(cfr. Nueter, XXIV, 1998, p. 380).

Tuttavia tale attribuzione non è certa almeno in due casi:

I) "crodare" potrebbe essere una corruzione del latio "corrottare" o "conrotare";

II) non risulta alcuna voce preindeuropea a cui potere legare "goge".

Quanto alla voce "grucchio" è da segnalare come lo stesso lemma sia legato anche al pistoiese cittadino "gronchio".

In ogni caso, anche laddove si fosse certi della origine preindeuropea di questi termini, è da segnalare che sono in un numero così piccolo da non potere dimostrare alcuna discendenza autonoma dei nostri dialetti da una presunta lingua "celto -etrusca - ligure" come sostenuto da "La Musola".


LE FRUGIATE

UN TERMINE TOSCANO CHE HA VIAGGIATO FINO A VALLI LONTANE DA NOI

Le frugiate è il termine usato in tuto l'Alto Reno per indicare le caldarroste. Tale termine non ha corrispondenza col bolognese (a Bologna si dice "aròsti" (cfr. il Dizionario Bolognese edito da Vallardi nel 2000), ma ha piena corrispondenza col pistoiese:

"FRUGIATA s.f., com - castagna arrostita nella padella o in forno" ("Vocabolario Pistoiese", Pistoia, 2000, p. 95).

Secondo Guccini la voce "frugiate" viene da bruciate, "incontratesi col ver. frugare" ("Dizionario del Dialetto di Pavana", Porretta Terme - Pavana Pistoiese, 1998, p. 55). Tale interpretazione risulta in accordo con quella proposta nel Dizionario etimologico Battisti - Alessio perché in molti luoghi le caldarroste vengono cotte frugandole e rimestandole nella padella.

Di diverso avviso è Giorgio Filippi (B. H. Jòn) che, sempre partendo dal Dizionario Etimologico del Battisti - Alessio, suppone che il vocabolo sia "un relitto ligure preindeuropeo" (La Musola, n. 58 (1995), p. 109).

Per Giancarlo Jori (dello "Istituto di ricerchestoriche e archeologiche di Pistoia") la parola "frugiata" deriverebbe da "bruciata" con trasformazione consonantica di tipo settentrionale b>f e c>g (G. Jori, "Alta Montagna Pistoiese", Diple, Firenze, 2001, p. 18).

Nella zona dell'Alto Reno (da Pavana a Lizzano, alla Sambuca, etc.) la parola frugiata è resa "frujada" o anche "frujà", dove la "j" indica la fricativa prepalatale sonora "sg". In altre zone dell'Appennino al confine del Modenese si usa invece "frusciada", dove appare la fricativa prepalatale sonora "sc" (1).

Incredibilmente il termine "frugiata" è pervenuto anche in zone lontane dal confine toscano come Savigno e Zocca (rispettavamente in provincia di Bologna e di Modena(2)), dove le caldarroste vengono dette "frusee".

A tale proposito abbiamo chiesto un chiarimento al Dott. Daniele Vitali (coautore del Dizionario Bolognese pubblicato da Vallardi) che così ci ha risposto:

"[Ella mi scrive che] "La somiglianza tra "frugiata" e "frusee" è quanto meno sospetta. Mi sa dire qualche cosa di più? Come può essere arrivata fino a Savigno?" Ebbene direi che le equivalenze fonetiche regolari confermano il sospetto: si tratta della stessa parola con veste fonetica piú bolognese. Non so come la parola sia arrivata fino a Savigno, direi che, essendo il lessico l'elemento piú viaggiatore della lingua, vi sarà arrivato in seguito a contatto con le popolazioni della montagna piú alta".

NOTA:

(1)IN REALTA' SI TRATTA DI FRICATICA PREPALATALE SONORA (SG). ALCUNI SITI INTERNET A CUI ABBIAMO ATTINTO (VEDI FIUMALBO.COM AD ESEMPIO) RIPORTANO PER ERRORE FRUSCIADA ANZICHE' FRUSGIADA

(2) Per Zocca l'informatore è Michele Odorici (classe 1971) originario di Zocca e residente per alcuni anni a Savigno. Per Savigno, oltre all'Odorici, abbiamo potuto rilevare la voce consultando frettolosamente un Vocabolario del dialetto in uso nella Valle del Samoggia.


I FRATI

"FRA' - s.m. - 1) Frate. 2) grumo di farina dolce o di granturco" (F. GUCCINI, "Dizionario del dialetto di Pavana", Gruppodi Studi Alta Val del Reno - pro Loco di Pavana, 1998)

"FRADI - sost. mas. pl.= 'grumi che si formano nella polenta, se non è mescolata bene'. Attestato con questo valore a Rivoreta, Orsigna, Spedaletto, Mercatale di Vernio, Castello di Sambuca. Da 'frate' = bozzolo del baco da seta (per la forma simile a quella del cappuccio di un frate" (L. BONZI, "Piccolo dizionario del dialetto di Treppio", in Nueter, XXVI; 2000, pp. 170 - 171).

Vista cos sembra che "frate" sia un termine tipico e esclusivo delle popolazioni poste sulla famosa linea Rimini - La Spezia, ma non è così...

il termine è pistoiese e infatti lo troviamo nel "Vocabolario Pistoiese" edito dalla Società Pistoiese diStoria Patria nel 2000:

"FRATE - ... 4. des. grumo di farina, ròciolo. Usato soprattutto al plurale".

Crediamo sia bene saperlo per non giungere a conclusioni errate sull'origine dei nostri dialetti...


IL BROCCIOLO

Il brocciolo è un pesce, ma è anche una metafora di noi "montrucci", di noi che stiamo diventando sempre più simili a panda in via di estinzione. Il brocciolo è un pesce, è una metafora, ma è anche una glossa. "Brocciolo" è una parola Toscana diffusa in Alto Reno e in qualche altra vallata dell'Alto Appennino Tosco - Emiliano, ma sconosciuta in Emilia (in Emilia si usa "scazzone").

Al Brocciolo sono legati i ricordi di molte generazioni di altorenani anche celebri, come il pavanese Guccini che così ne parla in Croniche Epafaniche (Feltrinelli, Milano 1997, p. 14)

"E ti maledici per essere nato in epoca storica, così priva di tutto, così vuota di pesci nel fiume, di funghi tra i boschi. Prendi i bròcioli! Bastava andare nel fiume con la forchetta, e tornavi via a casa e facevi la fritura. Prova a trovarne uno se sei bòno, òggi.

E già; il bròciolo è pesce misterioso, che non nuota, e questo già la dice tutta sulla non pescità di fondo di questo pesce. Salta, o meglio, si sposta a scatti sul fondo, muovendo la mota, e sembra che ti stia a guardare e a dire: 'chiappàmi, se sei bòno', e non lo prendi no, se non hai la forchetta con quel suo testone."

E' sempre Guccini a dirci (nel suo dizionario del Pavanese (Nueter 1998) che i broccioli di dimensioni maggiori erano chiamati "tanacca" (il termine era usato anche a Granaglione come testimonia il soprannome "Tanacca" riportato in uno stornello della zona (cfr. Nueter, n. 1, anno I, 1975)).


IL FRUSTONE

E' IL NOME USATO IN ALTO RENO PER UN TIPO DI SERPENTE DI COLORE VERDE ORO, NOTO PER IL FATTO CHE, APPOGGIANDOSI SULLA TESTA, POTEVA FRUSTARE GLI UOMINI CON LA CODA E IL CORPO.

TRATTASI DI VOCE SCONOSCIUTA AL DIZIONARIO DEL DIALETTO BOLOGNESE PUBBLICATO DA VALLARDI NEL 2000, MA RICORDATA RICORDATA NEL "VOCABOLARIO PISTOIESE" EDITO DALLA SOCIETA' PISTOIESE DI STORIA PATRIA NEL 1984 (II EDIZIONE 2000).

"FRUSTONE: LUNGA SERPE NON VELENOSA, DI COLORE VERDE E NERO" (VOCABOLARIO PISTOIESE, PISTOIA 2000, P. 96)

DAL SITO "FAUNA TOSCANA - RETTILI"

Il serpente più grande che si trova in questa zona è il Cervone, detto anche frustone (Elaphe quatuorlineata). Può raggiungere i 2 metri di lunghezza e si nutre di roditori, nidiacei di uccelli ed è particolarmente ghiotto di uova, che va a ricercare anche sugli alberi o nei pollai.(Bibliografia [5])


IL MIRTILLO A PISTOIA E NELL'ALTO RENO

clicca anche su La fragola

PISTOIA

PENTOLINI

MONACHINO (Sambuca Pt.se)

PENTOLINI

SAN PELLEGRINO (Sambuca Pt.se)

PENTOLINI

LAGACCI (Sambuca Pt.se)

PIGNATINI

POSOLA (Sambuca Pt.se)

PIGNATINI

CASTELLO DI SAMBUCA (Sambuca Pt.se)

PIGNATINI

PAVANA (Sambuca Pt.se)

PIGNATINI

TORRI (Sambuca Pt.se)

BAGIOLI

BADI (Castel di Casio)

PIGNATTINI - PIGNATUZZOLI

MONTE DI BADI (Castel di Casio)

LAMPOLINE

STAGNO (Camgunano)

PIGNATTINI - PIGNATUZZOLI

LUSTROLA (Granaglione)

PIGNATTINI

TREPPIO (Sambuca Pistoiese)

DAMPOLINE

LIZZANO e lizzanese (Lizzano in Belvedere)

BAGGIOLI

il termine "bagioli" usato a Torri e Lizzano è diffuso in altre località dell'appennino pistoiese, dove indica il cespuglio di mirtilli (cfr. G. Jori, "Alta Montagna Pistoiese", Firenze 2001, p. 19), secondo B. H. Jòn (La Musola, n. 30, 1981, p. 248) il termine bagioli (o baggioli) deriverebbe dal latino "Bacula", usato da Plinio come diminutivo di "Baca", col significato di piccola bacca.

il termine "lampoline" non è altro che una contaminazione fra "pentolini" (o pignattini) e lamponi. A Treppio, per cacuminalità, il vocabolo si trasforma in "dampoline"

clicca anche su varianti granaglionesi di "mirtillo"

Fonti:

AA.VV. Storie della Sambuca, M&M - Artout, Pistoia, 2001, pp. 26 - 29

B.BENEFORTI, Piccolo Dizionario dei dialetti di Badi, Bargi e Stagno, Nueter, XXIV, 1998, pp. 357 - 388

La Musola, n. 30 (1981), p. 248

Nueter, XXVI, 2000, p. 175

sito web: Pro Loco di Lustrola


IL VIZZADRO: UN BEL VOCABOLO TOSCANO

Chi è che in Alto Reno non ha mai mangiato la frittata di Vizzadro?

Così c'e ne parla Guccini nel Glossario di Croniche Epafaniche:

"Vizadro: Clematis Vitalba. Nonè l'erba Pantagruelion, ma per i suoi molteplici usi ci si avvicina: si arrampica e ricopre ogni cosa con liane festose, anche se è da dire che non reggono un gran ché se uno vuol fare Tarzan. Le stesse liane, secche, troncate, possono essere fumate a mò di sigaro (senza respirare sia chiaro), e i germogli giovani, previa bollitura, si usano in primaverili frittate"

Il Vizadro (o vizzadro) è un bel vocabolo del vernacolo toscano, pistoiese e fiorentino, chi ne vuole sapere di più clicchi sotto:

http://fantastica.firenze.net/ricerche/ricerche_file/lessico.doc.

troverà questa definzione:

"Vizzadro o |*vizzatolo| è la vitalba; anticam. |vizzato| era il vitigno."

Peraltro anche la frittata di vizzadro è tipicamente toscana


BOTTA

UN VOCABOLO EMILIANO O TOSCANO?

Per designare il rospo nell'Alto Reno si usa il termine "botta", tale vocabolo è attestato sia a Bologna che a Pistoia col medesimo significato.

Quando parliamo di "botta" usiamo dunque una voce toscana o una voce emiliana?

Personalmente abbiamo sempre avvertito la voce come Toscana, tuttavia il nostro parere ha poca importanza. Vediamo dunque cosa dicono i dizionari dei dialetti locali:

1) F.GUCCINI - GLOSSARIO DEL PAVANESE PUBBLICATO IN APPENDICE IN CRONACHE EPAFANICHE (Feltrinelli Milano): "BOTTA: è voce di lingua, seppure toscanismo, e infatti i più dicono rospo"

2) LIA BONZI - PICCOLO DIZIONARIO DEL DIALETTO DI TREPPIO (NUETER, XXVI, 2000): " BOTTA = 'rospo' Diffuso in tutta la Toscana"

3) BARBARA BENEFORTI - PICCOLO DIZIONARIO DEI DIALETTI DI BADI, BARGI E STAGNO (NUETER, XXIV, 1998): "BOTTA = 'ROSPO' è diffuso in tutta la Toscana".

Da questo breve excursus si può dunque dedurre che la "botta" in Alto Reno non è una voce di origine emiliana, ma una voce presa dal vocabolario pistoiese.

Un'altra voce di sicura origine pistoiese è "pignattini" (usata da Lagacci a Pavana, fino a Badi per indicare i mirtilli), tale voce infatti non è altro che un adattamento del pistoiesissimo "pentolini". Da una contaminazione fra lamponi e il pistoiese "pentolini" discende il nome di "lampolini" usato in certe zone di Badi per indicare sempre i mirtilli (per saperne di più clicca qui).


LA NOSTRA CIMICE ... TOSCANA

E' anche attraverso le parole, le parole più semplici, che si può ricostruire l'appartenza della nostra terra a un'universo che è anche Toscano. Un esempio è fornito dalla parola altorenana per cimice

In Alto Reno (Pavana ad esempio) il modo con cui si indica la cimice è "cimge", ben diversa dalla bolognese "zémmsa".

Pur con alcuni elementi settentrionali (contrazione per caduta di intervocalica ed esito in "g" di "c") la parola è chiarmanete debitrice della forma italiana e toscana.


LA LISCITE

Un relitto linguistico altorenano o un vocabolo pistoiese?

Nel suo opuscoletto sui dialetti pavanese e sambucano il Ferrari cade in numerosi errori di attribuzione linguistica a vocaboli locali, ad esempio:

- ritiene crochio, crochia e crochione termini non toscani, mentre sono tipicamente pistoiesi;

- ritiene il "logo commodo" bolognese quando, invece, è pistoiese;

- immagina che "bioscio" venga dal bolognese "bios", ma dimentica che esiste un toscano "bioscia";

- sente come bolognese la "c" del sambucano "rancego", mentre appare di influenza toscana (bolognese "raenz", porrettano "raenc", pistoiese "rancido");

- confonde il nostro "crosge" - per "croce" (di origine latina (crux)) - col celtico "cros" (col significato di "buco" secondo la definizione data da G. Rohlfs a p. 51 del libro "Studi e ricerche" pubblicato a Firenze nel 1999). Ritiene altresì "cros" un termine "preindeuropeo", mentre i celti sono una popolazione indeuropea;

- non si accorge che il fenomeno della caduta delle vocali lunghe a Porretta (es: porrettano "aldam" anziché il bolognese "aldaam") costituisce una isoglossa determinante per delimitare i fenomeni di espansione settentrionale del toscano.

A questo punto ci siamo domandati se l'attribuzione data dallo stesso Ferrari al termine 'liscite' come"possibile sostrato di qualche esperienza linguistica precedente" (E. Ferrari, "Tracce di Isoglosse e sostrato nei dialetti pavanese e sambucano", Sambuca Pistoiese, 1997, p. 18) sia corretta. La risposta a questo nostro dubbio è stata, ovviamente, negativa ...

A memoria ricordiamo che "licet" indica i "gabinetti":

"voce latina che letteralmente significa ' è permesso', usata un tempo, soprattutto nei convitti, per indicare il gabinetto" (M. Nuzzo, "Dizionario della lingua italiana", Marotta Editore, Napoli, 1978, p. 909).

E il 'licet' a Pistoia è detto anche 'licitte' da cui l'altorenano 'liscite':

"LICIT (var. licitte, licette) s.m., desueto o scherzoso - cesso, latrina" (Vocabolario Pistoiese, Società Pistoiese di Storia Patria, Pistoia, 2000, p. 113).

Il nostro liscite, dunque, non è di origine preindeuropea, ma latina ed arriva a noi attraverso il pistoiese (non abbiamo infatti riscontrato la voce nel Dizionario Bolognese pubblicato dalal casa editrice Vallardi e lo stesso Ferrari non l'avverte come bolognese). Da notare, altresì, che la parola "liscite" contiene al suo interno il gruppo "sc" (fricativa prepalatale sorda) che Gehrhard Rohlfs assicura essere "di schietta toscanità" (Grammatica Storica, p. 406).


LA MARASCA E I GREPPI

Storia di due lemmi in Alto Reno

In primo luogo chiariamo cosa è una "marasca". Per "marasca" s'intende in Alto Reno un particolare (e molto diffuso) tipo di ciliegia acidula. La voce "marasca" (var. maresca) è diffusa anche nel pistoiese e nel bolognese col medesimo significato. Nel pistoiese, peraltro, ha dato origine anche all'idronomo "Torrente Maresca" (affluente del Reno) e all'omonimo centro abitato in Comune di San marcello Pistoiese (G. Jori, "Alta Montagna Pistoiese", Firenze, Diple, 2001, p. 193).

Lo stesso Jori c'informa che il termine "maresca" è "di origine preindeuropea, caratterizzato dal suffisso -sko" (ibid. p. 193) e il Rohlfs (Studi e ricerche, p. 49) chiarisce che si tratta di un suffisso da attribuirsi alla antica popolazione dei Liguri:

"In genere si attribuiscono ai Liguri i toponimi in - asco".

E, come ben sappiamo, i Liguri furono la prima popolazione pistoiese (cfr. N. Rauty, "Storia di Pistoia", Firenze, 1988).

Per quanto riguarda il "greppo" (usato come toponimo a Porretta) abbiamo visto che si tratta di una voce pistoiese (clicca qui). Tale voce pistoiese tuttavia ha anch'essa una origine preindeuropea, come ci informa il Rohlfs:

"Non sappiamo a quale popolazione preromanica delle Alpi appartiene quel "krepp" (o "grepp") 'cima di roccia' che si incontra in molti nomi di monti delle Alpi: Crep, Crepa, Creppo, Greppolungo, Greppone" (G. Rohlfs, "Studi e ricerche", p. 48).

Questo vocabolo prelatino, peralto, sopravvive, nel suo antico significato, nella lingua ladina: "crap" per sasso e "grep" per "roccia" (G. Rohlfs, Op. cit. p. 127).

Da notare, in questo caso, che la zona alpina in cui è diffusa la voce "krepp" è anche una zona ricca di suffissi in "asco": Val Bondasca, Valle Anzasca, Comasco, etc. (G. Rohlfs, Op. cit., p. 39).

Non è quindi da escludere che la voce "krepp" che risulta diffusa nelle Alpi (ibid., pp. 48, 127). e a Pistoia (ibid., pp. 137 - 138) sia di origine ligure.

Ciò che merge, in ogni caso, da questa ricerca è (oltre la riscoperta della ricchezza del nostro patrimonio linguistico) l'indissolubile legame tra Alto Reno e Pistoiese e - indirettamente - l'impossibilità che i dialetti della nostra area possano discendere per via esclusiva e autonoma da una presunta lingua "celto - etrusca - ligure" (tesi sostenuta dalla rivista lizzanese "La Musola").


LE PATERLENGHE

E’ uscito sul numero 24 della rivista "Savena Setta e Sambro" [1] un articolo sulle paterlenghe (il frutto della rosa canina). E’ un articolo assai interessante non solo perché riporta l’aerale del termine ‘paterlenghe’, ma anche una ipotesi sull’origine del nome:

il nome ‘paterlenghe’ secondo l’articolista è in disuso nella provincia di Bologna tranne nella montagna occidentale. Lo stesso nome risulta presente anche nel Frignano, nell’Appennino Modenese e nella Valle del Reno Pistoiese (si fa riferimento ai termini peterlinga e petrolinga che indicano la drupa di questa pianta presso le sorgenti del Reno (tra i comuni di Pistoia e Piteglio))[2].

Il nome paterlenga potrebbe ricondursi, sempre per l’articolista, alla radice latina ‘pater’ inteso come divinità (il latino Iuppiter Penninus ovvero l’etrusco Tin Affnin di uguale significato). La rosa, infatti, avrebbe un valore magico sacrale(dalle nostre parti il Sole delle Alpi è conosciuto col nome di Rosa della Montagna ed è un simbolo ampiamente diffuso nell’appennino pistoiese (compresa la stessa Pistoia) e bolognese). Altra ipotesi proposta fa riferimento, invece, alle lingue germaniche ed è dedotta dalla presenza delle radice pa/po (da cui l’inglese moderno hipo per la rosa canina) nonché dal suffisso –ingo / -enga.

Si segnala, come parentesi, l’uso del termine raggia (in luogo di rovo) in tutta l’Alta Montagna Pistoiese [3].

nota

[1] Savena Setta e Sambro, n. 24, giugno 2003, pp. 13 ss.


LINGUA ETRUSCA

Esistono residui di lingua etrusca nei nostri dialetti?

C’è chi ha sostenuto che i nostri dialetti discendano da un antico sostrato ligure – etrusco. Se così fosse dovremmo trovare nelle nostre parlate alcuni vocaboli (unici e caratteristici in tutta Italia) di chiara origine preindeuropea, ma tuttavia ciò non avviene né per il ligure (clicca su Treppio) né per l’etrusco (i nomi di località non contano, dato che la toponomastica, come è noto, è fenomeno distinto dalla lingua).

Per il caso etrusco abbiamo deciso di fare un confronto con il pavanese. A tale scopo abbiamo usato il celebre "Dizionario" di Guccini (Nueter 1998) e il libro di G.M. Facchetti "L’enigma svelato della lingua etrusca" (Newton Compton, Roma 2000) che contiene tutti i vocaboli ad oggi conosciuti dell’etrusco.

Dal confronto è emerso che per soli due vocaboli citati nel Dizionario di Guccini c’è una sicura origine etrusca, e cioè: "vin" da "vinum" (italiano vino) e "mi" da "mi" (italiano "io"). Appare tuttavia necessario precisare che: 1) le formi pavanesi non sono specifiche, ma usate un po’ ovunque in Italia; 2) che le forme pavanesi sono state acquisite attraverso il latino che ha, infatti, "vinum" e "me".

L’unico altro vocabolo citato nel Dizionario di Guccini che ha una lontana assonanza con l’etrusco è "mlacco" (=troppo dolce) che ha una corrispondenza con l’etrusco "mlach" (=buono).

Tuttavia riteniamo questa assonanza (che è stata l’unica riscontrata) mediata ed occasionale e, quindi, frutto di una coincidenza anziché di una reale discendenza dall’etrusco (e infatti Guccini fa risalire la parola "mlacco" da "miele").

A nostro avvisom dunque, non paiono sussistere gli estremi per ritenere che i nostri dialetti discendano dall’etrusco.


Da "La Musola" n. 32 del novembre 1982

Un bel vocabolo belvederiano:

Lòlo

E' il nome popolare del baco della frutta e del cacio, cioè il bago, quel vermicciattolo che a bologna è detto bigàt o bigatén.

Ne parla il sempre accurato Giuseppe Malagoli, nel suo "Lessico del dialetto di Lizzano in Belvedere", ricordando che lo chiama pure nonìn, e che anche nella montagna pistoiese tale baco si chiama lòlo: dunque, quasi con affettuosa simpatia, "nonno, nonnino" ...

Non deve poi far meraviglia che animali grandi e piccoli abbiano ricevuto dal popolo denominazioni affettivamente umane, essendo un fatto che si verifica su larga scala nella lingua e nei dialetti d'Italia ...


ORSI E ORZI

Il pistoiese ha, rispetto agli altri vernacoli toscani, alcune peculiarità. Una di queste è la pronuncia di "z" al posto di "s" in determinati casi (es: "inzalata"). tale peculiarità si spinge fino in Emilia (es: il "ti ze bono" di Lustrola) ed è presente anche in alcuni toponimi. Un esempio è fornito dal "Pian degli orzi" (tra le frazioni di Sambuca e Treppio) che, stando a documenti seicenteschi, sarebbe stato in origine un "Pian degli orsi" (cfr. il Dizionario Toponomastico del Comune di Sambuca Pistoiese, Pistoia, 1993, p. 132). (1)

Da segnalare che le forme pistoiesi si spingono dentro Porretta (come il Greppe) o a Granaglione, come attesta "ejina" per chiesina (cfr. il Dizionario del Comune di Granaglione, Porretta terme, 2001, p. 102)

NOTA:

(1) Sul caso di s > z è bene, tuttavia, riportare il testo di una nostra lettera del 27/09/2003 inviata al Prof. Luciano Giannelli dell'Università di Siena e allo studioso bolognese Daniele Vitali:

"In Alto Reno troviamo alcuni sviluppi di s in z:

I. inzun (Badi, Lizzano, etc.)

II. bzogna (Lizzano)

III. orzi (Sambuca, Treppio)

IV. ti ze bono (Lustrola)

i casi nn. 1 e 3 seguono la regola dell'affricazione pistoiese (s > z dopo n, r, l), ma ad esempio insalada (insalata) non presenta affricazione pistoiese.

i casi nn. 2 e 4 non seguono in alcun modo la regola della affricazione pistoiese

Dunque non pare che il fenomeno altorenano sia in effetti da ricondursi alla affricazione pistoiese

nessuno di questi casi è però contemplato a Bologna, ma i casi nn. 1 e 2 sono presenti in Piemonte

bzogna - Piemontese

http://www.centroventurelli.org/Piemonte/leggende_piemontesi1.htm

inzun - Piemontese

http://www.gargallum.com/040_dialetto_gargallese_e_vocabolario_paesano.htm

La domanda, a questo punto è: si tratta di uno sviluppo autonomo altorenano oppure la sopravvivenza di un antico relitto linguistico d'area galloitaliana in area marginale (I e II legge del Matteo Bartoli)?

Probabilmente è vera l'ipotesi della sopravvivenza galloitaliana sulla quale la presenza della vicina Pistoia ha contribuito al suo mantenimento (da tenere presente che nella zona attorno a Badi, Bargi e Stagno è attestato troita per trota che è di chiara matrice galloitalica ancora testimoniato nel piemontese)

Il caso n. 3, invece, dovrebbe essere un prestito lessicale (ma non fonetico) preso direttamente dal pistoiese.

Mi piacerebbe, tuttavia, sapere la Vs. opinione"

____________________________________________________

stralcio risposta Dr. Vitali

...DV: La mia opinione è che i dialetti alto-renani NON abbiano l'affricazione,
arrivata solo in piccola misura e come influenza centrale. Per quanto
riguarda il piemontese: tale idioma ha /s/ e /z/ (cioè s sorda di sasso e
sonora di sbarco) tra i suoi fonemi, ma NON /ts/ e /dz/ (cioè z sorda di
mazza e sonora di mezzo), per cui bzogna è solo un espediente grafico per
mostrare la pronuncia sonora della s. In "inzun" è un po' piú strano, ma in
Trentino a Venezia Giulia è normale usare la s sonora anche in questi casi:
i triestini dicono, per "ascensore", /aSen'zoore/ ...

stralcio risposta prof. Giannelli

... Dunque, troita è un caso di estremo interesse, Le ricordo che sul Trasimeno
questo pesce si chiama trotta. Ora, troita dovrebbe essere un caso molto
antico, perché non mi pare (sbaglio?) neppure un esito emiliano, ma
'semplicemente' lombardo-piemontese, giusto?
Per le affricazioni, non ho ben capito. Quelle che mi rappresenta con 'z',
sono pronunce 'ts'?. Mi spiego:
Pistoia: 'orsi' si dice ortsi
Invece 'bisogna' si dice bizogna, ed ho rappresentato una s (sibilante,
dico) sonora
inzun non lo capisco, ma è quel contesto in cui a Pistoia si avrebbe-nts-
Ti ze bono, mi pare strano ti tse bono, se invece è una sonora, questo sì
che sarebbe un dato interessante! Ma prima mi dia conferma. Pistoia non
c'entra nulla, ma badi che sarebbe un tratto alla Baragazza (ha presente la
'bomba' Baragazza?)
Che ortsi sia lessicalizzato così mi pare strano, ma tutto può essere.
Il tutto pare comunque all'insegna della massima mescolanza, e va bene...

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Segnaliamo in ogni caso che la pronuncia orzi è sonora e non sorda, ma la cosa non ci turba in quanto è possibile (come è successo tra sc e sg) che la forma pistoiese - toscana passando in Alto Reno abbia assunto la sonorità sonora (affricazione sonora). Da tenere presenti che i documenti granducali (dalla prima citazione del 1646) si riferiscono alla località Pian degli Orzi indicandola col nome di Pian degli Orsi.

Ovviamente troita è un dato piemontese - lombardo


LA PAVARINA
Come c’informa B. H. Jòn – Filippi, in quella che è stata una interessantissima rubrica sui vocaboli lizzanesi, la pavarina è il nome dato a Pianaccio (e in altre località vicine) alla farfalla. Questo termine discende dalla sua variante locale "pavarone" che così viene spiegata da Filippi – Jòn:

"[La lingua latina] per designare la farfalla usava il sostantivo papilio, -onis, il quale deformato, in un probabile parpallia, diventò parpaglia e parpaglione nell’italiano antico …Il nostro pavarona appare più vicino all’originale parpaglione e più facilmente spiegabile. Il passaggio dalla – p- alla –v- è notoriamente spontaneo (per es.: da lupo, luvvo o lovo), così deve essere nato un parvaglione. La sua non facile pronuncia ha indotto a spostare la –r- ed è nata la pavarona" (La Musola, n. 32 /anno XVI/ 1982, p. 93).

Questa spiegazione sembra ricondurre la nostra parola all’ambito dei dialetti gallo – italiani e, in generale, alle lingue che (alcuni) definiscono "latino – occidentali": in bolognese, infatti, la farfalla è detta "parpaja" (si noti che in bolognese "j" non ha il valore di fricativa prepalatale sonora) e in francese "papillon" (è evidente la particolare somiglianza con il francese, che si discosta principalmente per una differenza relativa alle liquide l,r). Se non che è lo stesso Filippi – Jòn a sentire la necessità di ricondurre, in qualche modo, il vocabolo ad un ambito toscano:

"Dice un proverbio toscano: tanto vola il parpaglione intorno al fuoco, che vi s’abbrucia" (La Musola, n. 32/anno XVI, 1982, p. 93).

E, in effetti, anche noi abbiamo potuto leggere questo detto in una raccolta ottocentesca curata dal poeta pistoiese Giuseppe Giusti(http://www.utas.edu.au/docs/flonta/DPbooks/GIUSTI/CASA.html) (1).

Questa inaspettata necessità di ricondurre il vocabolo a un ambito toscano appare ancora più interessante se si considera che, effettivamente, la parola parpaglione è di origine settentrionale o francese (http://www.righetto.it/righetto_free/piazza/parole_foreste4.htm).
L’esistenza del termine parpaglione e pavarina nel lizzanese può, così, essere giustificata non solo (e non tanto) per diretto influsso settentrionale, ma anche da imprestito (a sua volta imprestato) dal toscano (2).


NOTA:

(1) nel Dizionario dell'Accademia della Crusca troviamo diverse attribuzioni toscane del termine "parpaglione":

2) anche da un punto di vista fonetico la parola pavarone potrebbe essere debitrice del toscano. Si può infatti ipotizzare un trattamento toscano sulle liquide "l,r" che potrebbe intendere un originario "pavallione" con successivo scempiamento di "ll" ed esito finale "pavarone" ( parpaglione > parpallione > pavallione > pavalione > pavarione > pavarone > pavarina)
Per quanto attiene l’uso della parola parpaglione nel detto toscano che abbiamo ricordato è da sottolineare l’uso che viene fatto di parpaglione come sinonimo di falena notturna, questo probabilmente per assonanza con farfallone (parpaglione > farfallone).


PRUGNOLI E SCUTERZOLI

La "prunus spinosa" o "prugnolo" dalle nostre parti è chiamato col nome di "stròzghi", il perché ci è chiaramente indicato da Guccini nel suo Dizionario del Pavanese:

"penso che c'entri in qualche modo il verbo strozzare, e chi ha provato ad assaggiare un frutto sa bene il perché" (p. 132).

E' stato consultato il dizionario del bolognese (oltre 13.000 voci) per vedere se esisteva un termine analogo a quello usato in Alto Reno, ma la voce risulta sconosciuta, esiste un corrispettivo invece nel pistoiese "strozzapreti":

"strozzapreti s.m. invar. - Pianta spinosa che produce piccoli frutti aspri" (Vocabolario Pistoiese, Pistoia 2000, p. 176).

Adesso un invito: sapete quale è il nome dialettale della piccola formica rizzaddome che cammina sui greti dei fiumi? Noi sappiamo che a Pistoia si chiama Scuterzola (Vocabolario Pistoiese p. 164), ma non sappiamo come viene chiamato nelle varie zone dell'Alto Reno


RELITTI CELTICI

Il passaggio di popolazioni celtiche in Alto Reno ha lasciato alcune tracce anche nella nostra lingua parlata.

Per parte nostra vi segnaliamo un toponimo e un idronomo sicuri, nonché un possibile relitto linguisitico.

L'idronomo è "Reno" così descritto da Gerhard Rohlfs:

"Il noto gallico Renos "fiume" sopravvive nel nome di alcuni fiumi e ruscelli nella forma Reno (Lombardia, Veneto, Toscana). Uno di questi fiumi con nome Reno nasce nelle vicinanze di Pistoia, passa vicino a Bologna e sfocia a nord di Ravenna nel mare Adriatico" (G. Rohlfs, Studi e Ricerche su lingua e dialetti d'Italia, Sansoni, Firenze, 1997, p. 51).

Il toponimo Badi che viene dal tema "bad" col significato di punto di osservazione (G. Jori, Alta Montagna Pistoiese, Diple Edizioni, Firenze, 2001, p. 33).

La definzione appare appropriata, considerato che il paese si trova in posizione dominante la valle e la zona di confine e, pertanto, adatta a torri di avvistamento anche in epoche relativamente recenti (B. Homes, Alta Limentra Orientale, Porretta Terme - Pistoia, 1996, p. 75).

Il relitto linguistico sarebbe "baggioli", usato per indicare i mirtilli. Questo vocabolo e i suoi derivati (usati in diverse località dei Comuni di Sambuca Pistoiese, Granaglione, Lizzano in Belvedere e del pistoiese) sarebbe, secondo Giancarlo Jori, disceso dallo stesso tema "bad" già visto come toponimo per la località di Badi (G. Jori, Op. cit., pp. 19, 33). A nostro avviso, tuttavia, "baggioli" non deriva dal tema gallo - celtico "bad", ma dal latino


RELITTI LINGUISTICI PREINDEUROPEI

E' universalmente riconosciuto, ormai, che i primi abitatori dell'attuale Provincia di Pistoia furono popolazioni preindeuropee: liguri ed etrusche. Anche i primi abitatori dell'Alto Reno furono i liguri (cfr. Nueter, I, 1975, p. 9) e gli etruschi (cfr. Il Brocciolo, anno 1, n. 1, 1998, p. 7 e AA.VV. "Storie della Sambuca", m&m artout, Pistoia 2001, pp. 53 - 54).

Alcuni idronomi e toponomi sembrano confermare che le originarie popolazioni dell'Alto Reno fossero le stesse che abitarono il pistoiese.

Idronomi di origine preindeuropea ligure sono il pistoiese "Lima" e gli altorenani "Limentra" e "Limentrella" col significato di letto roccioso di un fiume (G. JORI, "Alto Appennino Pistoiese", Firenze, 2001, p. 33). Toponimi, sempre di origine ligure, si trovano in Val di Nievole (pistoia) e nelle Valli delle Limentre, essi si riconoscono, come precisato da Natale Rauty, nel primo volume della "Storia di Pistoia", per la presenza del "suffisso in - ola (Torbola, Posola, Lentola, Docciola)".

Anche la presenza etrusca è accertata da toponimi come "Taona" (in effetti un teonimo derivato dal nome del dio etrusco Thyna), Pavana (ormai accertato dallo Istituto Italiano di Toponomastica) e Corneta da "Culni" (cfr. anche "Cornia" a Gavinana, come segnalato da G. JORI nell'opera sopra citata).

Nelle zone attorno a Suviana sopravvive anche un relitto linguistico preindeuropeo: "gronchio", ovvero intirizzito dal freddo (Nueter, XXIV, 1998, p. 380). Questo lemma non giustifica tuttavia l'ipotesi che i dialetti altrenani abbiano una origine "celto -ligure - etrusca", come sostenuto da alcuni, dato che la medesima origine ha anche il voacolo pistoiese "grucchio" che significa castagna atrofizzata (G. JORI, "Alta Montagna Pistoiese, Firenze, 2001, p. 19). Inoltre il vocabolo "gronchio" è riportato in numerosi dizionari come "di uso regionale toscano" (vedi Dizionario del Nuzzo, Napoli 1978).

Toponimi, idronomi, teonimi e lemmi ci confermano dunque una parentela della nostra terra con Pistoia.


UN VOCABOLO GRECO BIZANTINO IN ALTO RENO

La breve dominazione bizantina in Alto Reno non è stata del tutto priva di esiti linguistici nei nostri dialetti.

A Pavana, Bargi, Stagno, Treppio, Badi (vedi i relativi dizionari curati da Nueter), Lizzano (vedi la Musola n. 30 (1981), p. 236) è presente il vocabolo "àscaro", col significato di nostalgia, desiderio (cfr. il treppiese "ghi aveva àscaro de la su mamma"), questo vocabolo (col medesimo significato) è presente anche in altre località della montagna pistoiese (G. JORI, Alta Montagna Pistoiese, Firenze, 2001, p. 19).

Orbene "àschero" deriva dal greco "eschairon" col significato di bracere e di piaga purulenta, ed in effetti la nostalgia e il desiderio sono sentimenti che bruciano l'anima e che la possono ferire come una piaga.

Da ricordare, tuttavia, anche l'interpretazione del Guccini che fa derivare "àscaro" dal longobardo "eiskon".

In ogni caso però, che si tratti di relitto bizantino e di vocaolo di origine longobarda, il termine "àscaro" viene dal sud toscano e non dal nord bolognese.

Anche i numerosi vocaboli di origine longobarda presenti in Alto Reno, peraltro, hanno equivalenti pistoiesi (cfr. N. RAUTY, Storia di Pistoia, vol I, Firenze, 1988, pp. 137 e 146).


GORGIA TOSCANA IN ALTO RENO

Innanzitutto chiariamo cosa s'intende per "gorgia toscana":

"Per 'gorgia toscana' s'intende quel singolare fenomeno di aspirazione che in Toscana ha colpito le consonanti sorde "k" [e cioè la "c" di casa], "p", "t" in posizione intervocalica ... per esempio: "amiha", "andatho". La stessa mutazione consonantica si verifica all'inizio di parola, quando per lo stretto rapporto sintattico la consonante viene a trovarsi frale due vocali: "la hasa", "la therra". Non avviene aspirazione in posizione iniziale assoluta ("Carlo", "partiamo", "taci")" (G. ROHLFS, Studi e ricerche su lingua e dialetti d'Italia, Sansoni, Firenze, 1997, p. 161).

A Pistoia il fenomeno dell'aspirazione consonantica è limitato alla sola "k", mentre risulta sconoscita l'aspirazione di "p" e "t" (cfr. G. ROHLFS, Op. cit., p. 162). (1)

Ovviamente in Alto Reno il fenomeno della "gorgia toscana" ha una estensione molto marginale, limitata all'area più meridionale fra i Comuni di Pistoia, Cantagallo (parte altorenana) e Pistoia (parte altorenana).

Per il Comune di Sambuca Pistoiese solo l'area corrispondente al comprensorio di Torri (Torri, l'Acqua, Lentula, Monachino) presenta questo fenomeno e in forma molto affievolita:

"Anche l'aspirazione tipica della velare sorda intervocalica (e più raramente iniziale) propria della gorgia toscana, è stata avvertita, ma sempre in modo affievolito, solo inqualche toponimo della zona di Torri. I casi di questo ultimo tipo sono stati registrati con l'alternanza dei segni "k/h", come per esempio, in "buka / buha"" (AA.VV., Dizionario Toponomastico del Comune di Sambuca Pistoiese,Società Pistoiese di Storia Patria, Pistoia, 1993, p. 27) (2).

Per il comune di Pistoia (parte altorenana) si segnala che l'aspirazione consonantica si presenta a Pracchia in una forma particolare: "focho" anziché "foho" (italiano "fuoco"), "ficho" per "fiho", "amicho" per "amiho", dove il gruppo "ch" va pronunciato come nelle parole tedesche J.S. Bach, machen, nicht (cfr. G. ROHLFS, Grammatica storica della lingua italiana e dei suoi dialetti,Torino, Einaudi, 1999, p. 266).

L'assenza di qualsivoglia forma di aspirazione consonantica nel resto dell'Alto Reno (Pavana, Lizzano, Treppio, Lagacci, Porretta) prova, in ogni caso, che i dialetti altorenani non possono discedere in alcun modo da una presunta lingua "celto - etrusca" (come al contrario sostenuto in più occasioni dalla rivista lizzanese "La Musola"). Se così fosse, non solo dovremmo trovare ifenomeni di aspirazione consonantica ovunque diffusi nella nostra terra, ma estesi a casi non prevedibili nella "gorgia toscana" (vedi la parola "pahe" per "pace" citata da G. Rohlfs a p. 164 del citato "Studi e ricerche su lingua e dialetti d'Italia), cosa che invece non si è verificata.

NOTE:

(1) A Pistoia si può assistere ad alcuni casi di dileguo della velare in parola come "poo" (poco) o "osa" (cosa), fenomeno che il Rohlfs registra per la Versilia (cfr. "Vocabolario Pistoiese", Pistoia, 2000, p. 17 e G. Rohlfs, "Grammatica storica della lingua italiana e dei suoi dialetti", p. 266).


DALLA GORGIA TOSCANA ALLA SONORIZZAZIONE SETTENTRIONALE ATTRAVERSO L'EVOLUZIONE DELLA PAROLA "FICO"

Pistoia - fiho

Pracchia - ficho

Lagacci - fico / figo

Campeda - figo

Granaglione - figo

Bologna - figh

E' da notare come il passaggio dalla "gorgia toscana" alle forme settentrionali non è improvviso, ma avviene per gradi, tanto per gradi da far sospettare non specie differenti, ma "clini" evoluzionistici.

1) a Firenze il fenomeno della gorgia toscana interessa i suoni "k", "t", "p". Nel caso di "k" e "t" l'esito è "h" (vedi il caso di "praho" per "prato" citato da Rohlfs a pagina 272 della sua "Grammatica storica");

2) a Prato la gorgia toscana interessa i suoni "k", "t", "p", ma senza gli eccessi del fiorentino;

3) a Pistoia la gorgia toscana risulta praticamente sconosciuta per i suoni "p" e "t" e, ove presenti, molto indeboliti (G. Rohlfs, "Studi e ricerche", Sansoni, Firenze, p. 162 - G. Rohlfs, "Grammatica Storica", Einaudi, Torino, p. 272, "Dizionario Toponomastico delle Valli della Bure", Società Pistoiese di Storia Patria, Pistoia, pp. 32 - 33);

4) a Pracchia l'aspirazione consonantica di "k" ha esito "ch" anziché "h";

5) da Frassignoni - Lagacci si ha l'evoluzione di "ch" in "k" (assenza di "gorgia toscana");

6) da Lagacci - Campeda - Sambuca - Treppio si ha l'evoluzione di "k" in "g".

Da notare come l'aspirazione consonantica toscana riguarda i suoni che nel settentrione subiscono la sonorizzazione (p > v, t >d, c>g)


SULL'ORIGINE DELLA GORGIA TOSCANA

Abbiamo visto come la gorgia toscana interessi le lettere p, t, k e cioè le lettere che in settentrione si sonorizzano in g, d, v. Sappiamo anche che le lettere g, d, v sono presenti in Toscana non attraverso uno sviluppo autoctono, ma attraverso imprestiti dai dialetti settentrionali (cfr. G. Rohlfs, "Grammatica Storica - Fonetica", Torino 1999, pp. 286 ss., G. Rohlfs, "Studi e ricerche", Firenze, 1997, pp. 150 ss.). Abbiamo visto, poi, come le lettere p, t, k non subiscano in Toscana lo stesso tipo di aspirazione consonantica, ma risentono di una maggiore (o minore) aspirazione a seconda della distanza fra l'Emilia e Firenze (fortissima a Firenze, molto attenuta a Pistoia, assente a Lagacci). Tutte queste premesse ci lasciano pensare (una ipotesi o una suggestione) che la gorgia toscana non sia altro che una reazione alla sonorizzazione consonantica proveniente da nord, una risposta ipercorretta a quella che un orecchio toscano (e in specie ai toscani delle aree più soggette alla cultura fiorentina, che si sviluppava in forme sempre più autonome dal settentrione) sentiva essere un barbarismo...

A supporto di questa ipotesi di lavoro due rilievi e una prova "a contrario":

1) la "gorgia toscana" è un fenomeno 'recente' (il Rohlfs ha provato che il fenomeno non può essere testimoniato anteriormente al XVI secolo (G. Rohlfs "Grammatica Storica - Fonetica", Torino, 1999, p. 268));
2) la penetrazione da nord di d, g, v risale al medioevo (quindi anteriormente allo sviluppo della gorgia toscana) come risulta dagli studi di Rohlfs (cfr. G. Rohlfs, "Studi e ricerche", Firenze, 1997, pp. 150 ss).);

La prova a contrario è questa: La gorgia toscana è un fenomeno recentissimo nella Toscana meridionale (G. Rohlfs, "Studi e ricerche", op. cit, p. 152), ovvero in quella toscana dove i fenomeni fonetici sono costantemente sordi e dove i rapporti col settentrione sono minimi.

Da notare che questa ipotesi non è in contrasto con quella del Rohlfs (pp. 168 ss di "Studi e ricerche") in quanto la tesi di Rohlfs è di natura fonosintattica, mentre la nostra è di natura storico - linguistica (1).

Rimanendo nel tema della presenza, in Toscana, di imprestiti linguistici provenienti dal settentrione, vale la pensa segnalare che il Rohlfs sosteneva la discendenza di "gi" da "sg":

"l'antico francese "isg" e l'italiano settentrionale "sg" sono stati ripresi come "gi" in numerosi imprestiti di parole di moda" (Grammatica storica, op. cit, p. 405).

Questo spiegherebbe la ragione per cui la "g" toscana (esempio quella di "stagione") ricorda lo sviluppo "sg" della consonante postpalatale sonora presente in buona parte del settentrione (ma non a Bologna). Se questo è vero, allora, la forma "sg" presente in Alto Reno, sarebbe lo sviluppo naturale di forme settentrionali arrivate dalla Toscana. Sviluppo che fu possibile perché il territorio altorenano (terra di confine anche linguistico) era più pronto della Toscana ad accogliere questa innovazione linguistica (2).

sulla annosa questione dell'origine etrusca della gorgia toscana clicca invece sotto:

la gorgia etrusca (?!?)

NOTA:

(1) poco credibile ci pare, al contrario, l'ipotesi di Lucia Clark ('The Tuscan Gorgia, Dialects and Regional Identity: a Survey") sull'origine tedesca della gorgia toscana. Tale ipotesi, infatti, si potrebbe applicare alla sola "k" e non a "p" e "t", inoltre la gorgia toscana compare solo marginalmente in aree che pure furono fortemente germanizzate durante il medioevo (è proprio il caso dell'Alto Reno che, nonostante fosse abitato da consistenti insediamenti longobardi, presenta la gorgia toscana solo nelle zone più meridionali a ridosso con Pistoia). Sull'origine della gorgia toscana come "reazione alla sonorizzazione delle sorde intervocaliche" abbiamo trovato conferma nella recente pubblicazione di Grassi, Telmon, Sobrero (C. GRASSI - A.A. SOBRERO - T. TELMON, "Introduzione alla dialettologia italiana", Laterza, Bari, 2003, pp. 60 - 61).

(2) e, tuttavia, non è del tutto da escludere che la forma "sg" non sia altro che la forma toscana "sc" semplicemente sonorizzata (es: toscano "cescio" e pavanese "cesgio", toscano "viscino" e pavanese "vsgino").


SULL'USO DELLE VOCALI FINALI IN ALTO RENO

Leggendo gli esempi di antico emiliano, riportati nel secondo volume della "Grammatica storica della lingua italiana" di Gerhard Rohlfs, toviamo la presenza di vocali finali:

"nu avemo statai" (p. 142), "nostro amigo" (p. 128), "legatege le mano" (p. 34) (G. Rohlfs, "Grammatica storica della lingua italiana e dei suoi dialetti - Morfologia", Torino, Einaudi, 1998).

Orbene questa presenza può essere interpretata nel senso che il vocalismo a fine parola, che troviamo in Alto Reno, rappresenta un episodio di tipo conservativo delle passate forme emiliane (1).

A nostro modesto avviso, tuttavia, la presenza di sicuri arcaismi di tipo toscano nei dialetti altorenani testimonia che le vocali a fine parola sono da attribuire proprio alla sfera linguistica toscana. Ad esempio:

A) la presenza del tipo covelle (da "quod velles") che rintracciamo a Badi. Il tipo "covelle" è esclusivo della Toscana e dell'Italia centromeridionale ed è un arcaismo (cfr. G. Rohlfs, op. cit., pp. 221 - 222, F.d'Ovidio - W. Meyer Lubke, "Grammatica storica della lingua italiana e dei dialetti italiani", Milano, Hoepli, 2000, p. 58).

B) l'uso, per tutto l'Alto Reno, come forma proclitica, dell'antico toscano "i" (es: lagaccese "i giogo"), mentre il bolognese usa "a" (es: "me a mand"). Per saperne di più cfr. G. Rohlfs, Op. cit., pp. 140 - 141.

C) la presenza, testimoniata dai toponimi "Campori" e "Campori Alto" a Torri (vedi AA.VV., "Dizionario toponomastico del Comune di Sambuca Pistoiese", Società Pistoiese di Storia Patria, Pistoia, 1993, p. 62), di una antica (e centromeridionale italiana) desinenza plurale sviluppata sulla terza declinazione latina (G. Rohlfs, op. cit., pp. 39 - 40).

Questi esempi linguistici, e la storia stessa dell'Alto Reno, dimostra, così, che le parlate altorenane si sono sviluppate insieme al toscano antico e, dunque, che anche il vocalismo a fine parola sia, presumibilmente, da attribuire alla lingua toscana.

Peraltro una conferma, indiretta, a questo ragionamento ci pare di scorgerla ancora nel Rohlfs quando scrive:

"al settentrione la vocale finale doveva, in genere, secondo il locale sviluppo fonetico, cadere" (G. Rohlfs, op. cit., p. 246)

contro:

"l'italiano [ricordiamo che l'italiano è un caso particolare del toscano assunto a lingua nazionale della penisola italiana] non sopporta uscita consonantica" (G. Rohlfs, Op. cit., p. 10).

Evidentemente se l'Alto Reno e il Frignano non hanno seguito il modello settentrionale e, particolarmente, l'emiliano (che prevede la caduta della vocale a fine parola (2)) è perché da un punto di vista fonetico e morfologico queste parlate sono debitrici in ugual misura del toscano.

NOTA:

(1) non sfugga, in ogni caso, che l'eventuale sopravvivenza di antiche forme emiliane dovrebbe, comunque, essere spiegata esclusivamente attraverso l'azione linguistica della Toscana, come dimostra la presenza del vocalismo a fine parola esclusivamente nelle aree emiliane più prossime alla regione Toscana stessa.

(2) l'unico caso in cui è prevista la caduta di vocale finale è, come nel Veneto, nel caso di -n. La foma -n si può tuttavia riscontrare in alcuni casi (specilamente poetici) anche nel toscano.


ALTRA CARATTERISTICA ROMANZA ORIENTALE DEI DIALETTI DELL'ALTO RENO

Abbiamo visto che in Alto Reno è presente l'uso di una desinenza plurale derivata dai neutri della seconda declinazione latina (cfr. G. Rohlfs, "Grammatica Storica della lingua italiana e dei suoi dialetti - Morfologia", Torino, Einaudi, 1998, pp. 39 -41) che sopravvive oggi in alcuni toponimi locali (ad esempio Campori presso Torri). Tale forma è il risultato di una falsa risegmentazione delle parole (temp-us, temp-ora come lup-us, lup-i) adottata nei dialetti Centro Meridionali della penisola italiana e nel Romeno (cfr. "campora" > campi, tettora > tetti e, in romeno, paturi > letto, haikuuri > haiku, etc.). Come precisato in un manuale di filologia e linguistica romanza: "l'errata segmentazione di una serie di forme, in poche parole, ha portato all'introduzione di un nuovo morfema del plurale" (L. RENZI - A. ANDREOSE, "Manuale di linguistica e filologia romanza", Il Mulino, Bologna, 2003, p. 153). Appare interessante osservare, tuttavia, che tale situazione si presenta per l'appunto in Alto Reno, in Italia Centromeridionale e in Romania. il fenomeno linguistico deve, quindi, essere assegnato alla sfera linguistica della Romània Orientale. Vale la pena segnalare che per il Wartburg la Romània Occidentale ha lingue più ligie alla grammatica (perché latinizzate da ceti colti), mentre la Romània Orientale è assai meno ligia perché romanizzata dal basso (contadini, soldati). (1)

NOTA:

(1) sul Wartburg vedi pp. 218 - 219 di "Linguistica Romanza" di Alberto Varvaro (Liguori, Napoli, 2001)


I DIALETTI DELL'ALTO RENO ALLA LUCE DELLA TIPOLOGIA LINGUISTICA

Cosa è la tipologia linguistica?

La tipologia linguistica è una scienza che studia tutte le lingue del mondo con lo scopo di determinare i principi generali a cui obbediscono tutte le variazioni linguistiche. In questo senso la tipologia linguistica non è una disciplina descrittiva, ma predittiva.

Dialetti dell'Alto Reno e tipologia linguistica

Nel caso dell'Alto Reno riteniamo di avere dimostrato che:

a) I dialetti parlati in questa area hanno una progressiva somiglianza tra loro e, ai rispettivi estremi, col toscano e con l'emiliano;

b) che nessuno processo di evoluzione naturale ha portato alla nascita di questa area linguistica (intermedia tra toscano ed emiliano) estremamente incoerente, ma che la stessa è il risultato di ben precisi eventi storici, commerciali e culturali continuati nei secoli ed agevolati dalla contiguità territoriale tra Toscana ed Emilia;

c) che i dialetti più meridionali di questa area linguistica tendono ad eliminare le loro caratteristiche incoerenti per assomigliare, in maniera sempre più progressiva, al toscano. Che, viceversa, i dialetti più settentrionali di questa area linguistica tendono ad eliminare le loro caratteristiche più incoerenti per assomigliare in maniera progressiva all'emiliano (1);

d) che esiste all'interno di questa area linguistica una fascia di dialetti che possiamo considerare "centrale" (2) rispetto alla quale, spostandosi verso nord o verso sud, aumenta progressivamente l'elemento toscano (a sud) e quello emiliano (a nord);

e) che questa fascia centrale è quella che (dai pochi dati storici a disposizione (3))) pare rispecchiare la situazione originaria di tutti i dialetti parlati in questa microarea linguistica

Alla luce di questi elementi riteniamo, pertanto, che i dialetti dell'Alto Reno costituiscono una "aerola" di grande importanza da un punto di vista dello studio della tipologia linguistica dato che nella stessa sono confermati in maniera paradigmatica tutti i principi della tipologia linguistica:

I) la correlazione tra sincronia e diacronia;

II) il passaggio delle lingue da uno stadio tipologicamente meno coerente a uno più coerente;

III) che sono i tipi più coerenti a superare la selezione della storia e ad affermarsi stabilmente a scapito dei meno coerenti;

IV) che le lingue incoerenti non nascono dal caso, ma da precisi condizionamenti storici e sociali;

V) che anche le microaree possono costituire dei tipi areali nate dalla vicinanza fisica e al conseguente contatto reciproco di diversi gruppi di parlanti.

Note:

(1) basta confrontare la situazione dialettale di Frassignoni, Lagacci, Campeda, Pavana, Ponte della Venturina per accorgersi che lo spostamento a nord corrisponde a una progressivo passaggio dal toscano all'emiliano. Ma gli esempi possono essere molteplici (ad esempio il treppiese è un dialetto cerniera rispetto, da un lato, ai dialetti sambucani e, dall'altro, ai dialetti meridionali del Comune di Sambuca Pistoiese (es: torrigiano) e che, a loro volta, i dialetti di tipo sambucano sono forme di transizione rispetto al pavanese o al badese);

(2) la fascia centrale è grosso modo rappresentata da pavanese, badese e lustrolese.

(3) ad esempio gli statuti di Treppio del XVII secolo dimostrano che l'allora dialetto treppiese presentava sempre la sonorizzazione in P (es: Rio della Luvaia) oggi parzialmente abbandonata (es: Fosso della Lupaia). La sonorizzazione di P è ancora attestata in tutti i casi invece in questi dialetti "centrali" che mantengono altresì caratteristiche di tipo toscano come la trasformazione del nesso latino cl in ch.

Bibliografia:

Sui principi della Tipologia linguisitica il nostro riferimento è stato:

N. GRANDI, "Fondamenti di tipologia linguistica", Caroci, Roma, 2003


LA "TROITA" DI BADI, BARGI E STAGNO

Una "troita"

Leggiamo dal Piccolo Dizionario sui dialetti di questa località:

"TROITA sost. f. = trota. Dal latino 'tructam': La trasformazione del nesso - ct che diventa -it, e in casi estremi -c, che riguarda i dialetti lombardi e piemontesi, forse era più estesa in epoche passate; troita potrebbe essere il residuo di una situazione antica che riguardava gran parte dell'Italia Settentrionale, infatti questo fenomeno era presente anche nel veneziano antico e nel veronese antico" (Nueter, XXIV, 1998, p. 387).

Leggendo il Rohlfs abbiamo però scoperto che il nesso ct>it era presente anche in Toscana:

"Tutta la regione orientale dell'Italia Settentrionale oggi non conosce più un tale sviuppo: se ne può dedurre che o uno sviluppo toscano si è sostituito a quello indigeno, o i dittonghi discendenti hanno anche qui; come in toscano (cfr. piaito > piato), perduto il loro secondo elemento in via normale" (G. Rohlfs, "Grammatica Storica della Lingua Italiana e dei Suoi dialetti", Torino, 1999, p. 366).

Inoltre è interessante osservare che il caso ct > it è presente per il solo lessema "troita", mentre in tutti gli altri casi il badese presenta ct > tt. Si tratta, invero, di una ben strana coincidenza rispetto allo stesso toscano che presenta la risoluzione ct > t (anziché ct > tt (assimilazione regressiva)) solo nel caso della parola trota (tructa > trota anziché trotta)

E' quindi ben difficile determinare se questo relitto linguistico sia di origine settentrionale o toscana (1). Anzi azzardiamo, considerato che tructa è una parola del latino tardo (cfr. M. Nuzzo, "Dizionario della lingua italiana", Marotta Editore, Napoli, 1978, p. 1629) e che il gallotoscano "troita" (var. "truita") e il toscano "trota" sono casi unici nei relativi sistemi linguistici, che questo termine sia, semplicemente, un prestito dalle aree nord occidentali della penisola italiana (Piemonte, Lombardia).

nota:

(1) a pagina 32 del numero 4 della rivista lizzanese "La Musola" (luglio - dicembre 1968) troviamo un importantissimo "truita" per "trota" e sappiamo che anche per il lizzanese il termine truita è l'unico che presenta il nesso latino ct reso con it.


"VIETO"

A proposito di sostrato ... : Ancora un vocabolo pistoiese usato in Alto Reno

Nell'opuscolo di Edgardo Ferrari sui dialetti im uso a Pavana e alla Sambuca ecco fare capolino un misterioso vocabolo: "vieto"

"Un'altra parola molto interessante che troviamo sia nel sambucano che nel pavanese è "vieto" che è molto vicino al latino "vetus, veteris" che significa "vecchio". Questo interessantissimo sostrato che non ritroviamo nel dialetto bolognese è usato ancor oggi per definire quel lardo [e non solo il lardo aggiungiamo noi] che èpiù che rancido [appare] ormai caratterizzato da un colorito giallastro e di cattivo odore" (E. FERRARI, "Tracce di isoglosse e sostrato", Sambuca Pistoiese, 1997, p. 14).

In effetti il vocabolo non trova alcun riscontro nel bolognese (vedi i vari dizionari di bolognese pubblicati da Forni o Vallardi), ma trova riscontro preciso nel pistoiese:

"VIETO s.m. e agg. - 1. agg. stantio, di cibo. 2. s. sapore, odore di cibo stantio: "questi biscotti ànno un che ddi vièto"" ( G. GIACOMELLI, "Vocabolario Pistoiese", Pistoia, 2000, p. 189).

Parlando di sostrato non si può fare a meno di osservare che il sostrato che emerge, giorno dopo giorno, è quello di una profonda toscanità dei nostri dialetti "gallo - TOSCANI".


CIMBRACCOLE E ABRICCIGHI

Nel suo opuscoletto sui dialetti sambucano e pavanese scrive il Ferrari:

"Abbiamo già accennato in precedenza a vocaboli di etimologia più o meno incerta che abbiamo rintracciato nel pavanese e nel sambucano.

Fra i più interessanti di essi sono senz'altro da citare "abrig'go" e "abrig'gare" che in sambucano si pronunciano "abric'go" e "abric'gare" che significano rispettivamente "aggeggio che rappresenta una soluzione di ripiego (perché mal funzionante o di poco valore)" e "adoperarsi per aggiustare qualcosa alla meglio" (Tracce di isoglosse e sostrato, p. 17)

E più avanti:

"altri termini dall'etimologia incerta sono la "cimbraccola", il "liscite" e la "rapazola" che sono identici in sambucano e in pavanese. La "cimbraccola" è gneralmente una donna frivola, poco dedita al dovere e ai lavori domestici ma che non arriva alla poca serietà ella prostituta. E' sorprendente che esista semanticamente una definzione che riguarda le donne che sta a metà strada fra la donna onesta e la sgualdrina"

Circa l'etimologia dichiarata incerta dal Ferrari vale la pena segnalare che sia abriccigo che cimbraccola sono vocaboli del dialetto pistoiese:

"ABBRICCICARE v. tr. e intr. - 1. tr cercare di accomodare alla meglio. 2. intr. indugiare in occupazioni di poco conto, gingillarsi"

"ABBRICCICO s.m. - 1. oggetto di poco valore, cosa da nulla"

"CIMBRACCOLA s.f., com. - 1. donna dappoco, spesso sciatta e sudicia. 2 donna leggera e civetta. 3. bambina precoce, chiacchierina e pettegola"

(voci tratte dal "Vocabolario Pistoiese" edito dalla Società Pistoiese di Storia Patria nel 2000)

Per quanto attiene la "rapazola" (giaciglio di frasche) è lo stesso Ferrari a dirci che si tratta di un vocabolo toscano - maremmano importato durante le immigrazioni stagionali (vedi anche il Dizionario di Guccini), mentre sulla liscite (il gabinetto) vi rimandiamo a una altra pagina di questo sito, non senza ricordare che il termine è di derivazione pistoiese.

Poiché il Ferrari ci parla di un sostrato nascosto dietroqueste parole, noi nonpossiamo fare a men odi vedere che il sostrato che esce fuori, parola dopo parola, è quello del dialetto pistoiese.


IL RAGANO

il ragano

E' uno dei nomi con cui è indicato in Toscana il ramarro (1). Esso compare come toponimo nella località di Biagioni (Casetta dei Ragani, Puntone dei Ragani, etc). E' probabile, dunque, che il termine ragano fosse (o sia) in uso un questa località e in altre località dell'Alto Reno. Da osservare che è tuttavia l'altro termine pistoiese (ramallo) che si è imposto nell'Alto Reno (Sambuca, Pavana, San Pellegrino, Lagacci, Badi, Stagno, etc.).

In entrambi i casi, tuttavia, registriamo forme toscane (2).

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(1) la parola pare tuttavia non solo pantoscana ma estesa al Centro Italia (ad esempio si usa a San Giovanni in Tuscia (Viterbo), Urbino (clicca su http://www.pro-urbino.it/Dialetto/dizionario/R.htm), ma anche negli Abruzzi, etc.

(2) Per saperne di più cfr. "Dizionario Toponomastico del Comune di Granaglione", Porretta Terme, 2001, pp. 15, 98


IL 'PULCINO' DI LAGACCI

pulcini

A seguito dell'inchiesta condotta a Lagacci il 19 giugno 2003 abbiamo appreso che il pulcino viene indicato in lagaccese come 'puseine', 'pucine, e 'pirino'.

Appare chiaro che le forme 'puseine' e 'pucine' siano la stessa parola, la prima delle quali con una veste più 'emiliana'. La parola 'pucine' tuttavia è propria del dialetto pistoiese infatti troviamo 'pucino' nel Vocabolario Pistoiese edito nel 2000 dalla Società Pistoiese di Storia Patria:

"PUCINO s.m. - Pulcino: con l'acqua 'e vvenìa mi son bagnato 'om'un pucino'" (pagina 139).

Ma anche la forma 'pirino' è di origine toscana: i contadini pistoiesi sono infatti soliti chiamare i pulcini usando l'onomatopeico 'piri, piri, piri'.

Totalmente diverso invece è il termine bolognese (pipién).


LA CAPRA DI LAGACCI

Rimanendo sul tema dei vocaboli in uso nel dialetto di Lagacci vale la pena soffermarci, un istante, sull'uso di becco e capra per indicare rispettivamente il maschio e la femmina della capra. Tale diversità viene spiegata dall'importanza che aveva per l'economia locale questo animale. Scrive in proposito Gerhard Rohlfs: "Nei nomi di animali s'incontrano gli stessi criteri di differenzizione del genere che si sono visti per le persone. Troviamo diversità di radicale soprattutto nelle bestie d'allevamento, ove il sesso ha per l'allevatore particolare importanza: toro - vacca, montone - pecora, becco - capra, verro - troia... La diversa radice è assai rara [invece] nei nomi di bestie selvatiche. Così il cinghiale in alcune località del Lazio possiede (secondo una comunicazione del Giacomelli) un femminile lefa" (G. ROHLFS, "Grammatica Storica della Lingua Italiana e dei suoi dialetti - Morfologia", Torino, Einaudi, 1998, p. 54).


ELEMENTI DI MORFOLOGIA DEL DIALETTO LAGACCESE ALLA LUCE DELLE RIFLESSIONI DI GERHARD ROHLFS

G. ROHLFS, "Grammatica storica della lingua italiana e dei suoi dialetti - Morfologia", Torino, Einaudi, 1998

1) noi eravamo > noi s'era Per il Rohlfs "noi s'era" è "la forma più popolare in Toscana" (p. 293)

2) bisogna che vada > bisogna che andia Per il Rohlfs "andia" è forma toscana e cita, per Montale Pistoiese, un passaggio di un racconto del Nerucci: "voglio che te andia dalla regina" (p. 298)

3) io racconto > 'i t arcont' Per il Rohlfs "i" è la forma proclitica dell'antico toscano ancora testimoniato nel vernacolo fiorentino e di Montale Pistoiese "i vo' parlar con seco" (p. 140)


USCITA IN -E DELLE PAROLA PRECEDUTE DA NASALE SEMPLICE

Abbiamo visto che il lagaccese presenta l'uscita in -e in parole come vine, pucine, bone, etc. L'uscita in -e (che lascia intuire una pregressa situazione in cui l'uscita era consonantica (vin, pan, bon) è probabilmente da attribuire all'uso della e paragogica usata, ad esempio, in lagaccese e pavanese in situazioni come filmme (film), Estere (Ester), etc.


GOGE

Anche in lagaccese lo scoiattolo è indicato col termine "goge". Questo termine è di quasi certa origine mediterranea anaria (probabilmente ligure). Di tale avviso è anche il dialettologo Giulio Bertoni nella sua opera "Italia dialettale" (G. Bertoni, "Italia dialettale", Cisalpino Goliardica, Milano, 1986, p. 6)


L'ALTO RENO E LA QUESTIONE DIALETTALE DELLA ROMAGNA TOSCANA

Riportiamo una breve ma interessante corrispondenza sull'argomento.

1^ LETTERA NOSTRA


A Davide Sivero


CIRCA IL TEMA DEI DIALETTI HO RICEVUTO QUESTA LETTERA DAL PROFESSORE
RUGGERO STEFANINI DELL'UNIVERSITA' DI BERKELEY


Grazie per la segnalazione dei dialetti pistoiesi ancora parlati nel
bolognese. Bisognerebbe occuparsi pero' anche dei dialetti romagnoli
parlati nei comuni fiorentini di Firenzuola, Palazzuolo sul Senio e Marradi. Che di questi sfasamenti fra confini dialettali e confini regionali si occupino l'Associazione per i popoli minacciati e European Minority Languages e' comunque francamente ridicolo. Cordiali saluti, Ruggero Stefanini"

A QUESTA LETTERA HO COSI' RISPOSTO:

"Con riferimento alla Sua gradita nota faccio presente,comunque, quanto
segue:


1) le pagine web che ha potuto leggere sono relative a un sito sull'Alto Reno e sarebbe impossibile trattare della Romagna Toscana (converrà che sarebbe fuori tema);
2) la Romagna Toscana (Firenzuola, Marradi, Palazzuolo sul Senio e tutti i Comuni passati dalla provincia di Firenze all'istituenda provincia di Forlì negli anni 20 del XX secolo) ha delle similitudini con gli altri dialetti della Linea La Spezia Rimini, ma anche delle differenze profonde che possono essere spiegate storicamente (la Romagna Toscana è diventata 'toscana' solo in tempi relativamente recenti (XV secolo) e quindi è stata 'toscanizzata', mentre l'Alto Reno è una realtà in cui l'elemento toscano è più ancorato anche per ragioni storiche)

Ovviamente non condivido il suo parere sulla "ridicolaggine" della scelta di inserire un sito sui dialetti dell'Alto Reno all'interno dei link segnalati dalla Associazione per i Popoli Minacciati o dal sito delle lingue minoritarie europee e questo per due ragioni:

1) la cultura e i dialetti dell'Alto Reno sono stati in parte cancellati (ad esempio il dialetto di Treppio è completamente scomparso) o sono in pericolo di estinzione (ad esempio quello di Lizzano);
2) la distinzione 'lingua - dialetto', peraltro, è una frontiera ambigua e pericolosa, soprattutto nel caso di un'area (la linea Rimini - La Spezia) nella quale molti studiosi (ad esempio Heinrich Lausberg) riconoscono la divisione di una "romania occidentale" e di una "romania orientale"

Saprà inoltre benissimo che lo "UNESCO RED BOOK ON ENDANGERED LANGUAGES: EUROPE" (
http://www.helsinki.fi/~tasalmin/europe_index.html) parla di emiliano e di toscano come lingue e non come dialetti.

La ringrazio comunque ancora per avermi voluto rispondere."

MI PIACEREBBE RICEVERE UN SUO COMMENTO, GRAZIE.


LETTERA DI DAVIDE SIVERO

Gli ha risposto bene!
Mi permetto di inoltrare la nostra corrispondenza anche al
nostro comune
amico Dagnêl Vitèli, che sicuramente sarà interessato all'argomento.
Per la linea La Spezia - Rimini, la sua importanza è
accettata pacificamente
dalla maggior parte dei linguisti.
Tanti salùi da-a Liguia,
Dàvide Sivèro

LETTERA DI DANIELE VITALI

Sono d'accordo che la Romagna toscana e l'Alto Reno siano casi differenti,
ma attenzione: c'è un chiaro continuum fra lizzanese e castiglionese (di
Castiglione dei Pepoli) che arriva proprio fino al punto della Romagna
toscana dove c'è stata la toscanizzazione tardiva!

Ciao, D.

II LETTERA NOSTRA

Circa il rapporto Castiglione dei Pepoli, Firenzuola c'è un caso importante da ricordare: A Firenzuola si dice "ài capito", a Marradi e e Palazzuolo Sul Senio si dice "è cavid" (G. DEVOTO - G. GABRIELLI, 'I dialetti delle Regioni d'Italia', Sansoni, 2002, figura 7). Ovvero Firenzuola, pur essendo all'interno della Romagna Toscana, si avvicina maggiormente al modello altorenano ('hai cavido'). Può essere un caso, ma è una coincidenza quantomeno singolare (*).

Inoltre Castiglion dei Pepoli è una terra di antica toscanità (dai tempi del gastaldato longobardo di Pistoia, alla contea franca pistoiese, ai domini feudali del Vescovado Pistoiese, etc.)

(*) probabilmente a Firenzuola la concomitante pressione della toscanità fiorentina e della gallo - toscanità altorenana (che si estende parzialmente fino a Castiglion dei Pepoli) hanno maggiormente indebolito alcune caratteristiche romagnole.